martedì 30 marzo 2010

Prendere posizione

Ad un certo punto della mia vita, ovvero al momento di iscrivermi al liceo, ho valutato l'ipotesi di imparare le lingue straniere per avviarmi a una carriera diplomatica. Ché poi, come la vedevo io a 14 anni, fare il diplomatico era una cosa avventurosa e chic, in bilico tra il mondo delle spie e quello delle feste mondane. Beata ingenuità: voglio vedere quanto è chic fare il diplomatico, se ti mandano a Ulan Bator o in Africa Centrale.
Per fortuna, come si può vedere, ho scelto un liceo classico e abbandonato quell'idea balzana. Anche perché, nel frattempo, ho scoperto che la diplomazia era proprio la più irraggiungibile delle virtù, per come sono fatta.
L'unica volta che mia madre ha fatto un complimento a me come persona (e non ai risultati che ho raggiunto, ai voti che ho preso e ai bambini che ho concepito), mi ha detto che sono leale. Intendeva soprattutto nei confronti dei miei amici, perché con un genitore prima dei 25 anni non ti puoi sempre permettere il lusso della trasparenza, altrimenti rischi di non crescere.
Ecco, di me si possono dire con ragione tante cose negative, ma chi mi taccia di slealtà o scorrettezza (non sono mai stati tanti, in verità) sbaglia bersaglio. Mentre quando si toccano altri tasti un esame di coscienza me lo faccio (con risultati alterni), quando l'accusa è di non essere stata corretta resto serena, perché questo è l'unico punto su cui mi sento sicura: magari sbaglio (eccome se sbaglio), ma sempre in buona fede e con la consapevolezza di aver agito nel modo più corretto nei confronti degli altri, con particolare attenzione alle persone che mi sono più care.
Dal momento che sono figlia unica, gli amici sono sempre stati molto importanti per me: sono fratelli e sorelle d'elezione, hanno la mia massima disponibilità. Anche ora che ho una famiglia, sono sempre pronta a scattare se un amico chiama nel momento del bisogno.
Questo fa sì che, nei confronti degli amici, io abbia un atteggiamento simile a quello dei più verso la famiglia: davanti al resto del mondo li difendo a spada tratta e faccio il possibile per sostenerli, in privato sono schietta al punto di essere dura. Se un amico persiste nel fare qualcosa che ritengo sbagliato, continuo a difenderlo davanti al resto del mondo, ma in privato, una volta esposta la mia posizione, non dico più nulla: da noi si dice "Disi nient ma coesi" (Non dico niente ma friggo).
Un altro aspetto del mio modo di vedere l'amicizia è che, se un amico mi delude (non in modo casuale: a tutti capita di sbagliare), chiudo a chiave la porta e butto la chiave. Questo non significa che io quell'amico non lo voglia più vedere o non gli voglia più parlare, ma che la mia disponibilità per lui è esaurita, non sono disposta a sforzarmi neanche un minimo. E la porta si chiude senza grandi clamori, spesso l'amico in questione non se ne accorge per anni, finché non ha bisogno, e allora la trova chiusa.
Che cosa c'entra tutto questo con la diplomazia? Ecco, se fossimo in un mondo ideale, c'entrerebbe poco: la diplomazia dovrebbe essere l'arte di far vedere ai contendenti le ragioni reciproche, in modo da pacificarli.
Dal momento che non siamo in un mondo ideale, in realtà spesso diplomazia significa dover mantenere buoni rapporti con persone che ti disgustano, dare ragione a chi è più aggressivo e/o potente per cercare di placarlo, usare con sapienza bastone e carota per far tutti contenti.
Ecco, io questo lo posso tollerare sul lavoro. Nella vita, se posso, faccio a meno.
Quindi, se tu sei una persona che ha ferito o danneggiato un mio amico (e io so che l'hai fatto con intenzione e magari pure in cattiva fede), ti saluterò con grandi sorrisi se devo, ma eviterò in ogni modo di contribuire al successo della tua iniziativa. Viceversa, se un mio amico o una persona che stimo mette in piedi qualcosa di buono e io posso aiutarlo, parteciperò, a costo di espormi alle critiche di altri per aver preso una posizione così netta. Anzi, son capace pure di sentirmi in colpa se per motivi oggettivi non posso partecipare.
Non ce la faccio proprio ad essere liquida e neutrale, a farmi rimbalzare le cose addosso. Anche quando dovrei, anche quando non posso fare niente per cambiare le cose e anzi rischio di peggiorarle. Il massimo che posso fare è una doccia fredda prima di esporre la mia posizione, ma non posso evitare di prenderla e comunicarla.
Ecco perché non so se andare ai prossimi colloqui con le maestre o mandarci Luca.

sabato 27 marzo 2010

Punti di osservazione

Sabato e domenica, ho avuto la possibilità di osservare diversi bambini di città, venuti in cascina al seguito dei loro genitori.
Sabato, si trattava dei bambini di Lorenza, che ho accompagnato in giro col loro papà mentre la loro mamma seguiva la visita guidata.
Il confronto tra loro e i miei bambini è spiazzante: i miei bambini sono abituati a vedere poche auto e tanti animali, mentre i bambini di città sono abituati a vedere tantissime auto e quasi nessun animale. I miei bambini considerano normale l'odore di stalla e puzza l'odore di smog, mentre i bambini di città considerano puzza l'odore di stalla e sono indifferenti ai gas di scarico. I miei bambini si rapportano agli animali quasi come a compagni di gioco, mentre per i bambini di città gli animali sono delle curiosità da ammirare.
Ho notato inoltre che i bambini di città sono come accelerati rispetto ai miei: gli fai vedere una mucca e già vogliono vedere un cavallo, una pecora, una gallina. Vedono probabilmente la campagna attraverso il filtro dei libri o dei cartoni animati o di Farmville: un luogo il cui scopo non è produrre latte o carne o riso, una specie di zoo di animali "canonici" che non possono mancare e dove le mucche magari vengono ancora munte a mano in stalle come casette.
Queste differenze che ho notato non sono giudizi che emetto, anzi. Però mi danno la misura di quanto la mia vita è differente da quella della maggior parte delle persone. Migliore? Peggiore? Non lo so. Mi ci sono ritrovata: se fossi stata libera di scegliere, avrei cercato un posto diverso in cui vivere e crescere i miei figli.
Quello che so è che, man mano che passano gli anni, vedo sempre meno i lati negativi (sempre per il famoso discorso del cilicio che dopo un po' non si sente più) e sempre di più quelli positivi. O forse è solo che i miei figli sono nell'età migliore per apprezzare il posto in cui vivono. Ne riparleremo quando inizierà la pubertà.

giovedì 25 marzo 2010

La femme publique

Quelli che... ti toccano la pancia perché porta fortuna. Toccati la tua!
Quelli che... ti raccontano i loro 5 parti, di cui uno sotto le bombe ai tempi della guerra e uno sul tavolo della cucina con emorragia. E io che non ho neanche visto l'Esorcista in versione integrale per non impressionarmi...
Quelli che... ah povera bambina, dentro il marsupio non avrà caldo/freddo/tiepido? Se dorme e non protesta...
Quelli che... ah, non per farmi i fatti suoi! Beh, certo, è evidente!
Quelli che... ah, si vede proprio che le dà il suo latte! Sì, mio nel senso che l'ho comprato con i miei soldi.
Quelli che... ah, è incinta del secondo? No, ho fatto pratiche sadomaso con un'anguria.
Quelli che... mia nuora non lo vuole il secondo, la convinca lei! Si sta rivolgendo proprio alla persona giusta!
Quelli che... ah, che bello, fa la coppietta! Così poi li incrocio e metto su un allevamento?
Quelli che... non sei gelosa del fratellino? Mah, adesso che me lo chiedete tutti, un dubbio mi viene...
Quelli che... guardi che il bambino ha il sole in faccia, non potrebbe camminare all'indietro? Sì, e potrei anche ruotare la testa di 180° come nell'Esorcista.
Quelli che... quando fate il terzo figlio? Ma vaff...!


martedì 23 marzo 2010

Io e i miei bambini

Ci sono bambini che, appena nati, li guardi e pensi "oddio com'è bello/a".
Ci sono bambini che, appena nati, li guardi e pensi "tutta questa fatica per questo coso qui?".
Ci sono bambini che mangiano con moderazione e si autoregolano come se sapessero leggere le tacche sul biberon.
Ci sono bambini che a 3 settimane ti fanno pensare a come risparmiare per nutrirli nell'adolescenza.
Ci sono bambini che, quando ricevono complimenti, sorridono.
Ci sono bambini che, quando ricevono complimenti, rigurgitano.
Ci sono bambini che, quando fanno la cacca, cinguettano e ridono.
Ci sono bambini che cinguettano e ridono sempre, tranne quando hanno fatto la cacca.

E ci sono mamme che, al di qua della corazza di ironia che si sono forgiate, li guardano entrambi e si sciolgono di tenerezza.

Un'altra Amelia


Anna Lo Piano - Amelia e zio Gatto. Indagine alla PMI - edizioni Sinnos
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Per leggere il blog: http://www.ilblogdiameliaeale.blogspot.com/

lunedì 22 marzo 2010

La mamma del bradipo

È che una pensa: fatto un figlio, fatta tutta la fatica. E invece prima o poi bisogna tirar fuori anche il secondo: nell'arco di due anni il teletrasporto neonatale non l'hanno inventato. L'epidurale, a parte che il mio ospedale non la passava, manco a parlarne: mi fa più paura l'idea di un ago nella colonna vertebrale che quella di partorire un bufalo con tutte le corna.
Insomma, arriva anche il fatidico travaglio del secondo. Se nel primo eravamo potuti andare in ospedale zitti zitti, senza avvisare i futuri nonni, per il secondo ci tocca: mica possiamo portarci Amelia in sala parto.
Intanto che aspettiamo i miei, preparativi di rito. Accidenti, ricordavo che faceva male, ma speravo che al secondo parto ne facesse di meno!
Arrivati in ospedale e trovato un parcheggio (ché sembra una cazzata, ma, anche se si arriva a mezzanotte, si rischia di partorire in macchina mentre cerchi parcheggio), entriamo nel blocco parto col passo consumato di chi ormai sa.
Mi accoglie un'ostetrica materna e gentile, tutta tonda. Mi offrono un tè, quasi mi verrebbe da prendere i biscotti ma mi ricordo della pizza al gorgonzola. Dopo un paio di battute, l'ostetrica gentile mi dice: secondo me, per te ci vuole la Daniela. E mi porta l'ostetrica del mio primo parto. Le salterei al collo, ma un po' le contrazioni un po' il residuo di dignità mi trattengono.
Decidiamo che la posizione meno dolorosa è sulla sedia da parto (detta anche "il trespolo"), con Luca accanto a me a tenermi la mano. Dopo un paio d'ore, chiedo a Daniela di quanto sono dilatata. E lei mi dice: strano che tu non lo senta, sei dilatata al massimo. Non faccio in tempo a dire di andare in sala parto, che mi parte una contrazione tipo possessione diabolica, una compulsione irresistibile a spingere mai provata.
Io, che sono ancora seduta sul trespolo, mi appendo al braccio di Luca. L'ostetrica fa apparire dal nulla tutto il necessario per accogliere un neonato lì per lì. Io mi stendo nel vuoto, col solo appiglio del braccio di Luca, e inauguro la moda del parto aereo, prendendo spunto dalla ripetuta visione di documentari sui bradipi.
Beh, è probabile che il mio secondo figlio, viste le modalità del parto, si sia calato un po' troppo nella parte: mangiava e dormiva e defecava nella migliore tradizione bradipesca.
Partorire da bradipo è dura, ma i risultati non sono male.

domenica 21 marzo 2010

Porto di mare

Mentre scrivo, fuori dalla mia finestra ci sono circa 3000 persone. Le stesse 3000 persone che hanno fatto la fila sotto la pioggia per il pranzo mentre Amelia, sazia e al caldo, le guardava e le faceva ridere con le sue boccacce. Le stesse 3000 persone che hanno sfilato e sfileranno tutto il giorno davanti a mio marito, facendosi spiegare sommariamente come si fa il formaggio e come funziona un caseificio. Le stesse 3000 persone che si sono estasiate di fronte a cose che noi viviamo quotidianamente (le mucche, i prati, i formaggi) e che si sono schifate di fronte ad altre cose che noi non ci accorgiamo neanche più di sopportare (la puzza di 500 mucche di fianco a casa, il fango). Le stesse 3000 persone che non distinguono la paglia dal fieno e che sono venute a visitare una cascina sotto la pioggia con scarpette da struscio in centro (salvo poi vedere che io e i bambini avevamo gli stivali di gomma e dire "ecco, dovevamo portarli anche noi"). Le stesse 3000 persone che svaligeranno lo spaccio e che si gusteranno i formaggi di Luca, e che torneranno a cercarli nei negozi, permettendo al caseificio di sopravvivere.
A me queste 3000 persone sono simpatiche. Non solo per il discorso economico di cui sopra. Ma soprattutto perché grazie a loro ieri e oggi c'è stata un po' di vita da queste parti: banchetti di prodotti anche di altre aziende biodinamiche, giocolieri, cantastorie, persino Lucio Dalla. Per non parlare di tutte le persone di Ecor che sono venute fin da Verona per far funzionare il tutto e che ieri ci hanno invitati a cena tutti quanti.
Mi sono sentita un pochino come quando vivevo in centro a Pavia, quando le persone capitavano a casa mia invece di essere io a dover andare a cercare loro. Quando, se mi mancava il pane, mi mettevo il cappotto e le scarpe e in 5 minuti a piedi trovavo un panettiere. Quando andavo a vedere i fuochi d'artificio di fine estate senza spostare la macchina.
Sono stata un po' invidiata, per il fatto di abitare qui e prendermi solo il meglio di questa manifestazione, come io invidio spesso gli abitanti delle case del centro, quelle case dalle cui finestre si spande l'odore di arrosto all'ora in cui tu torni alla macchina col tuo pollo allo spiedo e sai che prima di un'ora non pranzerai.
Sono curiosa di sapere che cosa hanno pensato di noi, passando sotto le finestre di casa nostra. Mi piacerebbe sapere come credono che viviamo, se ci ritengono fortunati o no, se credono che siamo dei bifolchi incolti o degli svaniti New Age o solo delle persone normali che vivono in un posto particolare. Mi piacerebbe sapere perché sono qui, nonostante la pioggia e nonostante in città ci siano un sacco di attrazioni, anche senza fango né letame.

giovedì 18 marzo 2010

Il buffo evento

Giunge un giorno, nella vita di una donna, che è difficile da dimenticare. Anzi, di solito è una notte.
Tipicamente, una notte che segue una sera in cui hai cenato con una pizza al gorgonzola e meringata al cioccolato. Innaffiandole con una birra media.
Ti sei lavata e messa la camicia da notte: non vedi l'ora di farti una bella dormita tra le lenzuola profumate di bucato. E ti parte la prima contrazione.
Tuo marito, che è in piedi dalle 6 del mattino e non desidera altro che chiudere gli occhi, accenna a girarsi dall'altra parte fingendo che sia un crampo. E invece, 5 minuti dopo, un'altra contrazione. Vacca.
Le contrazioni continuano mentre ti fai la doccia e ti asciughi. Anzi, nel tempo che ci metti per essere pronta, gli intervalli si accorciano a 2 minuti.
E tu pensi: che figata, se sono così ravvicinate vorrà dire che mi dilaterò in fretta.
Invece, appena arrivata in ospedale, scopri di essere dilatata di 1 cm. Un pulcioso centimetro.
Ci metterai 10 ore a dilatarti completamente. Nel frattempo tu e tuo marito avrete un sonno atroce, tu farai in tempo ad invocare tutti i metodi di analgesia compresa la morte e l'ostetrico gentile smonterà dal turno.
Lo sostituisce un'ostetrica tosta ed energica, che si presenta dicendoti che i suoi 2 figli sono nati di 4,5 e 4,3 kg e li ha partoriti con parto naturale. E tu, che ormai hai perso da un pezzo ogni ritegno, esclami: sono in mano a una pazza!
Quella pazza ti guida nelle spinte finché non vede la testa di tua figlia e a quel punto andate in sala parto: tu a piedi nudi, lei tenendoti una pezza tra le gambe per evitare che Amelia si perda per la strada.
Quella pazza fa nascere la tua prima figlia presto e bene, conquistandosi la tua eterna gratitudine e il diritto di ricamarti la patata.

All'uscita dalla sala parto, trovi 3 persone ad aspettarti:
- la tua ginecologa, che si complimenta con te per il parto da manuale (dell'Inquisizione?)
- tuo marito, che si addormenta all'istante sulla sedia
- tua figlia, che ti rapisce il cuore a tradimento.

E da quel giorno capisci che la tua vita non sarà più la stessa. E che per un po' sarà meglio evitare la pizza al gorgonzola.

Non ci resta che ridere

Cinque anni fa, in una cascina lontana lontana, un uomo e una donna unirono una laurea in Biologia e un master in Scienza e Tecnologia dei Media per interpretare un test.
Dopo aver concluso che il test era inconfutabilmente positivo, avvisarono i parenti e gli amici.
Il papà di lei, informato che sarebbe diventato nonno, equivocò e credette che fossero nati i gattini della Bianca, la gatta di casa.
Il papà di lui evitò lo svenimento solo perché era in tram.
E lei, che era una blogger, diventò una mammablogger.

Cinque anni più tardi, quella neomammablogger avrebbe incontrato altre mammeblogger e insieme, col patrocinio di Huggies (sì, quello dei pannolini), si sarebbero messe a scrivere per uno spettacolo teatrale. Comico, naturalmente.
Dal momento che noi mammeblogger siamo tutto tranne che esclusive, anche voi potete far parte di questo progetto, se lo desiderate.

Le regole del gioco sono:

- da oggi fino al 7 aprile su 10 blog troverete dei post contrassegnati dal banner con la manina che vedete qui sotto. Questi post avranno come tema la maternità nelle sue diverse declinazioni.

- ogni volta che vedete il banner sappiate che commentare paga! Commentate raccontando il vostro aneddoto, legato a uno dei temi che troverete postato. Tra i commenti più divertenti (da chiunque scritti, non solo da blogger) ne selezioneremo uno a settimana e l'autore del commento vincerà una fornitura di pannolini. Quando commentate, ricordatevi di lasciare l'email, nello spazio previsto, o non riusciremo a contattarvi per spedire il premio; scrivete pure la taglia di pannolini di cui avreste bisogno.

- chi invece si sente più creativo e ha un suo blog potrà compilare il form di partecipazione all’interno della sezione http://www.huggiesclub.it/mammacheridere e chiedere di collaborare all’operazione. Nel sito troverete tutta la dinamica, compresi i temi scelti.

- oltre a vincere pannolini, entro il 2 aprile, i 5 blog più divertenti potranno essere selezionati per entrare a far parte del gruppo dei 10 partner. Le 15 blogger/co-autrici verranno quindi invitate all'incontro con l'autore teatrale e l'attrice comica.

- il gruppo dei 15 blogger partner ovviamente andrà allo spettacolo, in scena a Milano, la settimana del 24 maggio, spesato, servito e riverito e con il logo del blog in locandina.

- nella fase finale dell'iniziativa, poi, fioccheranno, oltre ai pannolini, biglietti per tutti.

(Si ringrazia MammaCattiva per l'efficace sintesi, qui efficacemente scopiazzata).

martedì 16 marzo 2010

Esercizio allo specchio

Mi è capitato recentemente di parlare con donne della mia età che non vogliono figli. Non è che non riescono ad averli, proprio non li vogliono. Ecco, io queste donne le capisco fino all'ultimo capello, perché credo proprio che sarei stata come loro, se non avessi conosciuto Luca.
E questa frase non significa: credo proprio che sarei stata una povera sfigata arida come loro, se non avessi conosciuto l'Amore della mia vita. Significa semplicemente che, non avendo mai visto la maternità come un mio obiettivo, probabilmente non avrei mai desiderato di diventare madre se non avessi conosciuto una persona che inspiegabilmente mi ha fatto pensare "io con questo ci faccio una figlia".
A volte ci penso, a quell'altra me "in potenza". Me la vedo magra e in forma, nel mio monolocale in centro, con un bel lavoro (non ben remunerato, basta bello), sempre impegnata in qualche attività tipo danza, cinema, serate con gli amici... le cose che facevo 7 anni fa. Me la vedo anche con i suoi momenti di tristezza, i momenti in cui la solitudine diventa un duro prezzo da pagare per la libertà. Me la vedo un po' avvilita per la vigliaccheria del maschio di turno, eventualmente. Mi dispiace per lei, ma non riesco a vederla impegnata in un rapporto di più largo respiro: se mi innamoro, io voglio stare con tutti i piedi con la persona che amo e quindi tendo a passare presto alla convivenza. La vedo triste? Mannò, anzi. Vedo cose che mi mancano e che possono esistere solo nella vita da single: le nottate in cui ti svegli e ti guardi i programmi della notte senza alzarti dal letto, le mattinate in cui un po' dormi un po' fantastichi, le giornate di festa passate a scrivere senza interruzioni, un lavoro a cui puoi dedicarti anima e corpo.
Mi manca, quell'altra me? A volte. Ultimamente sempre di meno. Sarà che, a furia di portarlo, il cilicio non si sente più ;-)
Certo, mi immagino anche come quella me stessa single e childfree guarderebbe la me stessa sposata e bi-mamma. Prima di tutto mi direbbe: ma come ti sei permessa di ingrassarmi così? Però credo che mi invidierebbe per il fatto che dormo tutte le notti con l'uomo che amo. Non sarebbe contenta del posto in cui vivo, né del lavoro che faccio. Le piacerebbe molto l'ambiente di danza che frequento, e che non so se lei sarebbe arrivata a conoscere, partendo da Aranda. Sarebbe stupita e incuriosita del mio rapporto quotidiano con due (DUE!) bambini. E scoprirebbe che avere una famiglia è molto meno faticoso di quello che si dice in giro. Sicuramente le piacerebbero le mie gatte. Piangerebbe nello scoprire che la Twingo è morta a soli 7 anni. Sarebbe molto contenta per il progetto Viola.
Io la considererei una fallita o una superficiale perché non ha voluto figli? Manco per idea.
Lei mi considererebbe una col cervello a mezzo servizio perché ho voluto figli? Spero di no, la faccio più intelligente di così.

lunedì 15 marzo 2010

Scaldacuore

Immaginatevi di aver passato proprio un bel finesettimana, alla faccia della bufera di neve che si è scatenata mercoledì.
Immaginatevi di essere andati a fare un giro in centro tenendo i vostri bambini per mano, niente passeggini e niente sollevamento pesi. Due commissioni e via.
Entrambe le commissioni, peraltro, erano piacevoli: abbiamo comprato due nuove tazze da tè per noi (un po' costose, ma belle, eque e solidali, speriamo anche solide) e due salvadanai di latta per i bambini.
Lo scopo sarebbe questo: insegnare ai bambini che cos'è il denaro, a cosa serve e come lo guadagnano mamma e papà. Non voglio instaurare un meccanismo "sei buono/ti dò la mancia", ma "fai qualcosa di utile/ti premio", come in un lavoro vero.
Tornati a casa, ci siamo fatti un tè nelle tazze nuove e siamo usciti a goderci il sole, aspettando che arrivassero i miei cognati giovani. Con loro, siamo andati a fare un giro alla Certosa di Pavia, che non vedevo da circa 15 anni. Ho riscoperto un monumento che noi pavesi diamo per scontato: un tripudio di arti applicate e di materiali sempre diversi, una spettacolare simbiosi di medioevo e rinascimento.
In macchina con gli zii, mia figlia ha detto che da grande vuole fare la ballerina come la sua mamma, che balla benissimo. Quando mia cognata me l'ha riferito, poi mi hanno dovuta grattare via dal pavimento.
Poi siamo andati a farci un aperitivo in centro e abbiamo finito con una cena al giapponese, culminata con una zuccata di Ettore contro lo spigolo del tavolo e conseguente enorme bernoccolo (ma il ragazzo è un duro, ha pianto molto di meno di quanto avrei cristonato io).
Il giorno dopo, i bambini sono andati a Nonniland (la versione economica e più esclusiva di Gardaland), Luca al suo corso mensile di bonsai, io a casa mia a vegetare (giuro, devo avere delle foglie tra i capelli).
Recuperati i bambini e Luca a fine pomeriggio, siamo andati a Milano a vedere l'ultimo spettacolo della mia maestra di danza e della sua compagnia. A parte alcune assurdità nella gestione dell'entrata (dovute al teatro, non alla scuola di danza), abbiamo visto uno spettacolo di valore in un ambiente abbastanza child-friendly (nel senso che non ci si doveva issare i figli sulle spalle perché vedessero, perché le sedie erano disposte a file degradanti).
A dirvi la verità vera, lo spettacolo a me non è piaciuto proprio da impazzire: ho trovato che le tre parti delle tre maestre fossero un po' troppo disomogenee, andrebbero accordate meglio. Inoltre, è disomogeneo il livello delle partecipanti: che una brava avanzata si esibisca allo stesso livello scenico di una maestra mi infastidisce un po'.
Infine, e con questo chiudo altrimenti sembra che non mi sia piaciuto per niente e non sarebbe vero (è comunque superiore alla media), l'ho trovato troppo serio, con pochissimi momenti di leggerezza, troppi momenti "eterei" e forse toni un po' troppo drammatici nel pezzo di De Nova Luce.
Però, ripeto, è comunque un bellissimo spettacolo, soprattutto per non addetti ai lavori (si sa, a furia di approfondire si diventa smorbi). Infatti ai miei bambini, che non son proprio digiuni, è piaciuto.
Stamattina, ritorno alla dura realtà: nido, scuola e ufficio. Ma già c'è una buona notizia: la squadra di arti marziali dell'associazione in cui insegnavo ha vinto il primo premio in una competizione europea. E l'ha vinto anche grazie alla mia coreografia di contorno, realizzata con le ali di Iside.
Poi suona il cellulare: è una mia lettrice di vecchia data, che non sentivo da qualche tempo e con cui avevo avuto uno scambio di mail proprio ieri. La trovo piena di positività, affettuosa, tenerissima. Diventerà nonna a fine aprile e questo le dà la forza per affrontare qualsiasi cosa.
Poco dopo, mi scrive una mia ex collega: lei è già diventata nonna, 10 giorni fa, e immagino sia completamente impazzita di felicità, dopo un periodo tanto buio.
Poco fa, infine, mi chiama mia madre, reduce da un esame andato bene (un corso di formazione interna) e mi propone per stasera un concerto di musica tzigana, solo io e lei.
Quasi sicuramente, per la legge del contrappasso, stasera i miei figli avranno un catarrone e me lo attaccheranno.

venerdì 12 marzo 2010

Non è mai finita

Credevo fosse finita. Voglio dire: quando il tuo secondo e ultimo figlio ha già abbondantemente compiuto 2 anni e tu non hai intenzione di fare il terzo, pensi di essere fuori da discussioni tipo parto, allattamento, fascia.
Soprattutto, guardandole con il distacco di chi ci è già passato e non ha intenzione di ripassarci, pensi che ne sorriderai e ti faranno anche un po' tenerezza: sono legate a momenti talmente brevi, e tu non pensi che siano scelte che segneranno poi così tanto il futuro tuo e dei tuoi figli.
Non fraintendetemi: so benissimo che una cicatrice da cesareo può darti fastidio per tutta la vita e che il latte materno ha proprietà statisticamente importanti per la salute dei bambini e della madre. Ma penso che ci siano altri fattori che incidono molto di più sul lungo periodo, tipo la salute dell'aria che respiriamo, il clima che si instaura in famiglia, la qualità del cibo che scegliamo.
Esempio: posto che il latte materno ha (statisticamente) proprietà antiallergiche, temo che la composizione dell'aria che si respira conti molto di più nel determinare eventuali allergie e/o patologie all'apparato respiratorio. E che, se allatti anche fino a 3 anni ma la tua famiglia mangia cibi non prevalentemente bio o magari addirittura schifezze belle e buone, molti benefici dell'allattamento al seno vadano a farsi benedire.

Ecco, io vorrei che tutto questo equilibrio zen fosse reale, perché ne avrei tutti i motivi: non ho allattato né portato granché in fascia, ma i miei figli sono sani e felici.
Invece, quando sento parlare di questioni legate al puerperio, è come se un rampino da baleniera mi tirasse dentro contro la mia volontà. Come se improvvisamente il web si trasformasse in uno stadio e io dovessi prendere posizione nella mia curva, non importa se con altri tifosi.
Alcuni mesi e poche settimane fa, alcuni post che ironizzavano sull'allattamento al seno e sulle cosiddette talebane sono stati oggetto di insulti e reciproche polemiche. Ecco, io non mi sono entusiasmata né per l'uno né per l'altro post: non riesco a trovare divertente qualcosa che rivanga una mia ferita. Laddove, badate bene, la ferita non è l'eventuale smacco di non aver allattato, scelta di cui proprio non mi pento, ma tutte le pressioni di chi voleva dirmi che cosa fare con una parte per me molto importante del mio corpo, una parte centrale nella mia vita sessuale ed erotica.
No, non sono una che non ha allattato per non "rovinarsi" il seno. Non sono una modella, non sono una danzatrice professionista, non lavoro col mio corpo. Confesso di essere stata un po' spiazzata dalla consistenza "liquida" che il mio seno aveva preso dopo il secondo parto, ma giusto al punto di arrivare a chiedere consiglio alla mia farmacista e acquistare un prodotto apposito, io che non uso nessuna crema in nessuna parte del corpo.
La questione è più sottile di così, e mi stupisco che in nessun approccio all'allattamento venga trattata.
Viviamo in una società dove le persone sono abituate a pensare il proprio corpo come una cosa propria e inviolabile, di cui nessuna parte è tranquillamente fruibile e accessibile da altri. Ci hanno insegnato che nessuno ci può toccare senza il nostro consenso, ed è sacrosanto. Nessuno dei nostri mariti (spero) si sognerebbe di tornare a casa e cominciare a smanacciarci senza il nostro consenso e senza alcuna delicatezza: si fa con le puttane, mi risulta, e nessuna di noi ci tiene ad essere trattata come tale. E, mi auguro, nessuna di noi si sognerebbe di trattare alla stessa maniera il proprio compagno.
Eppure, improvvisamente, si pretende che una donna cresciuta in questa cultura porga una parte così delicata e importante del proprio corpo, una zona normalmente erogena, a un altro che non la tratterà certo bene. La si esorta a sopportare il dolore di eventuali ragadi e il fastidio di questa simbiosi con un altro essere. La si liquida con fastidio quando questa donna manifesta il proprio disagio nel non disporre più liberamente del proprio corpo e/o del proprio tempo. Le si dice: se non volevi fastidi, potevi prenderti un pesce rosso.
Peggio: non la si prepara nemmeno a tutto questo. Mentre tutti sono pronti a metterti in guardia contro i dolori del parto e nei corsi preparto si parla di training autogeno, respirazione e altri metodi per calmare o ignorare il dolore, si sottolinea solo l'intenso piacere che dà l'allattamento sia alla madre sia al bambino. Beh, vi confesso: a me, abituata a concepire il mio seno come zona erogena, questo "intenso piacere" sbandierato dalla propaganda pro allattamento ha dato più turbamento del dolore. Posso ancora ancora sopportare l'idea di allattare con dolore, ma molte immagini di "allattamento-godimento" mi hanno fatto pensare a una confusione di ambiti morbosa e disgustosa. Per fortuna la realtà è che ti trasformi in una mucca e il massimo godimento fisico che provi è lo stesso di quando ti si svuota un ascesso (se qualcuna prova altro, vi prego, non venitemelo a raccontare, tenetevelo per voi).
Ecco, ora venitemi a dire che sono una superficiale che non ha allattato al seno per ignoranza, leggerezza o vanità. Certo, qualcuno lo farà: la cattiveria non costa niente.
Quel qualcuno, però, si premuri di dirmi in che cosa avrei sbagliato. Perché, a parte il mio latte, ai miei figli non è mancato niente: non il mio amore, non la mia presenza, non il cibo sano, non l'aria buona, non la mia attenzione, non il mio costante impegno a usare ogni mia risorsa per crescere persone felici.

mercoledì 10 marzo 2010

Intimità

OK, lo confesso: da quando i bambini hanno smesso di prendere il ciuccio (ottobre 2009 per Ettore, novembre 2009 per Amelia), le nostre notti hanno cambiato configurazione. I bambini hanno cominciato a svegliarsi spesso e noi, per non soccombere, li abbiamo messi in camera con noi. In lettini attaccati al nostro letto, ma separati dalla sponda, seppure abbassata.
Da lì abbiamo potuto riprendere a dormire senza grandi interruzioni (a parte notti di vomito, vedi ieri con Amelia).

Quando si parla di sonno dei bambini, si scatenano scuole di pensiero opposte, pronte ciascuna ad ogni bassezza pur di sopraffare l'altra. Copione già visto con l'allattamento, del resto.
Io vi confesso che ho sempre guardato con tanto d'occhi sia chi predica Estivill sia chi pratica il cosleeping integrale. Penso che sia innaturale abbracciare pienamente un metodo, mi sa di integralismo. Invece, quando vedo una via di mezzo, mi viene di più da pensare che quella famiglia abbia trovato la via giusta per sé e per quel momento. Come noi ora.

La principale obiezione che viene mossa al cosleeping (o più in generale a chi dorme con i figli in camera) è che l'intimità della coppia va a farsi benedire. Ma, facendo due conti, quante volte credete che, stremati e assonnati per aver fatto addormentare i figli nei loro lettini, ci siamo dati al sesso sfrenato? Tipo quasi mai.
Anzi, succedeva questo: uno di noi andava in camera con i bambini, stava lì per mezz'ora o più a farli addormentare e si addormentava lui stesso. L'altro si faceva i fatti suoi per un po', poi guardava l'orologio, si spazientiva, capiva che l'altro si era addormentato e andava a svegliarlo. Capirai che voglia di far sesso, in quelle condizioni.
Invece adesso almeno condividiamo il momento dell'addormentamento. Se loro si addormentano senza problemi e a noi avanzano ancora energie, bene, c'è spazio altrove. Se no, ci sono tanti altri momenti nella settimana o nel finesettimana. Ché poi siamo pieni di storie di coniugi la cui sessualità si è ringalluzzita quando si sono ritrovati a doversi vedere di nascosto e far finta di essere amanti.
Quello che invece mi darebbe parecchio fastidio del cosleeping è l'imposizione di un contatto fisico totale. Non a caso la maggior parte dei cosleeper va avanti ad allattare per un tempo che a me parrebbe eccessivo, se le tette fossero le mie. Non mi è mai andato il principio per cui il pupo può servirsi da solo, senza il mio consenso, e non mi va che abbia libero accesso a qualsiasi parte del mio corpo. Oltretutto, i bambini hanno in comune una cosa con i gatti: pur essendo piccoli, occupano un sacco di spazio. Solo che i gatti posso chiuderli al piano di sotto e non protestano troppo (al massimo pisciano in giro), i bambini me li toglierebbe l'assistenza sociale.
Ecco, l'intimità che a me interessa è quella di poter abbracciare mio marito e addormentarmi vicino a lui. Di svegliarmi nel cuore della notte per un brutto sogno e sentirlo vicino.
Dopotutto capisco i bambini: è così bello dormire con qualcuno. Spero che loro, quando cresceranno un pochino, possano darsi a vicenda quello che io cercavo nel dormire a casa delle amiche o nelle camerate quando si andava in gita. Quello che ho trovato nel condividere una camera con P. nel periodo in cui vivevo a Genova e ci addormentavamo morte dal ridere. Non dubito che quel momento arriverà: non vorranno dormire con noi per sempre, e per fortuna.
Un giorno, spero, chiuderanno la porta della loro camera ogni sera, per evitare che li sentiamo parlare mentre si confidano i loro segreti.

martedì 9 marzo 2010

L'arte della fuga

Era gennaio del 2008. Avevo appena smesso di lavorare in vista del parto. Ero pesante, indolenzita in tutte le giunture, raffreddata, stanca e triste. Perdipiù c'era un tempo orrendo, avevo paura del parto, della reazione di Amelia al fratellino e dell'allattamento. Avevo appena litigato con Luca che era tornato per pranzo, per una sciocchezza e per sfogare la mia frustrazione.
Mi sono messa a letto, perché non avevo la forza di fare altro (e probabilmente era questo a rendermi tanto triste e insofferente). E ho cominciato a sognare ad occhi aperti, progettando la fuga. Del tipo: mi preparo la valigia, mi metto da parte tutti i soldi che riesco su un conto online, aspetto che il bambino nasca e poi via, veloce come il vento. Da sola, ovviamente.
Ho deciso che la meta doveva essere una città grande e caotica, facile da raggiungere con una cifra non esorbitante. Ho scartato Istanbul per via della lingua e del fatto che sarei stata una donna sola, ma l'ho lasciata lì come opzione successiva. Ho deciso per Londra: una lingua che conosco e tante opportunità di lavoro, anche lavoretti tipo Mac per cominciare e mantenersi. Mi sono detta che Londra sarebbe stata l'ideale per fiutare l'aria e capire in che direzione andare, e che poi da lì avrei deciso come muovermi. Ho fatto mentalmente i conti, ho pensato a che cosa mi sarebbe stato utile e che cosa avrei potuto lasciare. Ho pensato a come coprire la fuga per evitare che mi bloccassero all'aeroporto e/o che identificassero la mia destinazione: sarei andata in treno.
Ho pensato anche alla scusa per sparire: avrei affidato i bambini a mia madre o a Luca dicendo di dover fare una serie di commissioni assolutamente plausibili (ginecologa per i punti, INPDAP per le pratiche della maternità), che avrebbe ritardato il momento in cui avrebbero capito che stavo tardando un po' troppo. Ho anche pensato a una lettera, da spedire da un posto vicino (tipo la buca delle lettere del mio paese), in cui avrei spiegato che non mi era successo niente di brutto e che non avevo intenzioni autodistruttive, solo pensavo che io sarei stata meglio senza di loro e loro senza di me. Ho pianto pensando a come sarebbe stata la mia vita senza Luca né Amelia, mi sono un po' autocommiserata e mi sono addormentata.
Il giorno dopo, ero riposata e di tutt'altro umore. Non felice, per carità (felice lo sono stata dal momento in cui Ettore è nato), ma normale.
Ovviamente, tutti i miei propositi di fuga mi sono sembrati assurdi e puerili.
Ecco però perché capisco come si sente un bambino che dice "Domani mi metto la giacca e vado via". Non nego che queste parole mi feriranno, se mai i miei figli le diranno. Ma capisco che anche solo immaginare di avere una via di fuga sia consolante e liberatorio.

mercoledì 3 marzo 2010

Gioia e bellezza

Ieri è stata una fine di giornata quasi perfetta. Dove il "quasi" è dato dall'invadenza della vicina ladra e impicciona, che abbiamo abilmente dribblato andandoci a fare un giro dai vitelli.
Prima di tutto, a differenza di oggi, c'era caldo. Un bel sole limpido fino quasi alle sei, da star fuori solo col pile.
Secondariamente, sono riuscita a tornare a casa prima delle cinque, con i bambini ancora svegli. Quindi ci siamo subito fiondati sulle altalene. Disturbati dalla vecchia cleptomane rompiballe, siamo andati a vedere le mucche intanto che il papà si faceva la doccia.
Siamo rimasti un bel po' davanti ai vitellini. Amelia mi ha chiesto se gli mancava la mamma e io ho risposto che sì, gli manca, ma il signore che si prende cura di loro li accudisce e li coccola come una mamma (è un mio idolo, questo signore polacco che dà il biberon ai vitelli).
A conferma delle mie parole, il signore in questione è arrivato, ha tirato fuori un siringone e ha fatto un'iniezione nel collo di un vitello malato di polmonite. Ehm, ma alle mamme (e ai papà) toccano anche questi compiti ingrati, no?
Poi siamo andati a vedere le mucche in procinto di partorire, quelle in lattazione e quelle incinte.
Abbiamo visto una mucca tutta nera, senza neanche un pelo bianco.
Abbiamo visto un toro miserello (il vecchio toro di razza frisona non ce la faceva più, povero, e ora al suo posto c'è uno sbarbato) e un altro toro bello e forte.
Muggendo, siamo riusciti a farci rispondere da un vitello (ma non abbiamo la più pallida idea di cosa gli abbiamo detto).
Tornati a casa, abbiamo scoperto che era arrivato il cofanetto con i 40 episodi di Shaun the Sheep che avevo ordinato 2 settimane fa. Ci siamo spaparanzati tutti e 4 sul divano e ci siamo visti i primi 8 (sono come Pingu, di circa 5 minuti l'uno).
Dopo cena (quasi col boccone ancora in gola), Amelia si è addormentata ed Ettore mi ha chiesto di vedere qualcosa su YouTube. Per "qualcosa", dal momento che Shaun adesso è stato oscurato su YouTube per questioni (sacrosante) di copyright, lui intende le Indigo e/o Bregovic. Ci siamo (ri)guardati un paio di apparizioni delle Indigo ai Tribal Fest 2007 e 2008, quelle con la musica balcanica (anche dal vivo) della Brass Menazeri. Da lì a Kalashnikov, Mesecina, Jeremiah, Ringe Ringe Raja, Hop Hop Hop, il passo è stato breve. Ad Ettore non bastava mai, continuava a dire "ancora". Finché non è crollato addormentato anche lui. Come quando, a luglio, eravamo andati a sentire il concerto di Bregovic a Collegno e lui aveva voluto restarmi in braccio fino a quando non è caduto addormentato sulle note di In the Death Car.

lunedì 1 marzo 2010

Dall'alto della torre

Mi trovo spesso a parlare di conciliazione lavoro/maternità. Sui blog e nella vita reale, sono tante le madri (sì, al 99% sono le madri) a chiedersi qual è la giusta combinazione.
Io penso (spero) di aver trovato quella giusta per me: voglio fare un part time, appena la situazione economica me lo permetterà, e stare di più con la mia famiglia. Oppure, se ad Amelia non concederanno le 24 ore alle elementari, voglio essere meno stanca e poterci essere con più energia nelle ore che ci verranno concesse.
In ogni caso, il mio lavoro può passare in secondo piano. Me lo posso permettere. Prima di tutto, perché non è il lavoro della mia vita, anche se non è per niente spiacevole. Secondariamente, perché sono una statale a tempo indeterminato e nessuno mi porterà via la sedia da sotto il sedere.
Nel primo caso, non mi sento una privilegiata: spesso mi capita di invidiare chi lavora con passione, anche se so che non è sempre rose e fiori (le mie belle nottate dietro alle scadenze le ho fatte anch'io). Nel secondo caso, invece, so di avere privilegi bastanti a tacitare qualsiasi recriminazione: ho un'assicurazione sulla vita.
A meno che qualche ministro non se ne salti fuori con qualche mirabolante proposta, il mio part time è pacifico: sono negoziabili le ore, nel senso che potrei decidere, sotto richiesta di aumentarle dal 60% che vorrei a un 70-75%.
Certo, io non ho un mutuo. Certo, io non ho (più) debiti. Certo, anche mio marito è dipendente a tempo indeterminato.
Ma anche: certo, ho pagato 30 mensilità di nido privato (per un totale di 15.000 euro) e ne pagherò almeno altre 7 o 9 (per un totale di 3500 o 4500 euro, a seconda di come passerà Ettore nella graduatoria della materna), dal momento che di nonne disponibili non ne ho e non per cattiva volontà. Certo, prima del nido ho pagato 2200 euro a una tata, sempre per il discorso di cui sopra. Certo, prendere 600 euro al mese esent-nido sarà un miglioramento rispetto a prenderne 1000 e versarne 500 al nido (+ i servizi di trasporto per Amelia, che lascio insieme a Ettore e poi viene portata alla materna). E quindi: certo, non siamo riusciti a mettere da parte nient'altro che i soldi del porcellino, che rompiamo in estate per pagarci il mare. E non riusciremo in futuro a mettere da parte molto di più, se io farò il part time.
Detto questo, io posso permettermi di non mettere da parte proprio perché sono una dipendente statale a tempo indeterminato, e questo vuol dire che il mio datore di lavoro non chiuderà in un momento di crisi, non mi scaricherà perché usufruisco dei miei diritti, non mi mobbizzerà perché ho chiesto un part time.
Ho un grande privilegio, ripeto, ne sono consapevole.
Mi fa rabbia il fatto che sia un privilegio e non la norma. Mi fa rabbia che questo part time non si possa dividere con mio marito, per fare magari io 30 e lui 34 ore, invece che 25 e 39. Mi fa rabbia che nel contratto di mio marito, come in quello di molti dipendenti privati uomini, il congedo parentale sia inesistente o penalizzante rispetto alle donne (nella maggior parte dei contratti privati mi risulta che l'uomo che decide di prendere il congedo parentale facoltativo non riceva nessuna retribuzione - però correggetemi se sbaglio). Mi fa rabbia che tanti datori di lavoro preferiscano concedere giorni di permesso "ingiustificato" anziché mettere nero su bianco che il tal dipendente - uomo- ha preso un congedo per malattia del figlio. Perché? Perché non vogliono creare un precedente.
Da ex co.pro., inoltre, mi fa rabbia che esista una legge che obbligherebbe le madri a tornare al lavoro quando i bambini hanno 3-4 mesi, e nessun nido te li prende (volutamente non parlo dello strazio di lasciare il tuo neonato a un nido, quando l'unica cosa che vorresti sarebbe coccolarlo tutto il giorno). Mi fa rabbia aver dovuto rinunciare a 5 mesi del mio stipendio, e per il sesto mese aver dovuto dire grazie alla carità del governo (sì, sono una di quelle che hanno avuto i 1000 euro per i nati nel 2005). Mi fa rabbia aver dovuto chiedere a mia madre di fumarsi un sacco di ferie per tenere Amelia ammalata, quando ero co.pro. Infine, mi fa rabbia rendermi conto che, se fossi tornata al lavoro di co.pro. dopo la nascita di Ettore, mi sarebbe convenuto stare a casa per 2-3 anni a studiare per un qualsiasi concorso nel pubblico piuttosto che sprecare soldi e tempo e fatica per mantenere un lavoro che non aveva valore.
Non parlo di ciò che si dovrebbe fare, ne parlano già in troppi. Parlo di quello che ho fatto io. Che lotto contro i conti da 5 anni e non ho in mano niente. E mi ritrovo spesso a invidiare chi lotta ugualmente con i conti, ma ha passato magari gli ultimi 5 anni con i propri figli.