lunedì 26 luglio 2010

Impressioni

Nel mondo reale, l'impressione che si riceve da una persona la si ricava da tantissimi elementi: l'aspetto fisico, la postura, il tono di voce, il linguaggio, le espressioni facciali, lo stile nel vestire, il modo di relazionarsi con gli altri, eccetera.
Nel mondo virtuale, invece, spesso abbiamo pochi elementi per valutare una persona. Spesso capita che ci sia uno scollamento tra la figura dell'autore di un blog così come la ricaviamo dai suoi post e la persona reale.
Capita un po' la stessa cosa di quando ricaviamo l'impressione di una persona dai racconti fatti dai suoi conoscenti: oltre a non averla mai vista di persona, ne abbiamo racconti sicuramente parziali, nel bene o nel male.
Tra blogger, succede spesso di chiedersi: ma tu l'hai incontrata/o quella/o lì? come ti è sembrata/o? Insomma, si mette in conto che lo scollamento ci sia e lo si vuole misurare.
Io non so come appaio in queste pagine, ma spesso chi mi incontra dopo aver letto anni di Mignolo col Prof dice di avermi immaginata proprio così. Al massimo, più alta.
Recentemente, mi è capitato di essermi stupita incontrando Wonder, che pare ancora più ragazzina di quello che mi immaginavo dalle sue pagine, e MammainD, che quando la vedi ti chiedi come faccia ad avere già 3 figli. Però si tratta di differenze solo fisiche: quando ci parli, le riconosci in tutto e per tutto.
Invece, un blog che secondo me non rende per niente la complessità e la piacevolezza della persona reale è momatwork. Leggendo solo il suo blog, mi rendo conto che è facile considerarla di volta in volta una talebana di varie fedi (allattamento, pedagogia, ecologia, neofemminismo, ecc.) o un bastian contrario o un'eterna scontenta. E invece, conoscendola di persona (privilegio che ho da 2 anni), ti rendi conto che è una persona piacevole e contenta di quello che ha, che però non si accontenta di rimanere in superficie e preferisce approfondire. E che le sue riflessioni non sono calate dall'alto, ma si modellano sulla personalità della sua famiglia e sulle esigenze dei suoi figli.
Quello che nel blog sembra un umorismo sarcastico e spesso un po' amaro si rivela una grande autoironia nella vita reale. Quello che nel blog sembra un tentativo di "sistematizzare" le esperienze è in realtà desiderio di contestualizzare il più possibile gli episodi raccontati. Quello che nel blog può apparire talebanesimo è in realtà lo specchio di un rigore senza fanatismo.
Il fatto è che ogni tanto questa immagine del blog prende il sopravvento sulla realtà anche per me, se non ci sentiamo da un po'. Non parliamo poi di mio marito, che legge ogni tanto il blog ma la maggior parte delle volte sa solo che ci siamo scambiate qualche mail o abbiamo chattato.
Si spiega così la frase con cui Luca se n'è uscito ieri, dopo che abbiamo salutato momatwork e famiglia in partenza per la Provenza: Si sta proprio bene con maw e l'udt. Pronunciato con tono quasi stupito. Al che io gli ho fatto notare che anche le altre volte che ci siamo visti, 2 anni fa, siamo stati bene. E lui mi ha risposto che sì, eravamo stati bene, ma col tono di uno che quasi se n'era dimenticato. Beh, sarà il caso di rinfrescarci la memoria più di frequente, perché persone così non si trovano tutti i giorni.
In parallelo, con momatwork è capitato di riparlare dal vivo di un post sui confronti in cui avevo fatto alcune affermazioni su Ettore. Ricordandosi di Amelia alla stessa età di Ettore, maw mi dice che secondo lei Ettore non è tanto più avanti di Amelia a 2 anni e mezzo. In effetti, mi sono ritrovata ad analizzare ciò che Ettore può aver detto in sua presenza e mi sono accorta che, nei 2 giorni in cui abbiamo avuto ospiti, Ettore ha parlato poco e niente. Ha sì giocato con i Minici e si è divertito, ma non ha detto più del necessario.
Poi oggi, dopo una giornata dai nonni con Amelia, Ettore torna a casa tutto contento e mi dice: Ciao, sono arrivato, papà sta lavando la macchina. Non ha una buona pronuncia, ok, ma mi dice le frasi che direbbe un adulto, con tutti gli articoli al posto giusto e i tempi verbali coniugati. Amelia alla sua età si limitava ad accoppiare le parole in frasi.
Insomma, un cambiamento pazzesco da Ettore com'è in famiglia a Ettore com'è con estranei, anche se ci si affeziona e ci sta bene. Penso che sarà un fattore da non sottovalutare, nei colloqui con educatori e insegnanti.

martedì 20 luglio 2010

Tornare bambini

Faccio una doverosa premessa: come si può evincere anche da questo post di una nostra amica, ci stiamo interessando di pipistrelli. Perché? Perché, in un luogo che non può e non deve fare una disinfestazione, i pipistrelli sono un'arma contro le zanzare.
Qui nel parco del Ticino, come può ben testimoniare chi è stato nostro ospite, le zanzare sono un problema grave: sono numerosissime, hanno una fame spaventosa e diventano un serio ostacolo alle uscite serali, soprattutto se si hanno bambini.
Quindi, a me (ma anche ai nostri vicini) viene naturale incentivare tutte la creature che se ne nutrono: non ammazzo i ragni né tolgo le loro ragnatele, cerco di proteggere i nidi delle rondini dai gatti, faccio i salti di gioia se vedo un rospo o una rana un po' più grandi degli altri, venero i pipistrelli come una divinità.
Recentemente, in un luogo qui vicino, durante lavori di manutenzione è stata trovata una colonia di pipistrelli. Avvisati, i guardiaparco hanno azzardato l'ipotesi che sia la più grande d'Europa.
Ieri, verso le nove, siamo andati a perlustrare il luogo, sperando di poter mostrare ai bambini qualche pipistrello vagante. Invece ci siamo accorti che era stata dimenticata aperta una porticina. Siamo entrati a turno, abbiamo lasciato che i nostri occhi si abituerassero al buio e ci siamo trovati faccia a faccia con pareti e volta gremiti di pipistrelli pigolanti, di cui molti impegnati nella fase di allattamento e svezzamento dei piccoli.
Non abbiamo fatto foto, non abbiamo toccato nulla, non abbiamo neppure illuminato con una torcia. Li abbiamo solo guardati, beatamente, per pochi minuti in tutto.
Mi sono sentita come quando da piccola leggevo i libri di Konrad Lorenz e sognavo di diventare etologa, circondata di animali e con l'unico scopo di studiarli.
Forse non sono cambiata poi così tanto.

lunedì 19 luglio 2010

Gli inganni dell'informazione

Ogni tanto, complici i formaggi di mio marito, ci troviamo con alcuni amici di Torino. Lei è l'insegnante che ognuno sogna per i propri figli: preparata, attenta ai bisogni dei ragazzi più che al loro rendimento, sempre in continuo approfondimento delle proprie materie. È laureata in biologia, come Luca, e insegna alle medie, in un paesino intorno a Torino.
Parlando di vari argomenti, arriviamo a toccare un punto dolente: il modo in cui l'informazione italiana riporta notizie riguardo scuola, scienza, giovani, Internet e tanti altri argomenti.
Lei sostiene che, la maggior parte delle volte che legge una notizia su un quotidiano, si rende conto che, se la notizia è relativa ad ambiti che lei conosce bene, trova SEMPRE travisamenti, imprecisioni, gravi errori di interpretazione. Giustamente, si chiede: se negli ambiti che conosco bene funziona così, negli altri posso supporre che le notizie vengano date con precisione e correttezza?
Mi rendo conto che, senza essere passata coscientemente per questa domanda, io ho deciso per il no. Ed ecco che, per informarmi, prendo spunto dal GR di Radio DeeJay (perché è scarno ed enunciativo, senza interpretazioni delle notizie), per poi approfondire per conto mio attraverso la mia rete di conoscenze o la lettura di blog apposta o addirittura, se una questione mi sta molto a cuore, comprando libri sull'argomento. Il meccanismo si amplifica e diventa più efficace quando lo facciamo sia io sia Luca.
Non è un caso, infatti, che la prima volta che ci siamo trovati a instaurare questa procedura sia stata con gli OGM. Luca era un no global che aveva partecipato al G8 di Genova e che rifiutava gli OGM, la globalizzazione, le multinazionali, eccetera. Io ero un'aspirante genovese che aveva vissuto il G8 come una violenza sulla città che amava, consideravo i manifestanti dei fancazzisti da centro sociale con gran tempo da perdere (intanto che Carlo Giuliani si faceva ammazzare, io facevo le notti per una scadenza sul lavoro), consideravo la globalizzazione un processo da regolamentare e non arrestare, mentre degli OGM pensavo tutto il bene possibile. Una coppia ben assortita, non c'è che dire.
All'inizio, Luca si informava su OGM, additivi e biologico comprando libri alle fiere dell'equo e solidale. Ma c'era un vizio di fondo: troppo facile comprare libri anti-OGM nel covo dei no global. Ma del resto la comunità scientifica era troppo impegnata a pubblicare studi accademici, nessuno pensava di fare divulgazione scientifica sull'argomento.
Poi abbiamo scoperto il blog di Dario Bressanini, la Scienza in Cucina, derivante dall'omonima rubrica su Le Scienze. Qualcuno potrà dire: Bressanini è pro OGM. Sì, Bressanini è pro OGM e lo dice. Però fornisce riferimenti scientifici che possono essere facilmente rintracciati, e che infatti noi abbiamo letto. Però dà anche voce all'"altra parte", e ammette alcune ragioni anche se le trova valide solo a livello emotivo e culturale.
Grazie al blog di Bressanini, siamo potuti partire per tanti approfondimenti e siamo arrivati a conclusioni a volte uguali a quelle di Bressanini e a volte diverse, ma comunque sempre basate su dati e non su tifoserie.
Vedendo che questo processo dà i suoi frutti, mi è venuto naturale applicarlo anche ad altri ambiti. Per esempio, sul terremoto dell'Abruzzo non riuscivo a farmi un'opinione, c'erano troppe voci contrastanti: da un lato i miei ex colleghi di Meccanica Strutturale / Eucentre mi raccontavano una storia (abbiamo fatto in frettissima lavorando come matti, la gente è entrata nelle case, progettiamo di fare altre case in più) e dall'altro Mammamsterdam e MisKappa raccontavano ben altro. Allora ho pensato di chiedere un parere a una persona che lavora in Protezione Civile, che conosco bene e che considero al di sopra delle parti. Fatico ancora ad arrivare a una conclusione, ma sicuramente ho le idee più chiare in merito.
Capisco bene che non tutti possono conoscere persone "esperte" e che comunque anche un esperto può dare una visione solo parziale degli eventi. Però mi sembra più intellettualmente onesto cercare di comporre il mio personale puzzle, sapendo che ci sono tessere mancanti, piuttosto che affidarmi in toto a un'informazione che so essere incompetente e fuorviante.
Mi chiedo se i giornalisti, che sicuramente hanno più agganci di me per trovare persone anche più esperte, non possano fare lo stesso, invece di fare riassunti approssimativi e di dare interpretazioni a caso. A volte basterebbe riportare paro paro le dichiarazioni di tali esperti, come se fossero l'equivalente di un guest post: credo che molti ricercatori, pur di non vedere svilito e travisato il proprio lavoro, sarebbero ben contenti di scrivere un breve articolo di chiarimento. Forse, in questo modo, i giornalisti diventerebbero "solo" dei content manager, incaricati di organizzare i contenuti e di scrivere eventualmente i pezzi di collegamento e le presentazioni degli articoli.
Ma sarebbe così grave, ammesso che ne fossero capaci?

martedì 13 luglio 2010

Genesi di un personaggio

Pavia, sette-otto anni fa. Vivevo da sola, ero tornata a scrivere dopo un periodo immobile, avevo da poco scoperto la danza e le dedicavo gran parte del mio tempo libero.
Una delle mie compagne di danza doveva darmi un CD e mi diede appuntamento per l'aperitivo in un bar che di solito non frequentavo. Per un altro caso, ci ricapitai pochi giorni dopo con un'altra amica.
Come spesso succede con i bar, mi accorsi che c'era una clientela fissa. Tra questi, un ragazzo sui 30-35, su una sedia a rotelle. Capelli scuri molto corti, occhi azzurri, faccia un po' scarna e fisico tendenzialmente nervoso. Era vestito in modo elegante, tipo camicia bianca e giacca blu ma senza cravatta. E aveva delle cicatrici piuttosto vistose che gli solcavano tutta la testa.
Mi capita spesso di farmi dei film sulle persone che mi colpiscono, in particolare su quelle che evidentemente hanno una storia particolare alle spalle. Di questo ragazzo, che avevo già intravisto altrove a Pavia, pensai che avesse avuto un brutto incidente stradale e che cercasse giustamente di non perdere le abitudini e gli amici di "prima".
Avevo già in testa una storia, abbozzata a grandi linee, in cui interagivano quattro personaggi principali: una donna, un trafficante di alto livello, un aiutante del trafficante che poi si sarebbe rivelato una spia e un ex poliziotto che voleva incastrare il trafficante. Avevo stabilito che tutti e 3 i personaggi maschili dovevano essere innamorati della donna, a vario titolo. E che per lei non sarebbe stato possibile sceglierne uno solo: il trafficante era un criminale, l'aiutante viveva sotto copertura e l'ex poliziotto... boh, che fosse un ex di una sua amica mi pareva troppo debole.
Ed ecco l'illuminazione: l'ex poliziotto è un disabile. Peggio: è finito su una sedia a rotelle a causa del trafficante, ma non può incolparlo direttamente perché apparentemente il trafficante è pulito.
Scrissi poi quella storia, che non brilla per bellezza e che non ho voglia di migliorare.
Perché nel frattempo ho inserito l'ex poliziotto in Viola, inquadrandolo nei tempi in cui era ancora in polizia ma già era ossessionato dal trafficante. Via via, Viola è diventata la storia principale, quella su cui puntare, e quel racconto di 7 anni fa è rimasto una specie di sequel a cui accennare nel finale di Viola e nell'eventuale serie.
L'ex poliziotto sulla sedia a rotelle è ringiovanito fino a diventare Darius, il capo di Viola in una squadra antiterrorismo coinvolta nella sicurezza del G8. Nella mia testa, ho cercato di immaginare quel ragazzo del bar in piedi, senza cicatrici e senza la consapevolezza della disgrazia che l'avrebbe colpito. Gli ho attribuito tutta la stronzaggine che un essere umano può sopportare, perché farne uno stinco di santo sarebbe stato stucchevole. Gli ho attribuito anche una buona dose di ingenuità e ottusità, sia dandogli una compagna fatua e opportunista sia facendolo raggirare da Stefan.
Nella sceneggiatura, ho cercato di descriverlo meglio che potevo, sperando che magari al mio disegnatore venisse un'idea in proposito e me la proponesse. Giustamente, però, ieri il mio disegnatore mi ha chiesto se magari potevo indicargli un attore o una persona che potesse andare bene per impersonare Darius.
Non potendo andare a cercare quel ragazzo per scattargli una foto (con che scusa? nemmeno io potrei fare una cosa del genere senza provare vergogna), ho cercato un volto che potesse esprimere bene la personalità di Darius.
In un primo tempo, ho cercato un attore che avesse le caratteristiche fisiche di Darius, ma mi sono arresa: nessuno era adatto. Allora ho ampliato la ricerca e sono arrivata alla conclusione che mi ci voleva un tipo fisico completamente diverso dagli altri personaggi principali, uno che potesse essere credibile come piacione un po' stronzo ma anche facilmente manipolabile, uno bello che sa di esserlo e te lo sbatte anche un po' in faccia, uno in grado di non vergognarsi di avere una compagna indifendibile... insomma, per farla breve mi è venuto in mente Beckham.
Darius sarà quindi liberamente ispirato a Beckham. A volte nella vita fai cose che non ti aspetteresti mai.

Aggiornamento del giorno dopo: complici il destino e una serie di associazioni di idee, ci ho ripensato. Non divulgherò l'immagine di Beckham, per quanto appiccicata a un personaggio che fa una magra figura. Mi son ritrovata davanti Jonathan Rhys-Meyers nel ruolo di Enrico VIII e ho pensato che sì, ci siamo, ecco la giusta dose di bellezza, stronzaggine e, diciamolo, un pizzico di dabbenaggine per passare alla storia come quello che ha voluto uno scisma per sposare una che poi ha fatto decapitare poco dopo.

venerdì 9 luglio 2010

Quanto tempo

In questi giorni, non sono riuscita a scrivere molto. Qualche commento qua e là, ma niente che richiedesse un'applicazione di più di un minuto.
Sono stata impegnata col mondo reale. Impegni piacevoli, perlopiù: abbiamo avuto ospiti, ci siamo ambientati nel nuovo assetto estivo (con me e i bambini a casa), ho seguito 3 seminari della mia maestra preferita e assistito ieri allo spettacolo finale, sto facendo una revisione linguistica per un progetto di un network di insegnanti a cui partecipa un'amica. Ho anche avuto il tempo di leggere Dampyr, Cassidy e Greystorm di questo mese, oltre a un interessante opuscolo Disney sui pipistrelli (abbinato alle batbox che abbiamo comprato in offerta alla Coop).
Però sono stati anche giorni di recupero dei ricordi: ricordare tutto ciò che riguarda la danza, certo, ma anche ciò che le gira intorno.
In particolare, sono "perseguitata" dal ricordo di una bella giornata di 3 anni fa. Era tipo il 2-3 settembre, io ero incinta di Ettore. Il giorno prima eravamo tornati da Levanto, la nostra prima volta là, con Isabella e Dhaou. Pochi giorni prima, ci aveva chiamati la Pedretti dicendo che le serviva un percussionista per uno spettacolo di strada a Castell'Arquato e noi figurarsi se avevamo detto no.
A pensarci adesso, a me con la pancia e un passeggino da camallarmi su e giù da un borgo medievale tutto in salita, con 2 tamburi e una bambina di neanche 2 anni al seguito, mi sembro un po' pazza. Probabilmente mi sto impigrendo. O probabilmente è solo che non mi è più capitato di avere un'occasione simile, perché dico la verità: se la Pedretti volesse tornarci, le basterebbe mandarmi un SMS il giorno prima.
Già il clima dell'evento era piacevole: un festival di artisti di strada disseminati per tutto questo suggestivo borgo medievale, ognuno con il suo spazio e il suo momento.
Noi avevamo due momenti: uno nel tardo pomeriggio, in una piazzetta, e un altro (forse in doppia replica, non ricordo bene) sul palco della piazza principale. Ovviamente io mi occupavo solo di badare ad Amelia e fare qualche foto, mentre Luca suonava e le due danzatrici (la Pedretti e la Centonze) ballavano.
Ricordo ancora la faccia di Amelia quando Francesca ha aperto il suo trolley e ha cominciato a vestirsi e agghindarsi. Ad un certo punto, ricordo che aveva preso in mano un bastoncino colorato tipo quelli che si appuntano nelle acconciature e l'aveva messo sulla testa come un bastone da saidi. Francesca ne era rimasta abbastanza stupita: si sarebbe aspettata che Amelia usasse il bastoncino in tutt'altro modo, più "da piccola".
Subito dopo un'esibizione, poi, sono passata vicino a due bambine che avevano assistito e le ho sentite che dicevano: "Io sono quella nera" - "E io sono quella verde". Si riferivano ai costumi delle danzatrici e le "usavano" come se fossero personaggi di fantasia, un po' come Ettore quando mi dice di essere Lian Chu o Amelia che vorrebbe essere Zoria ma anche Zazà.
Non so perché, ma a distanza di anni questo ricordo mi fa ancora tenerezza. Forse perché mi dimostra che ci vuole veramente poco per far breccia nel cuore dei bambini, non è indispensabile essere una corazzata da milioni di euro.
Poi di quella sera ricordo anche tante chiacchiere, su tutto: su idee di spettacoli futuri, sui figli, sugli gnocchi fritti, sugli spettacoli degli altri artisti. Mi è rimasta un po' di nostalgia, perché all'epoca tante cose erano più precarie ma anche più aperte alla speranza e alla sperimentazione. E perché da allora non è più capitato, se non al telefono, di farmi una così serena chiacchierata con la mia maestra, che è una persona con cui si sta gran bene anche al di fuori del contesto danzereccio.
Certo, col senno di poi non tornerei indietro: oggi sono maturati tanti presupposti di allora, è nato e cresciuto Ettore, la Pedretti ha seguito un suo percorso artistico e personale che mi entusiasma ancora di più, sono nate e morte amicizie e inimicizie, ho conosciuto e ritrovato tante persone.
Però ogni tanto penso a quel festival e mi dico che sono queste le giornate che racconterò ai miei figli e ai miei nipoti quando sarò bell'e rincoglionita dall'Alzheimer. E, se non me le ricorderò io, ci penserà il mio blog.

domenica 4 luglio 2010

Cultura e cultura

Chiariamo un punto prima di tutto: ho fatto il liceo classico e Lettere Moderne, ho letto una buona quantità di classici italiani, greci, latini ed europei, amo i libri molto di più delle persone che li hanno scritti.
E, già che ci siamo, chiariamone un altro: non credo che esista la distinzione tra Cultura e cultura. Credo che uno che sa tutto dell'Arcadia ma non conosce i Queen sia tanto ignorante quanto una che ha in casa la collezione completa di Dampyr e Dago ma non ha mai avuto il coraggio di affrontare Proust (ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale).
Credo che scrivere un buon saggio sia molto meno difficile che scrivere della buona narrativa, e parlo con cognizione di causa dal momento che ho provato entrambi i tipi di scrittura. Certo, leggere un saggio può essere considerato da molti più noioso che leggere della narrativa. Ma viene anche considerato più figo, quindi spesso il gioco vale la candela.
So per certo, inoltre, che scrivere buona letteratura cosiddetta "d'intrattenimento" (non parliamo poi di sceneggiare un fumetto) è molto più impegnativo che scrivere un romanzo di alti sentimenti e alta morale. Perché dico questo? Perché la letteratura che sa di avere un pubblico deve rispettare standard qualitativi relativamente alti in tempi di realizzazione piuttosto stretti.
Pensiamo per esempio a Fred Vargas: mediamente sforna un libro all'anno / ogni due anni, buttato giù nei famosi 21 giorni di ferie che si concede apposta. Prendiamo il suo ultimo libro, Un luogo incerto: oltre a dover pensare a una trama avvincente e non propriamente scontata, l'autrice si è documentata parecchio sul vampirismo in Europa e in Serbia, arrivando a una profondità e ad un'accuratezza che probabilmente uno sceneggiatore di Hollywood si sognerebbe (anche se credo che in proporzione alle vendite uno sceneggiatore americano prenda più soldi della Vargas). Ha snidato temi che probabilmente sono conosciuti da quei pochi pazzi appassionati e dagli studiosi di etnoantropologia. Ha trovato il modo di integrare la realtà storica nella finzione, rendendo il tutto contemporaneamente surreale ma credibile. Se non è arte questa...
Oppure, prendiamo un mostro sacro del fumetto, Alan Moore (a questo punto, se pronunciate questo nome davanti a un pubblico di fumettari/fumettomani, vedrete tutte le teste accennare a un inchino di ossequio o di presa di coscienza). Io non sono né di quelli che lo venerano né di quelli che lo considerano un cialtrone, ma mi inginocchio di fronte alla Lega degli Straordinari Gentlemen. Non tanto e non solo per l'idea narrativa (incredibilmente goduriosa per chi ha amato la letteratura d'evasione a cavallo del Novecento), quanto per l'immenso lavoro di documentazione, citazioni e riferimenti che si può notare dalla sceneggiatura. Sarà fumetto, sarà intrattenimento, ma si può imparare di più da una simile lettura che da un saggio o un documentario.
Mi si dirà: Alan Moore è un genio. Allora andiamo sul nostrano: Bonelli. Prendete un qualsiasi Dampyr, di quelli che parlano di attualità o di storia, e provate a fargli le pulci. Io sulla storia non ci riesco, magari qualcuno più ferrato di me sull'attualità può provare. Stiamo parlando di gente che si documenta su miti di tutto il mondo per non sparare cazzate a vanvera, di persone che fotografano persino il bancomat dove Harlan e Kurjak ritirano e che, appena possono, ti fanno capire in che parte del mondo sono finiti i nostri eroi, con tanto di cartina (il che sarà molto utile alle nuove generazioni, se si eliminerà la geografia dalle scuole).
Occhio: non dico questo perché sto scrivendo Viola. Lo dico perché, una lontana mattina di 20 anni fa, una professoressa di italiano del ginnasio ci sbatté in faccia questa stessa verità che io sto enunciando. Noi eravamo appena entrati al ginnasio belli carichi di essere nel tempio della Cultura, depositari di un Sapere superiore. E lei ci spiegava l'Eneide con riferimenti ad Asterix, ci esortava a non disprezzare la letteratura di genere e a considerare che tutta la letteratura può essere considerata di genere (Jane Austen narra di vicende sentimental-matrimoniali come un Harmony, sebbene con enorme maestria). Lei fu la prima a spiegarci come la cosiddetta sottocultura non sia tale perché è inferiore, ma perché costituisce una base per le opere di valore, che vi attingono a piene mani e vi trovano un linguaggio da usare e talvolta reinventare. Perché Graham Greene potesse scrivere "Il nostro agente all'Havana" era necessario il successo di 007 e in generale di tutta la letteratura di spionaggio nata con la Guerra Fredda. OK, è anche vero che senza "Dracula" di Bram Stoker probabilmente non avremmo Twilight, ma nemmeno Nosferatu con Klaus Kinsky o il Dracula di Christopher Lee.
Questo per dire che sono io la prima ad alzare gli occhi al cielo quando vedo in libreria le pile dei libri di Twilight o quando i miei figli vanno in visibilio per l'ennesimo libbricino Dami, ma sbaglio. Chi legge legge, non importa cosa.