giovedì 30 settembre 2010

Il caos dentro me

Mi sento come se mi avessero infilato in una lavatrice gigante con una serie di oggetti a casaccio: il mondo mi guarda con curiosità mentre io vengo sballottata di qua e di là dal programma di lavaggio.
Sul lavoro è un periodo intenso, di quelli in cui rispondi al telefono 3 volte in 5 minuti (giuro) ma almeno ti senti utile, non un ingranaggio del perverso meccanismo della burocrazia.
Amelia è stata malata e ho passato 4 giorni (weekend compreso) chiusa in casa con lei ed Ettore, molesti e sciocchi a livelli impensabili solo un mese fa. Giuro che ho avuto la forte tentazione di mollare tutto e mettermi a fare homeschooling, se questi sono i risultati del ritorno tra gli altri bambini (soprattutto per Amelia). Ciononostante, ho parlato con le nuove maestre di Amelia (tutto il personale della sua scuola è stato sostituito) e mi sono sembrate in gamba: un po' più anziane delle precedenti, ma molto più rilassate anche nel rilevare i "difetti" di Amelia (nel senso: si sono accorte che si distrae, ma lo ritengono un aspetto fisiologico dovuto in parte all'età e in parte alla personalità della bambina).
Ho avuto anche molte attività extralavorative: da un lato quell'iniziativa di cui vi parlerò meglio se andrà in porto, dall'altra la ripresa del mio corso di danza. Ché sembra una cazzata, ma anche solo preparare le musiche e pensare a quale successione di movimenti insegnare porta via un sacco di tempo.
E poi ho iniziato mio marito alle delizie dello streaming video: da anni ero curiosa di vedere Dexter e ho colto l'occasione per farlo con lui. Ora siamo alla quarta puntata e siamo ormai dipendenti da questa vicenda assurda del serial killer dei serial killer: dal momento che le nostre gatte ci hanno assuefatti a visioni ben più disgustose di quelle del telefilm, ci godiamo il lato divertente e surreale della serie.
Dall'altro lato ancora, lunedì finalmente è arrivato il regalo che mi ero fatta per il mio compleanno, ovvero gli arretrati per completare la serie di Gea. Lo so, chi mi conosce sa che, sebbene Lilith mi piaccia molto, ero diffidente nei confronti della precedente creatura del suo autore: dalle poche tavole che avevo visto, Gea mi sembrava uno scimmiottamento dello stile manga, con la sua unione di elementi buffi con elementi altamente drammatici. Invece, il ritrovamento di due albi di Gea nelle edicole di Levanto mi ha fatto cambiare idea, radicalmente: Luca Enoch ha trovato un suo tono, magari ispirato anche ai manga e/o ai film d'azione, ma tutto suo. Un tono che unisce episodi buffi a scene serie, che sdrammatizza alcune situazioni senza banalizzarle, che restituisce una grande ricchezza di registri senza risultare infantile e stridente come i manga (penso ad Angel Sanctuary, per esempio: vicenda cupissima spezzata da scenette che per il nostro gusto occidentale sono irritanti e fuori luogo). E una bravura che riesce a coniugare il mondo di una rockettara adolescente con i testi sacri di tutte le religioni senza risultare supponente o incongruo.
Gea mi ha emozionata e divertita come i migliori romanzi. Mi sono innamorata del giovane Arconte, e mi è piaciuto moltissimo il modo in cui Enoch ha manovrato in modo che l'unione di Gea con lui non risultasse un tradimento nei confronti di Leonardo. Ho apprezzato anche tantissimo il modo in cui vengono da subito presentati i nemici: non come esseri umani perché son demoni, ma con sentimenti nobili e delicati verso i loro cari, persone che lottano perché hanno le loro ragioni e i loro diritti. Ho voluto bene alla Diva e ho rispettato il suo Rakshasa, che si fa ammazzare per proteggere lei.
Per una narrazione che mi ha soddisfatto, una che mi ha delusa (non che mi aspettassi molto in verità, ma di più sì): La leggenda degli uomini straordinari. Dal momento che il film è ispirato a un fumetto di Alan Moore che mi aveva molto divertita, mi aspettavo che la formula non venisse cambiata più di tanto.
In effetti, in apparenza è così: c'è questo gruppo di persone straordinarie, tutte prese dalla letteratura di fine '800 - primi '900, che si adopera per la salvezza dell'Impero Britannico e del mondo.
Nel fumetto, queste persone sono Mina Murray (ex moglie di Jonathan Harker), il Capitano Nemo, Allan Quatermain, l'Uomo Invisibile e Dr. Jekill (ma molto di più Mr. Hyde). Mina Murray raduna questo gruppo di recalcitranti supereroi ante litteram e li comanda con il pugno di ferro, il che dà origine a situazioni e battibecchi piuttosto divertenti.
Il fumetto è un sontuoso divertissement, una festa di citazioni vittoriane, divertente e raffinato.
Nel film, a parte i cambiamenti fatti nella composizione del gruppo (che ci starebbero anche), la variazione che mi irrita di più è che la leadership del gruppo passa da Mina a Quatermain. Mina è solo una comprimaria, peraltro un po' torda, che subisce un'evoluzione da gatta ninfomane a iena scatenata.
Basterebbe questo a farne un film decisamente evitabile. In materia di film tratti da fumetti, mi sa che mi conviene sedermi sulla sponda del rigagnolo e aspettare che esca Hellboy III.

martedì 28 settembre 2010

L'occidentale emancipata

Da Piattini, per la nuova rubrica sfashion, si parla di velo. E io, che con (un altro) velo ci ballo, non ho potuto esimermi dall'intervenire.
Al di là dell'imposizione del velo, su cui si è detto di tutto e su cui cambio opinione ogni 10 minuti, credo che ci sia da sfatare un mito. Ovvero il fatto che noi (occidentali) siamo giuste, emancipate, evolute, libere di fare ciò che vogliamo. Mentre loro vivono in una specie di Medioevo oscurantista e violento.
Cominciamo col dire che il problema non è la religione. La maggior parte degli indiani non è musulmana, ma induista o sikh, ma mi pare che le loro donne non se la passino bene: matrimoni combinati, guai se divorzi (già illuminate quelle famiglie che ti permettono di separarti se il marito ti picchia, e guai se ne cerchi un altro), i figli te li cresce la famiglia (anche se magari sta a centinaia di km da te). Per gli africani subsahariani, poi, la religione è del tutto secondaria rispetto all'appartenenza etnica e alle tradizioni a cui sono legati. E non mi sembra che i cristianissimi slavi abbiano molto più rispetto delle loro donne, dal momento che le statistiche europee sulla violenza alle donne sono completamente sballate dall'inclusione della Russia nel campo di ricerca (ve la ricordate quella storia delle principali cause di morte per le donne tra i 16 e i 45 anni?).
E faccio presente che, per tutti i popoli che ho citato, non c'è un dress code unico: in molte parti dell'India le donne possono mostrare senza problemi la pancia, cosa che da noi è considerata appropriata in discoteca e sulla spiaggia, mentre non mi risulta che nelle tribù africane dove le donne vanno a seno nudo ci sia tutta questa eguaglianza uomo-donna.
Quando guardiamo questi popoli, siamo giudici spietati: li consideriamo popoli da educare, da portare al nostro livello come se fossero inferiori. Il confronto ci fa sentire forti ed evolute. Salvo poi scoprire che non è proprio così.
Pensiamo, per esempio, alla divisione dei lavori tra uomo e donna. Siamo ben pronte a condannare le donne velate, se le vediamo cariche di borse mentre il marito ha le mani libere. Ma quante volte questa scena ci passa sotto il naso con interpreti italiani, quando addirittura non la viviamo noi?
Esempio n. 1, tratto dai miei ricordi: anni fa, avevo un amico che venerava i suoi genitori come un modello di vita coniugale. Ne aveva una stima incredibile, ben superiore a quella che ho io dei miei. Io però ho sempre solo intravisto sua madre e mai incontrato suo padre. Parlando di questa coppia ideale con un altro amico, che li conosceva bene, è saltata fuori quest'immagine: lei (una tipa minuta) passa con le borse della spesa davanti al bar dove è seduto il marito, il marito si alza e la segue ma senza minimamente accennare a prenderle una borsa, lei non glielo fa notare e non gli chiede nulla.
Esempio n. 2, tratto dall'osservazione delle coppie sulla spiaggia: in un buon numero di volte, vedo la donna tirarsi dietro tutte le borse del mare + eventuale bambino per mano, mentre l'uomo al massimo regge il giornale.
Esempio n. 3, ché se lo legge mia madre si incazza perché divulgo il fatti di famiglia: io, mia madre e i bambini stiamo andando a casa di mia madre per pranzo. Lei chiama mio padre, nel frattempo già rientrato, e gli chiede di mettere su l'acqua per la pasta in una specifica pentola, di cui gli indica le coordinate. Lui non trova la pentola descritta e lei si incazza, dicendogli di lasciar perdere ché farà lei.
Che cosa significano questi esempi, secondo me? Significano che le donne occidentali non sono molto diverse da quelle arabe: siamo talmente convinte di essere inferiori da scambiare il peso delle responsabilità per un'attribuzione di importanza e da credere che avere potere significhi fare tutto noi senza delegare.
Mi si dirà: ma da noi almeno il processo è in atto. Per carità, chi ben comincia è a metà dell'opera, ma l'opera non si completa da sola.
Quante ragazze italiane hanno problemi a uscire con le amiche perché il fidanzato è geloso? Quante donne italiane, prima di fare qualcosa per sé, si sentono in dovere di pensare prima alla famiglia (anche quando questo significa preparare la cena a marito e figli, come se potessero morire di fame)? Quante donne italiane si sottomettono a mariti violenti o prevaricatori "per il bene dei figli" o semplicemente perché non saprebbero come mantenersi altrimenti? Quante ragazze italiane hanno avuto più problemi a studiare rispetto ai fratelli maschi perché la famiglia non voleva saperle sole in una città lontana? Quante ragazze/donne italiane evitano di vestirsi in certi modi per non attirarsi le ire del padre/marito o semplicemente per non essere giudicate delle zoccole dalla vox populi? Quante donne italiane vengono perseguitate dall'ex fidanzato/marito, a volte fino alla morte?
Io spero che siano sempre meno, ma ce ne sono ancora tante. Il solo fatto che ci siano ci rende inadatte a scagliare la prima pietra contro le islamiche.
Ci sono ragazze musulmane che seguono le regole di vestiario imposte dai genitori per poter studiare liberamente: sono tanto diverse da quelle ragazze che vanno in convitti di suore pur di poter fare l'università in una città troppo lontana dal paesello?
Dopotutto, noi donne siamo abituate da sempre ad accontentare la famiglia: al figlio maschio si perdona tutto, ma la femmina non deve sgarrare. Poi possiamo parlare del fatto che in effetti le femmine corrono più pericoli dei maschi, nella nostra società. Ma già questo è indice di uno squilibrio che non ci dà il diritto di crederci emancipate. E non tiriamo fuori la solita storia degli stranieri che rendono insicure le città, per favore: io abitavo di fianco a un pub frequentato da tifosi di una squadra locale, gentaglia ignorante e volgare tanto quanto quelli che si ubriacano fuori dai call center. Avevo dei vicini senegalesi, tutti ragazzi che facevano chissà quali lavori da schifo (visti i loro orari), ma non mi sono mai sentita men che rispettata, nonostante vivessi sola e non conducessi certo una vita da monaca.
Mi si dirà: tu potevi scegliere se vivere da sola o no, spesso loro no. Ah sì? Io potevo scegliere? Quante ragazze conoscete che, senza nessuna impellenza logistica, vanno a vivere da sole in un monolocale da 20 mq e con la benedizione dei genitori? Io ne conosco ben poche, e nemmeno io sono tra quelle: per mia madre il fatto che vivessi sola era fonte di continua angoscia, ha "ceduto" solo perché avevo cominciato a lavorare per mio padre e anche lei capiva che vivere col tuo datore di lavoro è una cosa ben pesante.
Insomma, questo per dire che tutti, persino la sottoscritta paladina delle pari opportunità, viviamo sulla nostra pelle una cultura che tuttora discrimina le donne. Lo fa in modi più sottili o forse non ce ne accorgiamo perché ci siamo abituati. Un po' come col clima. Solo che il clima non dipende da noi.

lunedì 27 settembre 2010

Terapia d'arredamento

Quando ero adolescente, ero spesso (sempre) a studiare a casa di una mia amica. La famiglia di quest'amica viveva nella casa che era stata dei genitori di sua mamma: con l'arrivo e la crescita dei vari nipoti, i nonni si erano ritirati in un appartamentino a piano terra e avevano lasciato alla famiglia della figlia il resto della casa. Quindi la mamma della mia amica non era mai vissuta in un posto diverso da quella casa (e ci vive tuttora).
Non so se per inquietudine o per noia o per desiderio di evasione (come sempre, avere vicini i genitori è un'arma a doppio taglio, perché poi te li devi anche sciroppare), la mamma di questa mia amica cambiava spesso disposizione dei mobili in casa. Appena poteva, faceva qualche miglioria, aggiungeva e toglieva mobili (spesso di recupero).
Ecco, io oggi mi ritrovo a capire la signora S., eccome. Infatti mi trovo in una situazione in cui mi sento paralizzata: non posso trasferirmi da questa casa, perché è gratis e io non sono come certi miei vicini che disprezzano la casa in cascina per andarsi a impiccare con un mutuo a 2 km da qui. In più, vorrei andarmene da Pavia e andare a vivere in un posto climaticamente e umanamente migliore (l'ideale sarebbe Genova), ma non posso perché mio marito ed io non riusciamo a trovare altrove due lavori altrettanto sicuri e vantaggiosi.
In realtà, da quando sono entrata in questa casa, quasi 7 anni fa, non c'è stato un assetto che sia durato più di 6 mesi: prima perché Luca da single viveva senza armadi e senza librerie, poi perché lavare i piatti senza uno scolapiatti non era il massimo, poi ancora perché un amico ci ha regalato un mobiletto per la TV, e via via attraverso le nascite dei bambini e la loro crescita.
L'anno scorso, arrivata al culmine dell'immobilismo, ho deciso di progettare il famoso cambio della cucina che ci ha tenuti in ballo per tutta l'estate (e che però ci ha meravigliosamente semplificato la vita, oltre ad aver dato al piano terra della casa un aspetto più decoroso).
Quest'anno, forse per scaramanzia rispetto al cambiamento che desidero e che non so se otterrò, o forse per proiettarmi nella prossima estate con un progetto concreto, stiamo pensando di riordinare la nostra camera da letto, eliminando un armadio e un cassettone di recupero e comprando un grande armadio unico e capiente. Armadio Pax Ikea, per carità, con le ante bianche che sono anche le più economiche (oltre ad essere quelle più adatte a illuminare la stanza, molto buia). Il passo successivo sarebbe mettere nella parete opposta una libreria Expedit con contenitori, al posto di un IVAR raffazzonato che viene ancora dalla ristrutturazione del piano di sotto.
Costo del tutto, circa 600 euro + la libreria, saranno 700 al massimo. Quindi, economicamente fattibile. Il motivo per cui rimandiamo l'impresa alla prossima estate è che Luca temporeggia: non so se è più spaventato dall'idea di avere il contenuto degli armadi a spasso per un po' o da quella di dover smontare e trasportare il vecchio armadio, che ha il peso specifico del piombo.
Io nel frattempo, come avevo fatto per la cucina, mi cullo nella fantasticheria di come quell'armadio nuovo cambierà la mia camera, di quanto sarà comodo e quindi renderà più facile il riordino, di quanto sarà capiente e quindi mi eviterà di avere roba sparsa ovunque, di quanto sarà luminoso rispetto al color legno scuro degli attuali mobili.
E capisco profondamente la signora S.

venerdì 24 settembre 2010

Sogni e speranze

Capita che a volte una mamma si dimentichi di avere 34 anni e si butti a capofitto in un'impresa. Un'impresa di quelle che non possono che incasinarle la vita, a fronte di nessun aumento di stipendio. Anzi: è probabile che l'impresa faccia aumentare i costi. E che alla fine non produca nessun beneficio durevole: tutto finisce e tu ritorni alla routine di prima. In realtà è anche possibile che l'impresa finisca sul nascere, perché non hai i requisiti o non sei abbastanza preparata o c'è qualcuno migliore di te.
Ti ritrovi a inseguire una scadenza e a impazzire dietro cavilli burocratici, mettendoci quasi 3 ore per inoltrare un semplice form online. In quelle 3 ore, i tuoi figli hanno giocato con la bambina dei vicini, hanno osservato con meraviglia una mantide religiosa, hanno coccolato il cane dei vicini, hanno aiutato il papà a spuntare i fagiolini. Quando hanno cercato di disturbarti, hai urlato. Non ce l'avevi tanto con loro, quanto con un'amministrazione che fa di tutto per metterti in difficoltà.
E poi ti sei ritrovata alla sera, sola con loro perché il papà era a una riunione della loro scuola. Amelia ti ha chiesto conferma del fatto che non eri arrabbiata con lei. E tu le hai spiegato che, se tutto va bene, sarai un po' meno presente nella loro vita, sarai spesso in un'altra città, ma tornerai sempre a casa, tutte le sere.
E lei, facendo un collegamento che non ti aspetteresti mai (perché proprio non c'entra niente con quello che andrai a fare né con quello che fai attualmente né con i discorsi degli ultimi giorni), ti chiede: "Vai a lavorare con Bregovic?"
E tu rispondi: "Magari!" e poi passi alle spiegazioni serie.
Nei loro sogni di bambini, è tutto facile: l'idea di cambiare casa (cosa che non sarà minimamente contemplata) li eccita, è come andare in vacanza. Poco importa che poi, quando sono realmente in vacanza, ogni tanto Amelia vada in crisi perché le mancano le gatte e i suoi amici. Poco importa la realtà di una mamma che si potrebbe fare ore di treno per inseguire la passione, se verrà scelta. Poco importa la fatica di un padre di coprire i buchi logistici finora coperti da me.
Loro mi immagineranno in un bello studio di registrazione o su un palco, a fare musica o ballare col gruppo di Bregovic.
È una bella immagine: quasi quasi, se non fosse che proprio le mie competenze sono altrove, potrebbe diventare il mio prossimo sogno.

martedì 21 settembre 2010

Quel sorriso

Lo so, dovrei sfruttare la pausa pranzo per fare altro, ma la mattina è stata senza un momento di tregua, il pomeriggio si prospetta uguale e se si è troppo stanchi non si ha sufficiente lucidità.
E poi c'è un ricordo di ieri che voglio fissare.
Ieri vado a prendere Ettore. Sono stanca come oggi, decisamente più scoraggiata (non avevo ancora avuto l'illuminazione), fa anche caldo e io sono vestita troppo pesante (del resto, di mattina ci sono 13°).
Lui esce dal nido e si dirige verso il recinto delle caprette (sempre di proprietà del nido - anzi dovrei dire i capretti ché son tutti e 4 maschi). Io gli dico che ci tratteniamo solo un attimo, perché Amelia aspetta in macchina (sempre nel cortile del nido, per chi fosse pronto a denunciarmi per abbandono di minore). Lui, seguendo il perimetro del recinto, si allontana di un bel po', io non ho voglia di seguirlo. Gli chiedo di tornare indietro.
Lui si volta e mi sorride in un modo da lasciarmi senza parole.

Flashback: sono a teatro, c'è la Turandot. Siamo ancora all'inizio, Calaf ha appena incontrato il padre Timur con la serva Liù, l'unica rimasta fedele al vecchio re.
Stupito da tanta fedeltà, Calaf chiede a Liù: "E perché tanta angoscia hai diviso?"
Lei, con la semplicità di chi ama, risponde: "Perché un dì nella reggia mi hai sorriso."

Ecco, adesso capisco Liù. E compiango le donne che incroceranno la strada di mio figlio. Altro che Mikael Blomkvist.

venerdì 17 settembre 2010

Quando la rete ti aiuta (spero)

Sono 10 anni ormai che Internet fa parte di ogni mia giornata, lavorativa e non. Conosco i meccanismi della rete per esperienza, per aver visto nascere la maggior parte dei fenomeni online. Ma non ho mai studiato nulla in proposito, a parte la vecchia "Caffettiera del masochista" sull'usabilità.
Ora mi trovo a dover mettere insieme una bibliografia, anzi due.
Una, sull'uso delle nuove tecnologie nella trasmissione di letterature e culture.
L'altra, sull'uso delle nuove tecnologie nell'apprendimento e nell'informazione.
Aiuto.

martedì 14 settembre 2010

Stanchezza e fastidio

Ieri ho degnamente festeggiato il ritorno a scuola di Amelia in due modi: prima incazzandomi perché per tutta la settimana i bambini usciranno alle 14 e poi facendomi togliere un dente a tradimento (credevo di poterlo salvare, e invece ho scoperto che ad agosto si era fessurato troppo in profondità - colpa di una banale granella di zucchero). Beh, non tutto il male vien per nuocere: a causa dell'intervento, devo stare a casa oggi e domani, il che mi permette di non preoccuparmi della scuola di Amelia. E giovedì la va a prendere mia mamma.
In realtà l'intervento è stato relativamente leggero: una volta passata l'anestesia, ho preso il primo Aulin e mi sono incollata alla guancia il ghiaccio. Ma mi è rimasta addosso una spossatezza pazzesca, che mi rende abbastanza intollerante e apatica. Il che, potete immaginare, non è il massimo se sei a casa con due bambini piccoli e sani, che giocano, litigano, hanno fame e sete e voglia di fare la pipì.
Vorrei mettermi a letto sotto le lenzuola e dormire, oppure guardare film decisamente poco impegnativi (tipo ieri, mentre loro erano fuori col papà a comprare la dotazione per la scuola e i medicinali per me, mi sono vista From Paris with Love, un giocattolone divertente - infatti è stato prodotto da Luc Besson, come Wasabi). Oppure vorrei che mi arrivassero gli arretrati di Gea che ho comprato online e che ci potessimo mettere io e Luca a leggerli insieme sotto le lenzuola. Oppure ancora vorrei che qualcuno mi ricaricasse la Postepay per poter comprare i seguiti della storia di Topicco e leggere "Come diventare un pirata" ad Amelia, che per conto suo ha scovato un libro di filastrocche di pirati e se ne è innamorata. Oppure ancora vorrei almeno non dover mangiare solo cose fredde: mi è rimasta una pazzesca voglia di wurstel da ieri sera (e mannaggia che quest'anno ho perso il mercato europeo, quindi niente wurstel viennesi quest'anno). A dire il vero, mi accontenterei anche solo di un tè: i cibi freddi e il fatto di non poter uscire di casa (se viene la visita fiscale...) mi fanno penetrare il freddo nelle ossa.
Vabbe', vado a tagliare il melone per mangiarlo con la robiola, sognando che sia polenta fumante.

domenica 12 settembre 2010

Draghi addomesticati e bisbetiche indomite

In questi giorni, per cercare di non essere troppo traumatizzati dal ritorno in Padania, abbiamo continuato alcune abitudini prese al mare. Tra queste, la lettura di "Come addestrare un drago", libro da cui è stato molto liberamente tratto il film "Dragon Trainer".
Lo so, si tratta di un libro per bambini dai 9 anni e non è che noi brilliamo per precocità. Ma siamo in pieno periodo draghi: prima il film al cinema (con i gadget da McDonald's: come mangiare 6 Happy Meal pur di riuscire ad avere due esemplari di Sdentato), poi i DVD di "Chasseurs de Dragons", poi i tentativi di trovare dei libri illustrati decenti in tema (ma chi approva i testi di certi libri per bambini? Li leggono almeno?). Insomma, il libro di Cressida Cowell l'ho letto prima io mesi fa (e adesso mi prudono le mani per comprarmi i seguiti) e me lo sono goduto così tanto da farlo leggere prima a Luca e poi ad Amelia e, di straforo, a Ettore (che segue la lettura quando entra in competizione con Amelia).
Ieri l'abbiamo finito e ci siamo divertiti moltissimo, ma ci rimane un po' di nostalgia di Topicco e del suo Sognatore Sdentato, che, lungi dall'essere la letale Furia Buia del film, nel libro è un Modestino che più modesto non si può.
Per consolarci un po' di questa nostalgia e per approfittare di uno degli ultimi scampoli d'estate, oggi siamo andati di nuovo all'Oasi di Sant'Alessio. Che alla fine è poco di più che uno zoo di animali tipici della nostra zona (più una parte tropicale), ma è anche un buon compromesso per trascorrere un pomeriggio all'aperto senza che nessun membro della famiglia si rompa troppo le scatole.
Gli animali che abbiamo visto erano più o meno sempre i soliti: cicogne e trampolieri vari, martin pescatori, vari rapaci non liberabili in natura (l'oasi raccoglie anche animali feriti, che libera ove sia possibile - per esempio, un anno fa, noi portammo una civetta che è stata poi liberata). Siccome quest'anno non avevamo ancora visitato la sezione tropicale, abbiamo visto con piacere che ci sono state novità. La più piacevole tra tutte è stata un orsetto del miele che era molto incuriosito da tutta quella gente che si appoggiava al vetro con le mani a coppa sugli occhi per evitare il riflesso.
Devo dire la verità: soprattutto all'inizio, ho rischiato di rovinarmi la visita arrabbiandomi per alcune persone incontrate sul percorso. Queste persone, lungi dal cercare di immedesimarsi nell'ambiente ed evitare di disturbare gli animali, berciavano e starnazzavano come se fossero state a fare le vasche in corso. C'era un gruppo di signore sui 60 anni che commentavano incessantemente gli animali come se fossero capi in vetrina (si può dire che il gufo reale è brutto?!?!). E c'era una famiglia con nonni, in cui il nonno si lamentava che nelle postazioni per fotografare (che in teoria dovrebbero essere mimetizzate per non disturbare gli animali) non era stata tagliata l'erba e che lui aveva pagato un botto d'ingresso per poi trovarsi l'erba davanti. Per non parlare del signore sui 60, che ha suggerito a un fotografo che stava fotografando l'aquila urlatrice di "darle un colpetto, così si alza in volo".
In queste situazioni, avrò fatto la figura della bisbetica, ma ho fatto capire che queste persone si stavano comportando peggio dei bambini (e non parlo solo dei miei).
Per fortuna, mi è sembrato che la media dei genitori presenti fosse allineata al nostro modo di intendere l'oasi, motivo per cui mi sono sentita sollevata.
Ora, dopo una sessione infinita al parco giochi dell'oasi, Ettore dorme (chissà se si sveglierà prima di domani) e Amelia sta guardando il suo libro di animali per vedere quali c'erano e quali no.
Domani si ricomincia la scuola. E io vado dal dentista, per l'ennesima puntata della saga del dente devitalizzato che non vuole essere chiuso.
Vorrei farmi ospitare dall'oasi e andare in letargo come un riccio.

venerdì 10 settembre 2010

L'anno sabbatico

Ebbene sì, ho ripreso a lavorare da 5 giorni e già fantastico di un anno sabbatico. Da sola basterei a sfatare tutte le leggende sul laborioso Nord.
Ma il fatto è che non è la voglia di fare a difettarmi, tutt'altro. Se mi prendessi un anno sabbatico (e non è detto che prima o poi non lo faccia, quando ci saremo un po' sistemati economicamente con la fine del nido), non sarebbe per far nulla ma per fare tutto quello che oggi non è il lavoro per cui vengo pagata.
Se potessi prendermi un anno sabbatico, per tutto quell'anno fingerei che il mio lavoro fosse un altro: la sceneggiatrice, magari, o la scrittrice, o la content manager, o qualsiasi altra cosa che io sappia fare bene.
Per un anno intero studierei, mi documenterei, raccoglierei materiale e scriverei. Non come hobby, ma come se da questo potesse dipendere il mio mantenimento. Prenderei contatti, manderei materiale, andrei a fare colloqui.
Rimpinzerei quella che Stephen King chiama "la cassetta degli attrezzi dello scrittore": guarderei film e serie TV di ogni genere, leggerei i saggi più disparati (per esempio, quest'estate ho letto una storia dei servizi segreti israeliani e progetto di leggere qualche articolo sui Sarmati), mi piazzerei nelle sale d'aspetto per ascoltare le storie della gente, dormirei un sacco per trarre spunto dai miei sogni (quest'estate per almeno una settimana ho sognato qualcosa di interessante ogni notte - ovviamente ho smesso appena messo piede in Padania), ascolterei un sacco di musica e andrei a spasso con i miei bambini, perché è capitato spesso che stando con loro imparassi o notassi qualcosa di nuovo. E sentirei di più i miei amici, che mi raccontano sempre qualcosa che non so e che mi arricchisce.
Poi, per carità, tornare alle scartoffie inutili della burocrazia mi rattristerebbe. Ma penso che un "pieno" del genere basterebbe a ricaricarmi per una decina d'anni, anche se i miei sforzi non approdassero a nessuna collaborazione.

giovedì 9 settembre 2010

L'armatura splendente

Inizio una serie di riflessioni sull'educazione sentimentale. E parto dicendo che, secondo me, l'educazione sentimentale è tanto fondamentale quanto l'educazione sessuale. Le nostre famiglie d'origine l'hanno messa in pratica in modo poco consapevole e un po' ruspante, col risultato che spesso siamo il riflesso o la negazione del loro modo di essere.
Penso però che, oltre a dare un esempio di come viviamo i sentimenti nella vita quotidiana, possiamo provare a parlare con i nostri figli di quello che li potrebbe aspettare là fuori, delle nostre esperienze e delle conclusioni che ne abbiamo tratto. Troppo presto? Penso di no. Anche quando si tratta di prodotti per l'infanzia, libri e film forniscono una marea di spunti che possono essere approfonditi via via.
Per esempio, non amo molto le fiabe classiche come Cenerentola, La bella addormentata e Biancaneve (in versione sia letteraria sia cinematografica), così come non mi piacciono le storie in cui Minnie si mette nei guai e Topolino deve risolvere il pasticcio. Danno l'idea di una passività sempre e solo femminile: la ragazza combina guai o subisce abusi e non è capace di tirarsene fuori, finché non arriva il principe di turno a salvarla.
Il fatto è che questo schema ci starebbe anche, se appartenesse solo alla finzione. Invece vedo tutti i giorni principesse salvate da dubbi principi: ragazze che si accompagnano al tipo con la macchina più figa, mogli che affidano tutta la gestione economica e burocratica al marito, madri che chiedono l'intervento ex machina del padre quando si trovano troppo impantanate nei problemi.
Intendiamoci: va benissimo farsi dare una mano dal proprio compagno, se ce n'è bisogno, ma non mi piace che questa sia l'unica modalità di rapportarsi a lui. Non mi piace che ci sia un implicito riconoscimento della superiorità di un uomo che se n'è fregato di quello che facevi finché non ti sei trovata in difficoltà, e allora ha pensato, bontà sua, di intervenire. Non mi piace che il contributo dell'uomo venga considerato un aiuto alla donna, mentre preferirei che ciascuno facesse la sua parte senza scambi di favori. Non mi piace nemmeno che le donne rinuncino a usare il loro cervello e per pigrizia si disinteressino di alcuni aspetti della gestione della casa (non parlo ovviamente di questioni minute come aggiustare zanzariere o appendere quadri - cose che comunque in casa mia faceva mia mamma - ma della gestione delle finanze e dei risparmi: molte donne scoprono di essere piene di debiti o perché muore il marito o perché la banca tal dei tali gli pignora la macchina).
Io non sono stata immune da questa pecca: il mio primo fidanzato l'ho scelto un po' in base a questo criterio. Venivo da un periodo in cui tutte le mie amiche o erano fidanzate o erano lontane. Nuove amicizie non riuscivo a farmene, un po' perché il mio gruppo dell'università veniva da Lodi e un po' perché non guidavo (avevo paura). Venivo anche da una bella estate divertente e non avevo voglia di ripiombare nella noia della brutta stagione. E ho preso il primo che è passato. Oltretutto, molto più grande così magari avremmo superato tutte le menate del non volersi impegnare, del dover fare le stesse esperienze che dovevo fare io e dover conquistare le stesse cose che dovevo conquistare io. Mi è sembrata una scelta comoda. E ho pagato per questa comodità, perché quando le scelte le fai con motivazioni sbagliate ti torna tutto indietro con gli interessi. Il che, per me, ha significato solo essere piantata a un mese dal matrimonio, perché lui non se la sentiva di elevarmi al rango di membro della sua famiglia.
All'epoca il mio orgoglio ne soffrì, anche perché, nonostante negli ultimi 6 mesi fossi stata sempre meno convinta di quel matrimonio, ce l'avevo messa tutta per convincermi che era solo la paura del grande passo a farmi pensare certe cose o desiderare certe persone. La mia relatrice, invece, con la voce della saggezza, disse che avrei dovuto regalare una scatola di cioccolatini al mio ex, per avermi liberata prima che la mia giovinezza finisse. E in effetti le ho dato mille volte ragione: quell'anno 2000 non sarebbe stato così straordinario e memorabile, se fosse stato l'anno del mio matrimonio con quell'uomo. O meglio, me ne sarei ricordata sì, ma come dell'anno del mio divorzio annunciato.
Del resto, è proprio un uomo, Italo Calvino, a dirci che non possiamo aspettarci di essere salvate dal cavaliere dall'armatura splendente: quando il Cavaliere Inesistente regala la propria armatura a Rambaldo, essa comincia a sporcarsi e ammaccarsi come non aveva mai fatto prima. Come a dire che non esiste un uomo perfetto e senza macchia, superiore e risolutivo: esistono solo esseri umani, maschi e femmine, che cercano di fare del loro meglio e che farebbero meglio a rimboccarsi entrambi le maniche e darci sotto con uguale lena.

PS: per amor di completezza, devo confessare che ogni tanto anche mio marito arriva sul cavallo bianco. Ma lo fa come regalo di compleanno, mica come stile di vita.

martedì 7 settembre 2010

Fratelli e amici

Questa non è una riflessione legata allo stesso argomento di Mamma Cattiva, anche se vi invito a leggere il suo bel post e quello di Lorenza.
È una riflessione sugli aspetti più belli di quest'estate. In cui non parlerò di mattine in spiaggia a Levanto, ma di vita quotidiana nella afosa Bereguardo.
Quest'anno ho potuto prendere un congedo più ridotto dell'anno scorso: due mesi (luglio e agosto) al posto di 3. L'ho fatto non solo per risparmiare ancora il congedo e non caricare troppo le mie colleghe, ma anche perché sono arrivata all'estate meno stanca e scoraggiata rispetto all'orribile 2009.
Luglio e agosto a casa, si diceva. Ma di partire non se ne parlava fino a metà agosto. Mi si prospettava un sacco di noia e avevo già pensato di fare l'abbonamento in piscina. Invece, giorno dopo giorno, si è instaurata questa routine: alzarsi abbastanza tardi (tra le 7.30 e le 8.30), scendere pigramente a fare colazione e poi lasciar fare ai bambini. Il risultato è stato che loro hanno giocato moltissimo tra loro e io riuscivo a fare quello che volevo: cucinare, caricare e scaricare lavatrice e lavastoviglie, riordinare, lavorare per Viola, guardare i Tudor in streaming, leggere.
Per carità, ora non figuratevi i bambini abbandonati al chiuso. Prima di tutto, a luglio la casa era l'unico posto in cui si stesse bene, perché fuori si soffocava e si veniva attaccati dagli insetti. Secondariamente, abbiamo fatto anche cose insieme: ero con loro quando trasformavano la vasca in piscina o quando uscivamo a far visita al papà e/o alle mucche, per non contare i giri "di servizio".
Però è innegabile che Ettore e Amelia abbiano trascorso un sacco di tempo insieme, quest'anno. Hanno sviluppato i loro giochi preferiti, un loro linguaggio, un loro modo di scherzare. Non sono diventati una comunità chiusa, perché sono stati sempre piuttosto ben disposti verso gli altri bambini con cui sono entrati in contatto: dai Minici al bambino anglofono di una mia amica, dai bambini del parco giochi di Levanto al Tupilotto.
Sono semplicemente diventati amici, compagni di giochi e di vita. Hanno litigato furiosamente e si sono spalleggiati a vicenda. Hanno sviluppato un modo di relazionarsi tra loro che mi sembra somigliare al rapporto tra me e Luca: capaci di scannarsi su una stupidaggine, ma pronti alla coesione nel momento del bisogno.
Stamattina, ho avuto un'ennesima riprova del legame che si è sviluppato tra loro. Ettore non voleva lasciarmi andare, all'entrata al nido. Amelia l'ha abbracciato e consolato, e allora Ettore mi ha mollata. Me ne sono andata senza pianti.
Qualcuno dice che un legame simile sia un male, e mi sembra che la politica prevalente delle scuole sia separare i fratelli ove possibile (detto tra noi, a me pare una stronzata darsi questa regola a priori: se il legame non è esclusivo né morboso, non vedo perché costringere due bambini che si vogliono bene a stare lontani).
Qualcun altro dice che tanto quando saranno grandi sarà tutto diverso, e vedrai se ci sono dei soldi di mezzo (beh, tanto non ce ne saranno...).
Io spero che nessuna di queste profezie sia vera. Spero che i miei figli si vogliano bene e si stimino per tutta la vita, come si fa con gli amici d'infanzia. Spero che capiscano di avere la grande opportunità di non essere soli al mondo, e che la sfruttino nel modo giusto. Spero che, essendo così diversi e complementari, riescano a fare squadra e bilanciare i rispettivi difetti con le rispettive virtù.
Forse sono ingenua, perché non so come funziona tra fratelli: io non ne ho e non ne ho mai sentito la mancanza, a dire il vero. Però ho amici e amiche che risalgono anche a 25 anni fa, e anche solo sapere che ci sono mi è di conforto. E mi ricordo di un amico che a 30 anni mi raccontava di usare ancora con sua sorella (maggiore di 2-3 anni) il linguaggio e i codici che avevano inventato da bambini: mi è sempre sembrata una cosa bellissima che loro riuscissero a mantenere la loro complicità nonostante l'età adulta e le vite differenti che conducevano.
Ecco, io sogno che tra 30 anni Ettore parli con qualche amico/a e gli/le dica: ma sai, questo fa parte di un gioco tra me e mia sorella.