martedì 21 dicembre 2010

Regalo di Natale: Viola

È passato parecchio tempo dall'ultima volta che vi ho dato notizie di Viola. Ho preferito aspettare che il disegnatore, Luca Ferrara, finisse il lavoro preliminare e mi desse il permesso di pubblicare il book di presentazione.
Per farla breve, eccolo qui:

Viola - Pdf 21MB

Viola - Pdf 9MB

So che siamo tra amici, quindi sorvolo su tutta la tiritera che tutti i diritti sono riservati, eccetera.
Ora sta anche a voi: se il progetto vi piace, se lo volete vedere su carta, rompete le scatole a tutti i vostri amici che possono aiutarci. Ci conto.

venerdì 17 dicembre 2010

Di che cosa sono fatta io

Leggo sul blog di my un elenco stilato dagli allievi della scuola d'arte, che elenca alcune cose di cui siamo fatti. Mi trovo, ahimè, a non condividerlo: lo trovo un concentrato di banalità, di stereotipi che sì, derivano da fatti veri che ci hanno segnati, ma non fanno "parte" di me. Tanto meno dei giovani allievi di una scuola d'arte, che avranno 20-25 anni.
Mi sembrano elementi troppo politicamente corretti, troppo "giusti". Sarà che mi trovo in sintonia con lasimo (che leggo ma commento poco). Sarà che vengo da una famiglia che votava DC e da genitori che sono stati troppo giovani per il '68 e che nel '77 erano troppo impegnati a fare le notti con una neonata rompicoglioni e a lavorare per mantenerla.
Ma insomma, per farla breve, ecco le cose di cui sono fatta io:

martedì 14 dicembre 2010

La fiera del dubbio

In periodo natalizio, fioriscono i consigli per gli acquisti di regali, soprattutto ai bambini. Leggo ovunque buoni propositi sia in senso quantitativo (basta con quest'orgia consumistica che ci riempie le case di giochi) sia in senso qualitativo (no plastica sì legno, no marche sì qualità, no maschi/femmine, sì unisex).
Io faccio outing: quest'anno noi genitori regaliamo la settimana al mare e magari qualche cazzata (tipo un animaletto o dei braccialetti), ai miei e a mia zia ho chiesto espressamente di regalare dei pigiami caldi ed eventualmente qualche cazzata (tanto so che non resistono), i miei suoceri non mi ricordo se li ho indirizzati ma mi fido, gli altri amici/parenti tanto fanno quel diavolo che gli pare sia che mi vada bene (e penso in particolare alla famiglia di Luca e ai miei amici) sia che no (e penso in particolare a certi miei parenti).
In particolare, in questo periodo mi pare andare di gran moda la parola "educativo", come se fosse l'assoluzione da ogni nefandezza ("Ah, e mi regali una cucina da ristorante rosa di Hello Kitty scala 1:1?" "Eh, ma è educativa!").
A parte che devo ancora capire che cosa sia educativo e che cosa no (secondo me, anche pestare una merda di cane per la strada è educativo: ti educa a stare più attento a dove metti i piedi). A parte che Marguerite Yourcenar diceva "Qualsiasi cosa succeda, io imparo". A parte che il concetto di educazione è strettamente legato all'epoca in cui si vive: all'epoca di mio nonno la verga era educativa.
A parte tutte queste considerazioni, dicevo, io mi metto nei panni dei bambini. Mi sono incazzata come una iena quando una persona che si ritiene un grande intellettuale mi ha regalato il saggio Xxx "perché sai, ho saputo che ti sei messa a leggere Harry Potter". Ma come ti permetti? Non solo e non tanto perché dell'argomento in questione ne so e non lo vado a sbandierare come te. Non solo e non tanto perché il fatto che io non mi interessi ogni giorno ai teatrini di politica interna e cronaca nera che chiamiamo TG non significa che io viva fuori dal mondo. Più di tutto, perché il fatto che qualcuno pensi di potermi "educare" secondo i suoi gusti mi fa infuriare: non sono un animale da circo (e, anche se lo fossi, meriterei di fare ciò che è nella mia natura di animale e non di esibirmi in un circo).
Mi si dirà: ma è tuo dovere educare i tuoi figli. Appunto, mio dovere, non di un gioco.
Per carità, mi fa piacere che, grazie a un certo gioco, i miei figli acquisiscano certe abilità. Ma quello che non tollero è la presunzione che sta dietro l'etichetta di "educativo". Che suona un po' come "se tuo figlio non gioca con questo giocattolo, non imparerà mai a ... (e metteteci il verbo che vi pare: lavarsi i denti, andare in bicicletta, fare le "i" col puntino sopra...)".
Questa presunzione fa un po' il paio con la convenzione che vuole le armi giocattolo vietate in quanto diseducative a tutte le età e in tutte le loro forme, soprattutto le armi da fuoco. Secondo una mia illustre insegnante del master, noi occidentali post '68 abbiamo il tabù assoluto della violenza associata all'infanzia: i bambini non devono praticare né conoscere la violenza, nessun prodotto narrativo per bambini deve contenere nemmeno un minimo di violenza. Col risultato che la violenza non è certo scomparsa dalla nostra società, ma i bambini che vivono in certi ambienti crescono senza riuscire a gestirla (né la propria, che è inutile negare, né quella altrui), nemmeno quando si tratta di uno scontro verbale un po' più acceso e assolutamente legittimo. Ma non voglio fare una filippica sulla violenza nella società, perché le armi giocattolo non sono violenza, secondo me.
Ovvio che a noi adulti un bambino con in mano un fucile evoca immagini bruttissime: ho un amico scappato dall'Uganda, quindi sapete che so.
Ma per il bambino l'arma giocattolo è tutt'altro: è il veicolo simbolico attraverso cui può accedere a certe storie di genere, esserne protagonista. È la spada di San Michele che trafigge il Maligno, il martello di Thor che scaccia mostri e demoni, il bastone di Gandalf che ferma il demone di fuoco.
I bambini che negli anni '50 giocavano ai cowboy non è che ce l'avessero davvero con i pellerossa: sognavano di sparare sui pellerossa come simboli del male. Che poi non sia il massimo che un certo popolo diventi il simbolo del male, OK. Ma a questo punto il problema non sta nella pistola, direi.
Quando i miei bambini giocano alle Winx, combattono contro i mostri con palle di fuoco e incantesimi: queste sono le loro armi. Sono più etiche di una pistola o una spada o un bastone? Non mi sembra, anche se una palla di fuoco per finta non fa male come un bastone tirato per sbaglio in testa (ma, se è per questo, allora fa male anche la scopa se la maneggi in modo maldestro mentre la passi per imitare la mamma o il papà).
Io ho avuto le armi giocattolo di mio padre e poco altro. Ma ricordo benissimo che sparavo con le dita, imitando le Charlie's Angels o Magnum P.I. Eppure in casa mia non entrerà mai un'arma vera, e un'arma giocattolo in grado di far male sarà sempre attentamente sotto chiave, se mai capitasse. Però capisco i miei bambini quando usano la pistola sparabolle o una pistola fatta con i lego come arma giocattolo.
Sarà anche che ho negli occhi questa immagine, tratta dal prologo di Hellboy II (che ho rivisto recentemente per un compito del Diegozillalab). Siamo negli anni Cinquanta, è la vigilia di Natale, Hellboy è un bambino di 8 anni con tutti gli annessi e connessi del caso (la passione per i pupazzi animati da ventriloqui in TV, il desiderio di restare alzato per vedere Babbo Natale, la riluttanza a lavarsi i denti prima di andare a dormire). Suo padre (l'umano che l'ha allevato dopo il suo arrivo nel nostro mondo) gli legge una storia per convincerlo ad andare a letto. Alla fine della storia, vediamo HB a letto con tutto ciò che gli è più caro: il pupazzo come quello dello show in TV e una pistola giocattolo, un revolver come quelli dei cowboy (che oltretutto richiama l'enorme pistola che lui stesso userà da grande, nella sua attività di investigatore del paranormale). Ecco, a me questa immagine fa una tenerezza pazzesca, nonostante la presenza di una pistola: è l'immagine di un bambino che vuole sentirsi un paladino del Bene (nonostante la sua immagine sia quella del Male per eccellenza).

lunedì 13 dicembre 2010

Esserci

Vengo da un lunghissimo ponte che è stato piacevole e impegnativo: mercoledì Artigiano in Fiera insieme alla mia famiglia e a un fratello di Luca, giovedì e venerdì a casa con i bambini, venerdì lezione di tribal a una mia amica e poi cena con le vecchie amiche del liceo, sabato corso mensile con la Pedretti e cena pantagruelica, ieri pranzo di Natale dei bonsaisti e di nuovo Artigiano in Fiera (ma solo con Luca, perché da ieri pomeriggio i bambini sono dai nonni).
Nel mezzo, la notizia del mancato dottorato da un lato mi è dispiaciuta ma dall'altro mi ha anche tolto un sacco di ansia (a parte l'incertezza del futuro, avrei dovuto fare alla velocità della luce un sacco di pratiche e richieste per iscrivermi in tempo).
Oggi sono al lavoro. I bambini sono da mia mamma, quindi mi sono alzata e ho fatto colazione pensando solo a me stessa. Sono arrivata al lavoro alle 7.45, un'ora e un quarto prima di quello che sarebbe il mio orario, il che significa che uscirò intorno alle 15.30 e andrò a prendere i miei figli.
Domani non sarà molto diverso, perché Luca resterà a casa con loro (o meglio, sarà in ferie e li porterà con sé nei suoi molti giri). Per il resto della settimana, verrà mia mamma a casa nostra, per tenerli.
Forse è il fatto di non avere il peso dei figli. O forse è perché non sono più incerta sul mio futuro. Fatto sta che oggi è lunedì e io sono contenta di essere qui in ufficio. Posso fare progetti, pianificare il lavoro, pensare a ciò che mi aspetta. Ci sono con tutta la mia testa, non più con un piede sulla porta.
Non è il lavoro della mia vita, probabilmente torneranno molti dei dubbi che ho avuto nei mesi scorsi (ma non da settembre a oggi), probabilmente l'anno prossimo le rogne saranno numerosissime.
Ma ci sto bene, ci voglio star bene. Voglio essere qui, almeno per ora, e non più con la testa altrove.

venerdì 10 dicembre 2010

Prima fermata

Tra le tante cose che ho in testa, ce n'era una che avevo cominciato con molto entusiasmo e che man mano mi suscitava sempre maggiori perplessità. Non solo e non tanto per l'impegno e i trasferimenti che mi avrebbe richiesto, quanto perché, da quando avevo preso quella decisione a oggi, mi sembrava che la situazione non fosse più così propizia, soprattutto perché sul lavoro mi si prospetta di fare un certo percorso di crescita.
Tuttavia, dall'altro lato, anche fare quell'esperienza sarebbe stata un bel percorso di crescita.
Sono stata tolta dall'imbarazzo, perché mi è stata preferita un'altra persona. Il fatto che questa persona mi sia stata preferita per ragioni che esulano dal merito non mi causa nessun dolore, anzi: so di avere comunque le qualità per fare quel percorso, se e quando deciderò di riprovarci. E contemporaneamente ho tutto il tempo di godermi il mio minuscolo part-time e le nuove mansioni che mi si prospettano sul lavoro. Posso dedicarmi all'inserimento di Ettore alla materna. Posso programmare un piccolo intervento, che magari nell'altra situazione sarebbe stato un po' più fastidioso. Posso investire un po' di più in Viola e nel mio nuovo progetto. Posso dedicarmi alla danza con maggiore serenità.
E, soprattutto, momatwork può tornare a trovarmi senza temere una randellata da mio marito (questa mi sa che la capiamo solo io e lei). Son cose.

lunedì 6 dicembre 2010

Cose sagge e meravigliose

Che noi non siamo la famiglia del Mulino Bianco mi sembra assodato, nonostante la location bucolica. Anzi, ci sono momenti in cui magari fare un bel giro in centro sarebbe terapeutico e invece ti ritrovi bloccato dal maltempo in una landa sperduta.
Però, per fortuna, ci sono anche i momenti in cui, a prescindere dal posto in cui viviamo, riusciamo a prendere un tè con un'amica e discutere di danza, fumetto e miti del mondo arabo. Oppure in cui ci godiamo la vicinanza a Milano, raggiungendo in mezz'oretta (sbagli di percorso a parte) il luogo dove si esibisce la mia maestra con la sua compagnia.
Venerdì sera non era partita sotto i migliori auspici: nel pomeriggio Amelia ed Ettore avevano dormito davvero poco e temevamo che non arrivassero svegli allo spettacolo. Invece, nonostante l'abbiocco in macchina, appena arrivati al luogo dell'aperitivo si sono svegliati e hanno cominciato a giocare tra di loro e con i nostri amici presenti. Hanno assistito tutti contenti allo spettacolo e poi, quando io e Luca ci siamo improvvisati un quartetto insieme alla Pedretti e a sua figlia, si sono divertiti ad ascoltarci.
La cosa bella è che erano un sacco di mesi che non suonavo: pensavo di avere le mani di legno e invece ho suonato bene, mi sono divertita e ho fatto una cosa bella con mio marito. Saranno i cimbali magici della Pedretti (e infatti le ho chiesto di comprarmeli, la prossima volta che le capita)...
Dopo, quando un po' di gente è sciamata e il palco è stato tutto per loro, Amelia ed Ettore non ne volevano sapere di andarsene. Se non fosse stato che il giorno dopo volevamo alzarci presto per andare in fiera, sarei stata curiosa di vedere quanto avrebbero retto. Di certo Ettore non si sentiva intimidito dal posto sconosciuto, dal momento che a un certo punto ha preso le scale ed è salito al piano di sopra tutto da solo, scocciandosi pure quando l'ho ritrovato e gli ho detto di aspettarmi.
Il sabato in fiera è stato sicuramente pieno ma non stressante: ero ben decisa ad andarmene nel momento in cui la troppa gente mi avesse dato fastidio. Abbiamo guardato molto di più di quanto abbiamo comprato, non ci siamo lasciati trascinare dal consumismo ma abbiamo preso solo ciò che avevamo programmato. Alcune cose sono ancora in sospeso: pensiamo di tornare giovedì pomeriggio per prendere ancora una tovaglia provenzale e un po' di cibo vario.
La cosa che mi è piaciuta di più è stata proprio una sciocchezza. Pensavo che, come gli altri anni, avremmo pranzato a base di schifezze (e infatti in prima battuta ci siamo presi un panino al prosciutto portoghese). Invece siamo stati attirati da un chiosco allestito tipo taverna medievale, dove abbiamo preso un menu a base di zuppa di legumi. Di fronte a noi, c'era il banchetto di un gruppo scozzese, con una signora in costume che teneva un piccolo gufo sulla spalla. Ovviamente io e Amelia ci siamo sciolte per quanto era bello il gufo, e c'è voluto del bello e del buono per far capire ad Amelia che la convivenza tra le nostre gatte e quel piccolo rapace sarebbe impossibile.
Domenica poi sono stati qui i nonni di Torino e, subito dopo la loro partenza, Luca ha portato i bambini dai miei, dove sono rimasti anche oggi (ci stiamo alternando nello stare a casa perché abbiamo deciso di tenere Ettore a casa dal nido per il mese di dicembre, in attesa che poi a gennaio cominci la materna).
Ora, io ho un atteggiamento ambivalente nei confronti del "prendersi i propri spazi": a seconda di chi ne parla e come ne parla, mi parte una reazione di solidarietà o no.
Oscillo, anche per me stessa, tra il credere che avere degli spazi propri sia sacrosanto e il pensare che sia un mito sopravvalutato. In genere, propendo più per la seconda ipotesi: mi piace coinvolgere i bambini nella maggior parte delle cose che faccio. Venerdì sera, non mi sarei divertita così tanto se non ci fossero stati loro. E non riesco neanche ad immaginare di andare a fare un giro al Trebbia o al mare senza di loro senza sentirmi in colpa o comunque incompleta (nonostante poi si lamentino della strada o della sabbia o gli venga voglia di fare tutt'altro quando sono lì).
Dall'altro lato, ammetto che poter stare insieme come coppia, da soli, in momenti che normalmente sono dedicati a mettere a letto i bambini, ha il suo gran perché. Soprattutto se vieni da una full immersion di 4 giorni con i bambini e ti aspetta un intero mese così.
Non immaginatevi adesso chissà cosa: ci teniamo troppo ai nostri soffitti per appenderci ai lampadari. Diciamo che, a parte attività piacevoli che comunque di solito svolgiamo in altri momenti, la cosa bella è stata prepararci la cena con calma e senza pensare ai gusti di 4 persone, leggere a letto senza doverlo scontare con 500 pagine di favole, parlare senza essere interrotti.
No, non spenderei dei soldi per andare a fare un weekend romantico con mio marito. Sono la peggior cliente delle baby sitter perché non mi importa di cene romantiche o locali di tendenza: se si mangia fuori, si va in posti dove anche i miei figli hanno diritto di esistere.
Ma ammetto che tenere i miei figli una notte ogni tanto è il più bel regalo che i miei possano fare a me e a mio marito.