lunedì 28 febbraio 2011

Forte 'sta cippa

Giuro, non ho concepito questo post e il precedente come un dittico. Semplicemente, in questo weekend ho finalmente comprato un libro che corteggiavo da quando è uscito e che non ho mai avuto il coraggio di comprare.
Perché?
Perché sapevo che mi sarei commossa. Così come recentemente ho visto Il labirinto del fauno e mi è quasi venuto un attacco d'asma per il pianto (infatti ho prenotato in biblioteca La spina del diavolo, dello stesso regista e con ambientazione simile, e sto pensando di non guardarlo del tutto).
Ecco, "Mia mamma è in America" non ti fa venire l'asma. Peggio: ti mette addosso una malinconia dolcissima, e contemporaneamente una paura fottuta.
Non tanto la paura di morire, che è presente per me come per qualsiasi altro mortale mediamente sano ed esposto ai generici rischi della nostra società.
Quanto per una cosa che dice il protagonista: "I ricordi della mamma sono scappati via".
Lui ha 6 anni, sua mamma è morta quando sia lui sia suo fratello erano piccoli (ma loro non lo sanno, credono sia in viaggio) e loro non se la ricordano. È la cosa che trovo più crudele.
Non voglio raccontare troppo di questo libro, che merita di essere letto. Sottolineo solo che, anche se c'è una mamma morta sullo sfondo, si sorride molto: il mondo dei bambini viene raccontato in modo sincero e senza abbellimenti, in tutti i suoi aspetti.
Ed è per questo che ieri sera, abbracciando Luca, gli ho detto: dovesse succedermi mai qualcosa di brutto, inventati che sono in tournée con Bregovic.

giovedì 24 febbraio 2011

Una donna forte

Ho passato la vita ad essere forte.
Venivo da una famiglia di donne forti: mia nonna vedova nel dopoguerra, mia madre che lavora(va) e neanche un cane che l'aiutasse (niente colf, niente part time, niente piatti pronti da sua madre). Sono stata cresciuta così, senza neanche un dubbio sulla mia forza: era un dato di fatto, si deve essere forti.
Corredato da scherno e allusioni nei confronti di quelle che forti non erano o non si mostravano: le moglie che lasciavano fare ai mariti, quelle che si erano sposate per "sistemarsi", quelle che chiudevano gli occhi pur di non restare sole. E, a scuola, il dito di mia madre era puntato contro quelle che i genitori lasciavano a casa per non farle interrogare o per evitare il tal compito in classe, o quelle che con la scusa dell'"essere disorientate" o "dover maturare" perdevano un anno o che.
L'unica debolezza che mi era permessa era quella fisica: il mio sistema immunitario non è mai stato il massimo, mi son sempre ammalata spesso. Di solito nei momenti cruciali: la prima gita, gli esami di terza media, l'occasione tal dei tali. E le vacanze, che culo.
Per il resto, per me essere donna non ha mai coinciso con l'essere il sesso debole, anzi. Mia madre e mia nonna mi hanno inculcato la convinzione che per essere donna ci vogliono le palle: lavori il doppio, fai i lavori più ingrati e c'è sempre qualcuno che ha da ridire.
Ecco perché mia madre scoppiò a piangere quando vide che ero femmina, mica per altro. Non che avesse torto.
Però io, come lei e mia nonna, sono caduta molto facilmente in due trappole.
La prima è il non manifestare i propri sentimenti, "come un vero uomo". L'unica persona adulta con cui mi permetto gesti quotidiani di affetto è mio marito. Per il resto, non sono abituata né a baciare né ad abbracciare i miei, tantomeno mio nonno: se ci proviamo, lo sentiamo come una forzatura. Non sono abituata ad abbracciare le mie amiche, le bacio sulle guance per gentilezza ma non mi viene l'impulso. E poi ci si stupisce che una si sente invasa da gravidanza e allattamento.
L'altra trappola è lo stoicismo un po' celodurista. Del tipo che, così come ti sei sentita una mezzasega ad avere paura di certe situazioni e ad avvertire la fatica di altre, se un'altra donna ti esprime le sue difficoltà dentro di te pensi "che mezza sega". A meno che le difficoltà non siano proprio grosse e oggettive. Anche se razionalmente sei aperta e ben disposta, anche se razionalmente non ci trovi niente di male ad essere in difficoltà e dirlo, dentro di te una vocina prende i toni del sergente di Full Metal Jacket. Non è un'aspirazione alla perfezione, bensì alla durezza: diventare abbastanza tosta da non farsi abbattere da nulla. Bella illusione.
Oltre a queste magagne, essere considerata "forte" ne genera un'altra: gli altri, col fatto che tu sei "quella forte", prendono sempre e non offrono mai.
Per carità, non tutto il male viene per nuocere: impari a chiedere aiuto se ti serve. Ma lo puoi fare solo con chi ti è abbastanza vicino, mentre tutto il resto del mondo ti vede bella corazzata e non si sogna neanche lontanamente di darti una mano. Anzi: dai, sei forte, superi anche questa difficoltà. Ma vaffanculo, va': magari sono forte, magari ce la faccio, ma se qualcuno mi toglie qualche peso dalle spalle non mi fa schifo. Se quel qualcuno poi me lo toglie anche spontaneamente son proprio contenta.

Dedicato a mio marito, che quando torna sulla Terra si accorge dei miei pesi e me ne toglie qualcuno. Senza far cadere tutti gli altri.

martedì 22 febbraio 2011

Strada sbagliata

Da alcune mattine, mentre guido, sento su RadioDJ una serie di pubblicità della Subaru Trezia. Pubblicizzano un'auto espressamente progettata per le donne (e, confesso, la dicitura "guida rialzata" mi attira non poco). E i loro spot radiofonici vorrebbero essere femministi o qualcosa del genere.
Finora ne ho sentiti due. In uno, il protagonista del Gladiatore viene interrotto da una donna che lo liquida in modo abbastanza antipatico e poi pronuncia la famosa frase "al mio segnale, scatenate l'inferno". Nel secondo, ci raccontano che Mao e Garibaldi erano donne, perché rivoluzionari e condottieri.
Boh. Non so come siano resi in TV (già il banner che mostra la trasformazione di Mao in donna mi sembra più promettente), ma in radio questi due spot sono orrendi.
Vorrebbero dare l'immagine di una donna "alla guida" (infatti il pay-off è "cambia guida"), ma il risultato è maldestro, irritante e inefficace. Nel primo spot, la donna fa la figura della solita donnetta supponente e antipatica. Il secondo comunque si risolve in un elenco di nomi maschili, di cui si dice che erano donne: la furbata di tutto ciò non mi è comprensibile.
Insomma, gli spot radiofonici sembrano talmente forzati da essere controproducenti: anche se l'idea di un'auto progettata per una donna mi piace, solo per l'idiozia della campagna pubblicitaria non la prenderei neanche in considerazione.
Secondo me, c'erano modi più efficaci di pubblicizzare questa auto.
Se si voleva insistere sul concetto di guida femminile, sarebbe bastato puntare sulle donne che davvero sono state rivoluzionarie e condottiere: Elisabetta I, Cleopatra, Maria Teresa d'Austria, Caterina di Russia. Solo per citare le prime che mi vengono in mente.
Se si voleva parlare di un prodotto "solo per donne", lo si poteva accostare ad altri oggetti che sono solo appannaggio femminile, tipo rossetto, tacco a spillo e ciglia finte se si voleva sottolineare la seduzione oppure tampax, pillola e lavatrice se si voleva sottolineare l'aspetto pratico/rivoluzionario.
In verità, queste sono due idee a caso che mi sono venute in questi 10 minuti in cui ho scritto questo post. Penso che un'agenzia di comunicazione dovrebbe saper fare di meglio.

martedì 15 febbraio 2011

Cumuli e nembi

Qualche settimana fa, ho accennato a Luca che magari potevamo farci mettere a posto l'antenna e comprare il decoder per il digitale terrestre.
Ripensandoci, mi sa che preferisco continuare con la radio e internet, anziché farmi inondare della merda che oggi chiamano informazione: faziosa in entrambi i sensi, sensazionalista, approssimativa.
Se merda dev'essere, preferisco fare un giro nelle stalle.

Non riesco a seguire tutti i dibattiti su cose che mi appassionano. Forse non mi appassionano abbastanza. Forse sono stufa di assistere sempre allo stesso schema per cui nessuno alla fine cambia idea, neanche un po'. Forse non me ne frega neanche più niente di far cambiare idea agli ottusi. O forse sto diventando un po' ottusa anch'io.

Non parliamo poi dei dibattiti o le iniziative sulle cose che NON mi appassionano. Oggi per caso mi si apre una pagina che parla di box e girello, nei soliti termini un po' terroristici con cui si parla di questi terribili mezzi di contenimento del passato. Un commento la rincara. Mi verrebbe da scrivere che non è proprio così, che a volte ci si può accorgere che a un bambino farebbe proprio piacere provare il girello e che potrebbe essere il compromesso giusto, senza doversi per forza spaccare la schiena ogni volta. Comincio a scrivere, poi chiudo: ma cosa diavolo me ne frega di dire la mia su una cosa tanto insulsa e lontana da me? Se una è tanto decerebrata da non poter valutare da sé una cosa del genere, come feci io a suo tempo, non sarà certo la mia opinione a ridarle magicamente il senno.

Mi incanto per la passione. Non tanto per le passioni amorose, quanto per quella che le persone mettono nel lavoro. Ecco perché mi piace guardare i documentari sui making of dei film, soprattutto quando c'è stato dietro un grande lavoro artigianale (di make-up, di costumi o anche "semplicemente di studio" delle scene e dei set). Ultimamente ho guardato un documentario sulla produzione del film "Hellboy" e sono rimasta allibita dalla quantità di artisti che lavorano nel campo cinematografico: scultori, make-up artist, realizzatori di animatronics (pupazzi animati), esperti di computer grafica, eccetera.
Per la maggior parte di queste professioni, mi sono chiesta: perché Cinecittà non diventa un centro di formazione per operatori del mondo del cinema? Perché buttiamo i soldi nell'istituzione della laurea in Scienze del giardinaggio e del fiore (giuro, esiste) e poi un ragazzo che desideri lavorare nello spettacolo deve imparare da autodidatta?

Mi incanto anche per il talento. Ci sono persone che ne hanno una quantità inverosimile, accompagnata da altrettanta umiltà.
Per esempio Francesca Pedretti, la mia maestra, che riesce sempre a superare se stessa e a creare coreografie splendide e innovative.
Per esempio Mike Mignola, che con un semplice "Non esiste" riesce a farci sorridere e riflettere insieme. Per non parlare di quando ci commuove con un "Vaffanculo".
Per esempio mio marito, che riesce ad essere splendido e pasticcione in ogni cosa che fa, e alla fine riceve complimenti da ogni parte (sperando che compensino le urla di sua moglie).

Brevi dal mondo reale

Mettetevi davanti al calendario e contate i giorni in cui i vostri figli sono "in vacanza" dalla scuola, senza che ci sia un servizio comunale sostitutivo (GREST o simili).
A me risultato 60 giorni di vacanza all'anno, escluse le mezze giornate della prima settimana di scuola ed eventuali mezze giornate dell'ultima settimana di giugno.
Prendiamo una famiglia come la mia, in cui io schifosa statale ho diritto a 32 giorni di ferie e mio marito 21: messi insieme, fanno 53 giorni, senza nessuna sovrapposizione.
Qualche genio mi dirà: ma chiedi ai nonni! Certo: peccato che i nonni lavorino anche loro e, a parte il fatto che le loro ferie non sono al mio servizio, spesso i loro impegni e le loro scadenze di lavoro non sono rimandabili.
Per ora, riesco a tamponare usando il congedo parentale. Che però mi serve anche per le malattie, dal momento che Ettore ha compiuto i 3 anni. Ma il contratto di mio marito non recepisce il congedo parentale.
Amarezza e disgusto. E non siamo ancora arrivati alle elementari.

venerdì 11 febbraio 2011

Vendere gioia, reprise

Capita che una persona faccia una bella esperienza con una certa azienda. E, avendo un blog, ne parli.
Capita anche che quell'azienda sia particolarmente attenta alla comunicazione, anche in rete. Capita che, grazie a un aggregatore, quell'azienda venga a sapere del post che la riguarda. Capita che l'idea piaccia, che da quello spunto si ricavi una pagina pubblicata sulla Stampa sabato scorso (5 febbraio).
Ovviamente l'azienda non manca di ringraziare la blogger in questione.
A me sembra un bellissimo esempio di come dovrebbe funzionare la comunicazione di una qualsiasi azienda.

giovedì 3 febbraio 2011

Inaspettato

Ci sono giorni in cui ti alzi con le migliori intenzioni. Nonostante la tosse dei tuoi figli, nonostante gli antibiotici di Amelia e il tuo mal di pancia virale.
Giochi un po' con Ettore nel letto, coccoli Amelia, scendi per colazione. Tiri fuori il burro per fare i biscotti più tardi. Fai colazione con calma, per una volta.
C'è solo un dettaglio che ti inquieta un po': la Bigia si comporta in modo strano, come se ci fosse un topo sotto i mobili della cucina. Telefoni a tua mamma, le chiedi se secondo lei devi preoccuparti e lei, conoscendo la Bigia, dice assolutamente no, figurati.
In quel momento Amelia, sul divano in soggiorno, lancia un urlo: sta vedendo un topo che cammina per la stanza. Tu pensi che sia suggestione, e invece il topo c'è.
Come un uragano mandi i bambini di sopra, chiudi tutte le porte possibili, sposti tutti i mobili o ripiani in cui il topo potrebbe infrattarsi. E il topo si infratta sotto il pianoforte.
Chiami tuo marito, per chiedergli se ti porta della colla dal caseificio appena riesce.
Fai entrare tutti i gatti che riesci a trovare in cortile, anche quelli che non sono tuoi. Se ne fregano del topo, solo tu e la Bigia gli date importanza (il che già sarebbe umiliante).
Ti apposti con la Bigia. Lui esce una prima volta e lei non lo vede. Ma lui vede te e torna dentro.
Esce una seconda volta, la Bigia stavolta lo vede e se lo lascia scappare. Lui torna sotto il pianoforte.
Dopo un'ora di questa menata, ti decidi a prendere in mano la situazione: prendi un profilato d'alluminio lungo e piatto e ravani sotto il pianoforte (avete idea di quanta roba può annidarsi sotto un pianoforte verticale? Ecco). Il topo esce, proprio davanti alla Bigia che resta impietrita. Allora gli molli una gran botta con il profilato, e poi un'altra, finché sei sicura che sia morto. Lo butti fuori, per la gioia dei gatti del cortile. Hai sporcato un po' di sangue, pulisci il profilato e il pavimento.
Chiami i bambini per dire che possono scendere, metti a posto tutto ciò che hai spostato, passi l'aspirapolvere perché hai tirato fuori lo sporco dei secoli. Ti fanno male le spalle e il collo, ora che ti stai rilassando.
Chiami tua madre, per rassicurarla e farti due risate. Chiami tuo marito, per dirgli che la colla non serve più perché il topo hai provveduto ad eliminarlo con le tue mani.
Lui dice: "Sei grande".
Dovevo ammazzare un topo per sentirmelo dire.