lunedì 28 marzo 2011

La cosa giusta?

Era tanto che non andavo a Fa' la cosa giusta. Devo esserci stata nel 2004, forse nel 2005. Quest'anno ho voluto tornarci, anche perché so che nel frattempo si è ampliata, ha maggiore risonanza e un maggior numero di espositori. Ci sono stata ieri, con la mia famiglia. E ne sono tornata un po' perplessa. Di buono c'è molto. La sezione alimentare mi sembra perfetta, forse perché è il settore che, tra biologico ed equo-solidale, si è affermato maggiormente anche a livello di mainstream: è più diffusa la convinzione che si tratti di prodotti più buoni, al di là degli aspetti della salute e/o dell'equità del trattamento lavorativo. Il resto della fiera (non l'ho vista tutta, solo alcune parti di critical fashion, prodotti vari e onlus) mi è sembrato oscillare tra il mercatino comune (intendo senza particolari motivazioni etico-ecologiche), l'omelia radical chic e la corsa a chi è più meritevole di essere aiutato. Sicuramente i prodotti non alimentari non hanno fatto nessuno sforzo per uscire dal cerchio ristretto in cui sono accettati e conosciuti: se la sono suonata e cantata tra i soliti amici, insomma. Per esempio, l'acqua. Ho orecchiato una conferenza sull'acqua che aveva toni molto da omelia: l'acqua è un bene di tutti, sarà la risorsa del domani, eccetera. Sono assolutamente d'accordo con questo discorso, ma, se vuoi convincere la gente, secondo me devi puntare su argomenti più terra terra. Io sono stata convinta a prendere il gasatore (non ho bisogno di un filtro, ma avrei preso anche quello al bisogno) perché la prospettiva di non avere più pacchi di bottiglie in giro mi ha resa felice (e ho avuto ragione). Epperò ho girato la fiera con una bottiglietta d'acqua nello zaino, perché non potevo andare a fare la fila al(l'unico o quasi) distributore ogni volta che i miei figli avevano sete. Quindi non so se alla fine questo modo di presentare l'acqua "del rubinetto" sia stato vincente o no: in tanti si saranno scocciati come me. Eppure io a casa mia non uso bottiglie di plastica, mi porto addirittura l'acqua da casa in ufficio. Oppure la moda: le proposte che ho visto erano anche molto carine (ho lasciato gli occhi su una gonna-vestito in seta indiana...), ma non accessibili a tutti. Ottima l'idea dei jeans equi e solidali, ma per il resto ho visto abiti che non molti potrebbero mettere in ufficio. Io stessa in ufficio non ho un particolare dress code, ma da quando ho più rapporti col pubblico preferisco un abbigliamento più "normale", senza rinunciare al mio stile per carità. Oltretutto, il mio abbigliamento cerca di essere il più economico possibile per puntare sulla varietà (ovvero non dovermi ridurre a lavare la maglietta alla sera per rimetterla il giorno dopo, non è una questione di estetica ma di pulizia): catene low cost, stock, vintage (per non dire "usato", che non fa poi così fine). Quindi ho trovato molto bella l'iniziativa dell'Armadio (che non era neanche nel settore fashion), che vendeva abiti usati a prezzi paragonabili a quelli del Mercatino di TdH che frequento a Pavia: ho preso una maglia e 3 maglioni per un totale di neanche 10 euro. Ma ho trovato poco "sostenibili" le proposte delle sartorie/aziende di abbigliamento: sia quelle che proponevano abiti nuovi a costi "equi e solidali" sia quelle che proponevano oggetti ricavati da materiale di recupero (belle trovate, ma spesso poco portabili per quanto riguarda me e la maggior parte delle persone che conosco). Insomma, sono uscita dalla fiera con una sensazione poco piacevole e con una certezza: non è con questo atteggiamento che i comportamenti e i prodotti "giusti" si imporranno sul mainstream. Sono dell'idea che o si vuole rimanere una élite perché fa figo (nel qual caso, avanti tutta!) o si deve cambiare atteggiamento e cominciare a parlare la lingua delle persone che devono ancora essere convinte. Non dico di snaturarsi, ma insomma, si può bere l'acqua del rubinetto e girare coi tacchi a spillo anziché con le birkenstock: non è necessario abbracciare tutto il pacchetto.

mercoledì 23 marzo 2011

Vampiri che ne valgono la pena

Ho recentemente avuto una conversazione con una persona che insospettabilmente si è presa una cotta per Twilight. Io credo di essere vaccinata, dal momento che ho religiosamente letto i commenti di questo blog, ma me ne tengo ugualmente lontana perché non sopporterei l'onta di innamorarmi di Edduccio. Teniamo presente comunque che scrivere di vampiri senza farli sembrare degli idioti (o facendolo, ma volutamente) è ancora possibile. Per esempio, Dampyr lo fa da almeno 10 anni, con una competenza in materia di folklore degna di un antropologo. La storia comincia in modo relativamente semplice, ma subito o quasi appare chiaro che non ci troviamo di fronte alla solita replica di Van Helsing: Boselli (rimasto ormai l'unico responsabile della serie) porta avanti una serie di sottotrame estremamente complesse. Per intenderci, di una complessità che non viene ritenuta "popolare", come se il popolo dei lettori fosse tutto composto da decerebrati. Eppure Dampyr vende e non poco. Certo, gli altri vampiri "italiani" sono tutti prodotti di nicchia, spesso editi da piccole case editrici specializzate come Gargoyle Books. Ma, per gli appassionati, ne vale sicuramente la pena: non ci troverete i drammoni adolescenziali di Twilight, ma sicuramente molto horror di qualità. Ma, anche negli USA, non è che vampiro sia sinonimo di stronzata. Aveva cominciato Anne Rice, dandoci personaggi indimenticabili come Lestat e Marius, Claudia e Maharet (io adoravo Maharet e Mael, preoccupati come genitori dell'incolumità della loro protetta umana). Bellissimo e innovativo il primo romanzo (Intervista col vampiro, da cui è stato tratto il film con Tom Cruise e una serie di altri figoni), interessanti gli sviluppi successivi. Peccato che poi nell'editoria americana (ma un po' anche nella nostra) succeda questa cosa per cui, se diventi un fenomento letterario, vai avanti a scrivere finché i fan non ti tirano i pomodori marci, con rabbia e disgusto. Questo pare valga anche per i romanzi di Anita Blake di Laurell K. Hamilton. I primissimi sono veramente divertenti e ben fatti (ne avevo già parlato qui). Funziona molto bene il rapporto di Anita con il vampiro Jean-Claude, che la attrae ma non la convince del tutto: lei lo desidera ma lo considera un mostro. Funziona anche il confronto tra Richard, il lupo mannaro buonino, e lo stesso Jean-Claude: l'uno che cerca disperatamente di non perdersi nella propria mostruosità e l'altro che ci sguazza. Mi piace anche che Anita alzi la posta, facendosi scudo della propria fede religiosa per non cedere alla avances di nessuno dei due (e mi stupisco della sua resistenza, io a 24 anni con due superfighi come pretendenti non ce l'avrei fatta, in nome di nessun principio). Mi piace il rapporto di Anita con Edward, cosa su cui è basato l'ultimo romanzo della serie che ho letto (Obsidian Butterfly). Purtroppo, sono anche andata a leggere i riassunti dei romanzi non ancora pubblicati in Italia e mi sono un po' cadute le braccia. Come dice giustamente un fan deluso, Anita è scivolata nel porno soft ed è probabile che, dopo un paio di delusioni, smetterò di leggere le sue avventure. Ciò non toglie comunque nulla ai meriti dei primi 8-9 romanzi. Sono molto contenta che la storia di Anita Blake sia diventata sia un fumetto (non un capolavoro, ma carino e rispettoso dello spirito dei romanzi) sia una serie TV (che sarei proprio curiosa di vedere). In campo cinema/televisione, i miei gusti oscillano tra i classici (dal Dracula di Christopher Lee a Intervista col vampiro passando dal Dracula di Francis Ford Coppola) e il linguaggio ultramoderno di True Blood, passando per scivoloni come Buffy. Ho sentito parlare dei Vampire Diaries, ma non mi attirano più di tanto. Qualcuno mi ha chiesto perché la serie televisiva e non i romanzi di Charlaine Harris. La risposta è che i romanzi li ho leggiucchiati in libreria e li ho trovati dimenticabili, mentre la serie TV è fatta veramente bene: attori che sanno recitare (la protagonista ha vinto un Oscar per Lezioni di Piano), un montaggio spettacolare, una gestione impressionante delle complessità della trama (soprattutto nella seconda e terza serie, dove sono presenti sempre almeno due filoni - sempre alla faccia dello stereotipo del popolo bue), nessuna pietà nel trattare temi "scottanti" (omosessualità, droga, connivenze di poteri vengono trattati sia apertamente sia a livello di metafora). Insomma, una vera goduria non solo per gli appassionati di vampiri, ma per tutti quelli che apprezzano un lavoro ben fatto.

Aggiornamento: sto leggendo Narcissus. Oltre ad essere pieno di sesso in modo imbarazzante (Anita Blake: da pulzella a puttana?), è scritto proprio male. I dialoghi sono urendi, sembrano scritti da uno sceneggiatore di Sentieri. Arriverò alla fine, ma meno male che l'ho preso in biblioteca!

venerdì 11 marzo 2011

Il bello del prestito

Di mio, sono una persona che regala volentieri ma non presta facilmente. Tanto meno libri, DVD e CD: le cose a cui tengo di più.
In casa mia, vige questa politica: se un libro mi può servire in futuro lo tengo, se invece è pura evasione finisce altrove. Finora questo "altrove" era la casa di mia mamma (se si trattava di libri che le interessavano) o un negozio di libri usati (dove comunque ti pagano una miseria). I DVD da Blockbuster.
Dall'inizio dell'anno, ho una scelta più comoda e utile alla comunità: la biblioteca.
Non quella del mio paese, che fa orari idioti e garantisce ben pochi servizi, bensì quella del paese vicino, che afferisce a un network di circa 50 biblioteche.
Anche se un'amica mi aveva magnificato questo network, ammetto di averlo un po' snobbato. A parte la biblioteca della mia infanzia/adolescenza, ho avuto sempre brutte esperienze con le biblioteche: pochi libri che non fossero "i classici", nessun materiale multimediale, cataloghi ostici da consultare e lunghissime attese per ottenere i libri. Oltre al fatto che spesso il personale era scostante e sempre con quell'aria scocciata tipica di chi lavora allo sportello.
Invece nella biblioteca di Motta ho trovato una bibliotecaria carinissima e un servizio che non ha niente da invidiare a quello di Amazon. Però gratis.
Io posso prenotare fino a 5 titoli (libri, DVD e CD) in un catalogo online vastissimo. Quando le mie prenotazioni arrivano nella mia biblioteca, mi arriva una mail di avviso. I libri posso tenerli per 2 mesi al massimo, i DVD per 2 settimane. Questo mi ha permesso di leggermi libri che invece avrei esitato a prendere, a causa del loro prezzo: tutto Alan Moore, materiale su popoli dell'antichità, cataloghi di mostre. E poi DVD di film belli ma non indimenticabili, di quelli che non vorresti tenere per sempre anche se ti hanno fatto passare due belle ore.
Insomma, un'esperienza da consigliare a chiunque abbia il network della Fondazione per leggere a disposizione. L'unica controindicazione è che potreste diventare utenti compulsivi come me.

mercoledì 9 marzo 2011

Come voglio essere

Ieri abbiamo saputo che una parente di Luca è morta alla bella età di 96 anni. Roba che, se arrivassi a un'età simile in buone condizioni, lascerei detto di fare una festa, altro che funerale.
Mi dispiace, ma non riesco ad essere triste per una persona che è vissuta 96 anni. Non sono così cinica da dire "finalmente", ma mi stringo nelle spalle e dico "vabbe', la sua vita ha avuto il tempo di farsela" (senza contare il sospirino di invidia, perché noi che lavoreremo fino a 65-70-75 anni col cavolo che arriveremo oltre ai 90).
Spesso mi dicono che non sono comprensiva nei confronti degli anziani. Può essere. Io penso di esserlo fin troppo, ovvero di comprendere perfettamente che tanti anziani si comportano in maniere sbagliate perché sanno di essere scusati, tipo "sai, poverino/a, ha un'età".
A questo punto, aspetto ansiosamente il momento in cui passerò da "che stronza" a "sai, poverina, ha un'età". Il fatto è che probabilmente non ci arriverò mai, perché educherò i miei figli (e, spero, i miei nipoti) a rispettare le persone, non la loro età.
Ed, io, che da giovane non sono mai stata uno zuccherino, di certo non diventerò una dolce e saggia nonnina. Anzi, se è vero che somiglio a mia nonna Agnese, spero che i miei figli e nipoti abbiano la forza di contenere il mio potenziale distruttivo.
Però, a differenza di mia nonna Agnese, mi piacerebbe lasciare qualcosa di più che qualche aneddoto sulla mia vita. Dopotutto, di lei so abbastanza poco: so che cosa le è successo, non quello che pensava. So che aveva un padre violento, ma non so se gli voleva bene o se aveva paura di somigliargli. So che da vedova ha avuto una vita dura, ma non so che cosa avrebbe pensato delle nostre lotte per conciliare famiglia e lavoro. È morta troppo presto perché glielo potessi chiedere.
Io vorrei essere forte e speciale come lei, ma più aperta e comunicativa. Vorrei tenermi al passo con le nuove tecnologie, ma non solo in cucina come faceva lei. Vorrei che i miei cari mi trovassero dei difetti, ma vorrei anche riuscire ad accettare le loro critiche e migliorare. Vorrei essere come lei nell'andare al sodo delle situazioni, ma senza dimenticare che anche la forma ha il suo peso. Vorrei che i miei cari sentissero il mio amore non tanto nelle opere (ché comunque 3 armadi di tovaglie sono un po' eccessivi) quanto nel calore dei miei sentimenti (e parlo di sentimenti, non di bieca manipolazione dei sensi di colpa). Vorrei avere la sua passione, ma senza la sua avventatezza (e però mi fa molta tenerezza l'idea che mia nonna fosse ancora avventata a 80 anni). Vorrei che nessuno dei miei cari si sentisse in dovere di giustificarsi per una mia mancanza ("sai, mia nonna devi capirla, ha un'età...").

martedì 8 marzo 2011

La festa di chi?

In casa mia non si è mai molto amata la festa della donna. La mimosa sì (infatti la prima cosa che farei andando a vivere in Liguria sarebbe prendermene una, da piantare o da tenere in vaso). Ma la festa non ci pareva il caso.
A me personalmente, la festa della donna sembra come la festa della Shoah, che infatti non si festeggia ma si commemora con dolore e imbarazzo. Nel senso: non ci trovo molto da festeggiare.
Abbiamo conquistato dei diritti negli ultimi 100 anni, ma grazie al cazzo! Ci spettavano! I neri americani festeggiano la festa del nero, perché gli è stato riconosciuto lo status di esseri umani? No, si incazzano di brutto perché il razzismo c'è ancora. Noi donne dovremmo fare altrettanto.
In Italia, dovremmo farlo perché, al di là degli scandaletti sessuali e degli estremismi in entrambi i sensi, la realtà è che, se tu donna vuoi avere una famiglia, son cazzi tuoi e lo Stato se ne batte il belino, salvo poi fare i Family Day per difendere il matrimonio.
(Per inciso: io sono sposata. Se volete incentivare il matrimonio rispetto alla convivenza, fatelo, io non ho nessun problema: fatemi sgravi fiscali, asili nido, case ad affitto convenzionato. Se invece volete solo farvi belli e prendere i voti dei cattolici, vi auguro che l'Inferno esista.)
Nel resto del mondo, dovremmo farlo perché, anche se per noi lo scandalo più grande è che 4 troiette prendano dei soldi per fare pompini ai politici, il mondo femminile ha ancora problemi come l'infibulazione, la mortalità femminile per violenza, l'aborto selettivo che uccide le femmine, lo sfruttamento della prostituzione anche infantile, la mancanza totale di diritti delle donne rispetto agli uomini.
Ovviamente parlo di resto del mondo ma lo si può vedere anche solo affacciandosi alla finestra. Anche se di solito preferiamo distogliere lo sguardo per non andare nei casini, per non offendere con un'offerta d'aiuto, per non impegolarci con l'infinita burocrazia che gravita intorno a tutto. Anche se i loro bambini sono uguali ai nostri, e meno male che almeno loro giocano insieme.