giovedì 22 dicembre 2011

Vacanze buone

No, quest'anno proprio non ce la faccio: nonostante qualche miglioramento, quest'anno non sento per niente il clima natalizio. Avrà fatto caldo troppo a lungo, non lo so. Sicuramente non è questione di crisi, perché noi l'anno scorso eravamo ancora fruitori del nido e quest'anno a confronto è di vacche grasse.
Anzi, quest'anno i doni sono stati più frugali ma proprio per questo più personali. Per dire, un'amica mi ha regalato un suo portaincenso, uno che le vedevo usare normalmente e con soddisfazione, perché ha ritenuto che l'immagine rappresentata fosse più adatta a me. E lo trovo più bello che se mi avesse preso una stupidaggine a caso.
Domani comunque, spirito natalizio o no, cominciano le mie vacanze, calibrate su quelle dei bambini. Molti (molte) se ne lamentano, perché sanno che passeranno tutti i giorni a casa immersi/e nel casino di bambini che giocano e litigano.
Per fortuna i miei figli non sono particolarmente molesti e tendenzialmente si fanno i fatti loro, giocando fitto fitto in una stanza diversa da quella in cui sono io. Quando disgraziatamente si interessano delle mie attività (culinarie, di solito), assistono e aiutano senza fare eccessivi danni e senza intralciarmi troppo. Comunque, a meno che non stia facendo dei dolci, tendenzialmente si stufano dopo non molto e io riprendo col solito ritmo.
Ora però non pensate che io voglia passare le vacanze a cucinare. Anzi, non ci passerò neanche un giorno (a parte la cucina di sussistenza), perché il giorno di Natale saremo fuori e a Santo Stefano cucina mia madre.
Le vacanze le voglio passare a leggere, scrivere, prendere i buonissimi tè di Acilia, ascoltare buona musica, passeggiare (tempo permettendo) e, quando saremo a Levanto, godermi il dolce far niente insieme anche a Luca. E l'idea di avere 17 giorni da dedicare a queste attività mi fa godere come non mai, figli o non figli.
Quest'anno sono arrivata alle vacanze stanca e provata da un po' di malanni, ma anche ricaricata di nuovi propositi e di tante energie emotive. Non vedo l'ora di ricaricare anche le energie fisiche con tante coccole e tanto calore.

domenica 18 dicembre 2011

Christmas is coming

Passare un'intera settimana di febbre, cominciando con un virus e finendo col prendere gli antibiotici per non perdermi il weekend.
Approfittare della malattia per sistemare le foto degli ultimi 3 anni e mezzo. E per tornare a riconsiderare seriamente i miei progetti personali, che non meritano di essere abbandonati per la mia paura di rendermi patetica o ridicola.
Passare una fruttuosa ora di shopping a trovare i regali e le idee giuste che mi mancavano. E subito dopo andare a Milano con un'amica, che viene con me a una lezione della mia maestra Francesca. La prima lezione della Pedretti non si scorda mai...
Cazzeggiare con la suddetta amica per non tornare subito a casa: dopo 5 giorni di reclusione, mi sento come un uccellino appena uscito dalla gabbia e pur di stare fuori mi farei pure la fila in posta.
Passare la serata sola in casa con i bambini: Ettore dorme da prima di cena e Amelia mi aiuta a incartare un paio di regali per le mie amiche.
Svegliarsi all'una e mezza per un brutto sogno, e pochi minuti dopo sentire che Luca è arrivato a casa. Addormentarmi stretta a lui.
Svegliarsi abbastanza presto con un sole bellissimo e programmare la giornata per cercare di fare tutto: i biscotti per Yule, le verdure di Bioexpress, un giro nel bosco (anche per raccogliere qualche ramo di quercia a scopo lavori manuali), l'albero di Natale, i compiti di Amelia.
Fare un bel giro con Ettore, alla scoperta dei piccoli tesori di questo posto: una cincia che ti guarda curiosa, gli alberi spogli che ti permettono di vedere più lontano, le rogge con il fondo di sabbia grigia e piccoli luccichii d'oro.
Ascoltare Amelia che finalmente riesce a capire in cosa consiste un certo esercizio, grazie alla pazienza di suo padre.
Aiutare Luca a far prendere forma alla sua idea, appassionarsi al progetto e tirar fuori nuovi regali.
Sfornare biscotti come una pasticceria (anche se la prima infornata è venuta bruciacchiata, con gran gioia di figli e marito che l'hanno scofanata).
Riposarsi mentre marito e figli decorano l'albero.
Non vedere l'ora di leggere il prossimo capitolo di Topicco, e poi addormentarci nelle lenzuola appena cambiate, che sanno di pulito.

martedì 13 dicembre 2011

Che tragedia!

Eh, le tragedie greche... sono storie con cui di solito vieni in contatto al liceo, nell'età dell'adolescenza. L'età perfetta per la tragedia.
All'epoca (e tuttora, per carità, non è che proprio ne sia lontana) mi identificavo molto in Medea, che ho anche visto a teatro, interpretata da Branciaroli (l'idea fa ridere, ma lui con l'abito da donna riusciva ad essere credibile e per nulla ridicolo).
La donna rifiutata perché "non presentabile", in favore di una più "in" o docile o ricca: come avrei potuto non vedermici?
Ecco, però la mia visione di Medea era incompleta. Io passavo sopra alla questione dei figli, che invece è fondamentale. Anche se alcune tradizioni ritengono che Medea abbia ucciso i figli per evitare loro il linciaggio della folla (e altre ancora, più buoniste, sostengono che li abbia portati con sé), questa cosa di Medea che uccide i propri figli per vendetta o che li abbandona alla furia del popolo non mi appartiene.
I figli per me sono un affetto che viene prima di tutto il resto. E vaffanculo a Giasone.
Ecco perché oggi (in verità, da alcuni anni) sono più attirata dalla figura di Andromaca. Nelle Troiane, Andromaca rappresenta me. Ecuba ha perduto molti figli nel fiore della giovinezza, ma Andromaca perde un figlio bambino, innocente, l'unico legame che ancora la legava a un marito amatissimo e sfortunato. Mi sale il magone solo a pensarci.
Quest'estate, ho visto Le Troiane interpretate da un gruppo di allievi della scuola di teatro Gedeone. Tra loro, c'era la mia maestra di danza Francesca, a interpretare Cassandra.
La messinscena si richiamava alle atmosfere del dopoguerra, agli anni '40, dove i troiani erano dimessi e vestiti di grigio e gli achei erano vestiti con sgargianti camicie hawaiiane e ray-ban, come i vincitori americani. Le scarpe avevano un ruolo chiave: la scena ne era invasa, rappresentavano i morti.
Infatti Andromaca compariva in scena con un paio di belle scarpe da uomo, che curava e venerava come se fossero su un altare. Dopo la morte di Astianatte, alle scarpe di Ettore si affiancava anche un paio di scarpe da bambino di 2-3 anni. Avrei potuto dargliele io, quelle del mio Ettore.
Una parte di me si ribella al comportamento di Andromaca: mi dico che cazzo, sarei morta o mi avrebbero fatto molto male, ma quel bastardo di Odisseo, uccisore di bambini, l'avrei infilzato di sicuro. Cosa ti chiami Andromaca a fare, se ti rassegni subito al dolore?
Ma la mia parte realista, quella che ha imparato come va il mondo, mi suggerisce che al suo posto avrei fatto esattamente la stessa cosa: sarei rimasta lì, annichilita dall'impotenza e dal dolore, e avrei cercato di sopravvivere.
A meno che (come suggerisce l'Orlando Innamorato) non avessi avuto l'astuzia di mandare il mio vero figlio a sopravvivere altrove e avessi avuto il pelo sullo stomaco di sostituirlo col bambino di un'altra. Pare una cosa orribile, e lo è, ma ammetto con onestà che per la vita di uno solo dei miei figli sarei prontissima a sacrificarne 10 dei vostri.

Perché non mi crediate pazza o depressa (ho solo l'influenza, ma non conta), sappiate che questo post partecipa al contest di Yeni Belqis.

lunedì 5 dicembre 2011

Libri per le grandi occasioni

Fin da quando ero piccola, vivo circondata dai libri. Ad un certo punto della mia vita, ho avuto feroce invidia per un amico che vi poteva dedicare un'intera stanza della sua casa. Oggi traggo vantaggio e conforto dalla vicina biblioteca, e vi riverso molti dei miei libri che non ha più senso tenere (narrativa di vario genere, saggistica e manualistica che non mi interessano più, tra qualche tempo anche i libri per bambini che i miei figli snobberanno perché troppo "da piccoli").
Nei periodi normali vivo immersa in un flusso più o meno forte di libri, che si succedono l'uno dopo l'altro seguendo i miei interessi e le mie curiosità del momento. Per esempio, in questo periodo alterno narrativa Young Adult a saggi su varie divinità (al momento sto leggendo un libro che applica gli archetipi delle divinità greche alla psicologia femminile, interessante anche se un po' datato su certe posizioni).
Ci sono stati però momenti della mia vita in cui, per vari motivi (di solito lo spazio in valigia era il principale), ho cercato il libro "perfetto".
Per esempio, durante le vacanze. Per la mia prima vacanza in Grecia, il mio meraviglioso libraio mi consigliò un libro di Gerald Durrell che non avevo ancora letto. Per il secondo viaggio, l'anno dopo, scelsi Le memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, una delle mie autrici preferite.
Per una vacanza all'Elba, il mio libraio mi consigliò Il conte di Montecristo, che rimane uno dei libri più ben orchestrati che io abbia mai letto, veramente entusiasmante. Per la Sicilia mi portai Camilleri nel 1997 e I Vicerè nel 2002. E nel mio viaggio di nozze in Turchia mi portai L'impossibile volo, dello stesso autore del Mandolino del capitano Corelli (cosa che mi fece storcere preventivamente il naso e invece no, quest'altro libro non è per niente male).
Il libro che il mio libraio non ha azzeccato è quello da portare in ospedale per la nascita di Amelia: mi ha consigliato un libro della Vargas, Parti in fretta e non tornare, senza considerare che c'era una scena in cui il protagonista tradisce la sua donna lontana. Una scena che mi ha fatta star male, perché non c'è un momento in cui mi sono sentita così vulnerabile e poco desiderabile e dipendente da Luca come quello intorno al mio primo parto.
Se potessi tornare indietro, mi consiglierei sempre la Vargas, con un libro diverso (per esempio trovo divertenti i libri degli Evangelisti, tipo Un po' più in là sulla destra). Oppure, ancora meglio, la trilogia di Bartimeus (almeno il primo, che è del 2003). Oppure un giallo di Amelia Peabody. O una storia di vampiri divertente tipo le prime di Anita Blake.
Oppure ancora: se avessi avuto un po' più di esperienza di fumetti, mi sarei comprata la Lega degli straordinari gentlemen. Oppure Hellboy, anche se è più malinconico di quanto possa piacere a una che sta in ospedale o che ne è appena uscita.
Devo dire che, mentre con Amelia in ospedale ho avuto pochissimo tempo per leggere in ospedale (ho letto a casa, durante le 12 notti passate ad allattare), con Ettore ne ho avuto tanto, perché ero in camera da sola. E non avevo un libro, perché, memore della precedente esperienza, avevo creduto fosse inutile.
Presa da un raptus, ho implorato mio marito di portarmi delle riviste. Le più maschili che poteva trovare, perché ero esasperata dall'atmosfera iperfemminile del reparto. Con mio grande sollievo, Luca mi ha portato Le Scienze, Natural Geographic, Internazionale, Espresso e Archeo. Me lo ricordo ancora perfettamente, tanto fu il mio sollievo.
Me ne stavo in camera da sola, con Ettore che dormiva nella sua culla davanti alla finestra (aveva un accenno di ittero), e sognavo di essere in un pub a bere birra e citare a memoria battute da film d'azione.
Va da sé che se per disgrazia dovessi entrare di nuovo in ospedale, mi porterei dietro il portatile e un hard disk infarcito di film adrenalinici.