lunedì 27 febbraio 2012

Il più grande spettacolo

Premessa: nella mia vita ci sono alcune persone che risplendono come fari sia per la loro bravura professionale sia per la loro umanità. Si contano sulle dita delle mani, purtroppo. Una ho avuto la fortuna di sposarla. Un'altra è la mia maestra di danza, che questo weekend ha organizzato un evento davvero eccezionale.
Insieme a un'amica, ho deciso di partecipare a due workshop dei due ospiti internazionali, Illan ed Elisheva.
Da Illan non sapevo bene che cosa aspettarmi: un ragazzino di 18 anni, bravo sul palco ma chissà come insegnante... Ecco, quel ragazzino di 18 anni è stato un insegnante fenomenale: comunicativo, chiaro, interessante. Oltre ad essere simpatico e disponibile.
Insomma, dopo 10 minuti ero già pronta a stalkerare sua madre (presente, ma discreta e simpaticissima anche lei) per farmi insegnare come crescere i miei figli così: capaci di sfruttare il proprio talento ma senza per questo smettere di coltivare la propria umanità.
Elisheva, che sul palco rende 100 volte di più che nei video, si è dimostrata altrettanto brava come insegnante. Di lei, oltre alle doti umane, ho apprezzato la grande esperienza, il controllo di parti apparentemente insignificanti del corpo, il metodo, l'originalità. Un'altra insegnante che terrò d'occhio nei suoi prossimi passaggi in Italia.
Penso che però molto del merito vada anche all'organizzatrice dell'evento, che ha fatto sentire tutti come in una grande famiglia, e alla location delle attività didattiche, che ci ha contenuti tutti in un ambiente adeguatamente ampio ma raccolto. Sicuramente non sarebbe stata la stessa cosa, se fossimo stati in un salone enorme in 100.
Dello spettacolo mi è dispiaciuta una sola cosa: che Amelia, che fino all'ultimo è stata indecisa se venire o no, abbia scelto di rimanere dalla nonna. Sicuramente si sarebbe perdutamente innamorata di Illan e sarebbe rimasta incantata dai pezzi di De Nova Luce e della Carovana Tribale.
Io e Luca lo spettacolo ce lo siamo goduto proprio. E segnaliamo con grande calore agli amici romani che il weekend prossimo si replica dalle loro parti: io non me lo perderei.

giovedì 23 febbraio 2012

Ordine e pulizia

OK, lo ammetto: ultimamente sono spesso su Pinterest. Mi ipnotizza, mi dà un sacco di spunti, mi incuriosisce. Mi piace sia vedere i pin dei miei preferiti sia andare nel grande mare indifferenziato.
Faccio finta di non vedere le ricette, mi beo di paesaggi che forse non vedrò mai, metto da parte immagini che mi piacciono ma non so perché, sbavo su alcuni arredamenti e alcune case. Più sulle case, ammetto: gli arredamenti spesso sarebbero tranquillamente alla mia portata, nulla che non si possa fare con un po' di IKEA e qualche mobile di recupero.
Ma qui casca l'asino: in realtà casa mia non è brutta, almeno nei posti che abbiamo potuto "pensare" meglio (ovvero cucina e soggiorno). Anzi, penso che non abbia niente da invidiare a certe case che sono su Pinterest.
I problemi sono 2: da un lato la mancanza di ordine e dall'altro la mancanza di stile del disordine. Mi spiego: se non riesci a mettere in ordine, puoi sempre avere un certo stile nel tuo casino. Ciò è possibile di solito se vivi da solo o se tu e il tuo compagno avete lo stesso identico stile. Altrimenti, l'unica soluzione per apparire cool è l'ordine. Che significa ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa.
Ora non voglio attaccare il pippone che a casa mia sono l'unica che pensa all'ordine e che ne ho piene le palle di trovarlo io, il posto per ogni cosa. Non è vero: quando mi sono lavata le mani del disordine dei giocattoli, ci ha pensato Luca. E sto progettando di comprare un robot aspirapolvere da programmare tutte le sere, per educare i miei figli a riordinare prima di salire in camera.
Però, quando riesco a guardare la mia casa ordinata e pulita, mi chiedo proprio perché sbavare su case altrui. La soluzione ci sarebbe: sopprimere gatti e bambini. Oppure aspettare che si tolgano dalle palle, tra quei 15-20 anni.

giovedì 16 febbraio 2012

Del lavoro e altri demoni

Ultimamente sono capitate un po' di cose che mi hanno fatto rimuginare sul tema del lavoro, e non solo della sua conciliazione con la maternità: della sua conciliazione con le nostre esigenze e aspettative.
Fatto n. 1: messa alle strette dal marito per una serie di circostanze, una mia amica decide di lasciare il lavoro di libera professionista, che lei amava tanto e che ormai aveva ingranato, e cercarsi un part time da dipendente / co.co.co.
Fatto n. 2: un'altra amica, dipendente a tempo indeterminato in un'azienda che la tratta da schiava e per cui è costretta a fare la pendolare, si licenzia perché è stufa di aver voglia di vomitare ogni volta che fa la strada per l'ufficio. La capisco e spero che trovi presto un lavoro migliore.
Fatto n. 3: una terza amica viene presa in prova dall'azienda dei suoi sogni, a fare il lavoro che le piace e le viene meglio, con un orario part time decisamente comodo e uno stipendio più che dignitoso.
Fatto n. 4: ieri leggo da Emily un post che parla di un caso di tentata conciliazione tra datore di lavoro e lavoratrice tornata dalla maternità.
Il fatto è che io non so cosa pensare di questo sistema di lavoro. L'articolo 18 va benissimo, ma è anche il fallimento della nostra società. Perché? Perché in realtà, in un mercato del lavoro ricco e dinamico e in una società dove le tutele sociali sono ben gestite dallo Stato, l'articolo 18 e il mito del posto fisso non avrebbero ragione di esistere.
Prendiamo il mio caso. Non ho fatto fatica a trovare il mio primo lavoro, a 24 anni, e mi ci sono trovata così bene che, anni dopo, quando ormai ero da un'altra parte, il mio primo datore di lavoro è tornato a cercarmi. Ho rifiutato perché sapevo di voler mettere su famiglia e i ritmi di quell'azienda, che pure continuo ad amare, non sarebbero stati conciliabili con i miei, soprattutto durante i primi anni.
A volte ho rimpianto quella scelta, altre volte mi son detta che era indispensabile. Dopo la prima maternità, mi sono vista sottrarre un progetto che mi era stato promesso (e a cui avevo dato tutta la mia disponibilità). Sono entrata nello Stato, mi sono mortificata in un posto di lavoro orrendo a fare un lavoro per cui nessuno mi ha mai addestrata. E poi sono stata graziata con il trasferimento nel mio posto attuale.
Dal 2006 fino alla fine del 2010, ho dato a nido, tate, baby sitter e servizi comunali non meno di 400 euro al mese (in media 600/650, con punte di 1000, ovvero l'intero mio stipendo, nel mese di settembre). Sono stata costretta ad avere due auto, perché nel posto in cui vivo non è pensabile diversamente se entrambi lavorano.
Avrei fatto queste scelte se fossi stata sicura di trovare un lavoro alla fine di quel periodo? Io penso di no. Avrei sicuramente cercato di lavorare, magari da casa o magari part time, nel periodo tra un figlio e l'altro, ma non penso né che mi sarei trascinata una situazione così brutta per amore del posto fisso né che avrei odiato così tanto il ritorno al lavoro.
Ovviamente parlo per me: ci sono invece tante donne che sentono l'esigenza di tornare al lavoro pochi mesi dopo il parto. E per loro uno Stato civile potrebbe approntare nidi pubblici e servizi più aderenti alle esigenze del mondo del lavoro (per esempio, non una scuola con 3 mesi di vacanze estive e giorni di ferie sparsi a tradimento qua e là). Non parliamo poi del congedo parentale obbligatorio per i padri, che è ormai un mio vecchio cavallo di battaglia.
Adesso che i miei figli sono più grandi, la mia presenza sul lavoro è la stessa di una childfree: adesso, se non vivessi in uno Stato in cui il mercato del lavoro è veramente infame, potrei tornare a cercare un lavoro impegnativo, in grado di sfruttare le mie competenze e la mia maturità.
Per fortuna è quello che casualmente mi sta capitando nella mia struttura: sto crescendo in un ambito in via di sviluppo e probabilmente mi capiterà di fare cose interessanti.
E vedo che, nello Stato, il mio percorso è piuttosto comune: fai un periodo-purgatorio in cui, per via dei bambini piccoli, si sa che non sei affidabile (a meno che di non avere una mamma o suocera pensionate alle spalle), poi, se dimostri il tuo valore, la tua carriera riprende.
Ma quante aziende private se lo possono permettere? Perché, dal momento che si tratta di costi sociali, non se ne fa carico lo Stato? Ovviamente già paga i congedi parentali e le assenze per malattia dei figli (che inspiegabilmente non vengono sottoposte a controllo da parte del medico fiscale: perché?), ma i costi per le aziende sono molto più alti: ci sono lavori interrotti, sostituti da prendere al di là del periodo di congedo, magari anche decisioni da prendere in modo imparziale, cosa per cui sarebbe bene istituire una specie di giudice del lavoro.
E in questo caso il congedo parentale esteso ai padri può tamponare la questione solo parzialmente: in periodi particolarmente pieni per l'uno si può pesare più sull'altro, ma se i periodi di piena coincidono?
Insomma, io una soluzione in tasca non ce l'ho, ma mi chiedo se sono la sola a farmi certe domande.

martedì 7 febbraio 2012

A cavallo

Ieri Ettore si è goduto la prima parte del suo regalo di compleanno: la prima lezione di un corso di equitazione.
Qualche mese fa, alla fiera del paese, avevamo visto questo recinto in cui si poteva fare un giro sui pony più bassi che abbia mai visto. In un primo tempo, né Ettore né Amelia avevano voluto provare. Poi, senza che io insistessi o nominassi di nuovo quei pony, Ettore ha cambiato idea e ha voluto salirci.
Ho preso informazioni sul maneggio (è a 10-15 minuti da casa mia, appena oltre il ponte di barche) e ho scoperto che non accettavano allievi fino ai 4 anni. Quindi ho concordato con Ettore che il corso di equitazione sarebbe stato il suo regalo di compleanno.
Quindi qualche giorno prima ho chiamato e mi sono messa d'accordo con la titolare per ieri pomeriggio.
Ettore è stato bardato di tutto punto (cap, tartaruga, stivaletti) e ha fatto quasi mezz'ora di esercizi su un pony alto come un tavolo da cucina: esercizi essenzialmente di equilibrio, per abituarlo a stare in sella senza tenersi.
Verso la fine, ha preferito non continuare perché aveva troppo freddo (e ne faceva, anche se eravamo al coperto e al semichiuso).
Però è stato contento e ha espresso il desiderio di fare altre lezioni. Quindi ho firmato tutti i moduli e la prossima volta pagheremo assicurazione e tesserino.
Spero e penso che per lui sarà una bella esperienza: abituato com'è ai bovini, imparerà anche come trattare i cavalli e svilupperà sicuramente una relazione affettiva col "suo" pony. Penso che gli farà bene avere un rapporto con una creatura su cui la sua ruffianeria non ha presa (a differenza degli umani).
La prossima lezione è tra due settimane. Sperando che questo freddo sia solo un lontano ricordo.

mercoledì 1 febbraio 2012

Letture di gennaio

Gennaio è stato un buon mese per le mie letture: a parte le vacanze, c'è stata anche una simpatica settimana di malattia, durante la quale l'unica cosa bella è stata leggere.
Saggistica: finalmente mi sono confrontata con la famosa opera di Margaret Murray, Le streghe dell'Europa Occidentale. Sinceramente però sono un po' perplessa: le prove raccolte dalla Murray riguardo rituali e credenze delle streghe dal XV secolo mi sembrano raccontare un culto più satanico che dianico. Insomma, non c'è neanche la preminenza di una divinità femminile, bensì di un dio maschio! Credo che la Murray sia stata un'ottima pioniera in questo genere di studi, ma che ormai abbia più senso leggere saggi più recenti.
Romanzo storico: La dea dei cavalli di Morgan Llywelyn, anche se di storico ha ben poco. La storia è appassionante e divertente, ma decisamente squilibrata. Forse me la sarei goduta di più se a) non avesse avuto pretese di storicità ma fosse stato un romanzo fantasy b) la terza e ultima parte non fosse stata liquidata in 20-30 paginette.
Romanzo psicologico: Un'inquietante simmetria. Sicuramente una goduria per chi conosce bene Londra, quindi punto a favore. La storia è davvero inquietante, sempre giocata sul filo della tensione psicologica con un (bel) po' di paranormale. Trovo un po' deludente il colpo di scena finale, anche se è abbastanza nella natura del personaggio (e non spoilero oltre).
Romanzo fantascientifico: Sono il numero quattro. Romanzo young adult godibile, anche se a noi "grandi" viene il nervoso per qualche piccola idiozia da adolescente. A momenti riuscivo quasi a commuovermi sul finale.
Romanzo avventuroso: La tenerezza dei lupi. Non so voi, ma io sono cresciuta con Zanna Bianca e Il richiamo della foresta. Qui l'ambientazione è la stessa: l'Alaska in quei tempi lì, con il contorno di natura, rapporto con i nativi e con le risorse locali, aspettative dei coloni, eccetera. Il tutto mischiato con un piccolo intrigo e con tanta umanità nel senso non buonista del termine.
Romanzo di vampiri: Il profumo del sangue. Che mmerda! Immaginavo una cazzata, ma non così poderosa. Immaginatevi i peggio romanzi di Anita Blake, quelli dopo la svolta porno-soft, e infilateci dentro degli angeli arrapati. Ho reso l'idea?
Giallo storico: La signora dell'arte della morte. Una specie di Kay Scarpetta del 1100. Se si supera l'estrema inverosimiglianza del tutto (un medico legale donna nubile nell'Inghilterra del 1100, ne vogliamo parlare di quanto velocemente sarebbe stata messa su una pira?), godibile e divertente. Uno svuotacervello intelligente stile Fratello Cadfael o Owen Archer.
Romanzo di spionaggio: L'arma segreta di Stella Rimington. Non so se l'ex capo dell'MI5 sia un vero talento o se abbia un bravissimo ghost writer, ma mi piace proprio: storie verosimili, intrecci funzionanti e personaggi azzeccatissimi. Liz è poco più che un'impiegata statale come me, ma è candidata ad essere uno dei miei personaggi preferiti in assoluto.
Giallo scandinavo: Al lupo al lupo! di Karin Fossum. Bello, ben fatto, quello che ti aspetti da un giallo. Da non leggere se: avete un bambino neonato, avete un bambino a cui dovete decidere di concedere un po' di autonomia, avete un figlio adolescente inquieto, siete malati, vi fate menate sull'età. Insomma, è un libro destabilizzate, da leggere solo quando si è in stato di felicità zen.
Romanzo fantasy: Inheritance. Qualcosa come 800 e rotti pagine per raccontare una storia che la Rowling avrebbe riassunto in 10 pagine, emozionandoci. Il successo di Paolini è per me la cosa più inspiegabile al mondo, da segnalare al CICAP. Vi dico solo che fino all'ultimo (ovvero a 100 pagine dalla fine, sigh!) ho vivamente sperato che il drago del cattivo si magnasse tutti i buoni senza neanche arrostirli. O che, in alternativa, morissero tutti spontaneamente di dissenteria fulminante. Mi si dirà: e perché te lo sei letto tutto, 'sto benedetto ciclo? Perché ne avevo il tempo e perché odio lasciare le saghe a metà, ma lo considero una vera perdita di energie cerebrali.
Saggio antropologico: La stirpe di Dracula di Massimo Introvigne. L'ho sentito citare in varie situazioni, ma non avevo mai avuto modo di metterci sopra le mani. Beh, ottimo saggio, molto interessante. Peccato che, essendo stato pubblicato a fine anni Novanta, non possa comprendere tutto il fenomeno dei vampiri per adolescenti, da Buffy la serie TV in poi. Per il mio punto di vista, è stata molto interessante la parte sull'origine del mito del vampiro, che mi ha permesso di collocare correttamente una conferenza ascoltata un paio d'anni fa.
Storia edificante: Bambini di farina di Anne Fine. Lo farei leggere a un ragazzino delle medie, quell'età in cui si disprezzano i genitori a prescindere e si ha sempre ragione. E, se fossi un insegnante di una scuola in cui si può fare, ripeterei l'esperimento: dev'essere moooooolto interessante.
Romanzo bimbiminkia: Rebel di Alexandra Adornetto. Lo ammetto: nella prima metà, sia pure con tutte le sue ingenuità, il romanzo mi ha incuriosita. Non era male, all'inizio, neanche la figura dell'emissario delle tenebre. Da 2/3 in poi purtroppo si sbraca: il cattivo ripercorre tutto il manuale del cattivo da manuale, quella cattiveria stupida e con poche chances di successo. Ovvio che da lì in poi la protagonista non se lo fila e la storia diventa una stronzata. Occasione sprecata.
Romanzo horror: La progenie di Guillermo del Toro e Chuck Hogan (che mi immagino come un misto di Chuck Norris e Hulk Hogan). Se questo libro doveva farmi paura, beh, ha rispettato la sua mission: fa una paura fottuta, almeno a me. Ora prenoto il secondo, La caduta.