giovedì 17 maggio 2012

Faccio ridere

Io scrivo da quando avevo 7 anni (e non ho neanche avuto un'infanzia infelice, è tutta farina del mio sacco). Ho sempre scritto cose serie. A volte drammatiche, a volte più leggere. Sempre più condite di ironia man mano che crescevo, ma sempre con una base seria.
Ho sempre amato una scrittura brillante, non banale. E spero, nei miei momenti migliori, di essere riuscita a scrivere dialoghi davvero buoni (anche se, guardando alcune serie TV come Sherlock e Game of Thrones nei dialoghi dei Lannister, penso che i miei dialoghi siano più adatti a un prodotto audiovisivo che a un fumetto o a un racconto in prosa). Ma non sono mai andata oltre.
Certo, avevo il mio blog del Mignolo col Prof. Lì le cose buffe da raccontare non mi mancavano, e cercavo sempre di vedere in chiave divertente anche gli avvenimenti apparentemente neutri.
Ora non mi va più di scriverci per tutta una serie di motivi (riassumibili in "mi sono stufata"), ma per un certo numero di anni ho scritto tutti i giorni e ho un certo numero di lettori che tutt'oggi mi riconoscono come il Prof del Mignolocolprof, ovvero quella matta (sposata con un matto) che tutti i giorni raccontava qualcosa di buffo in non più di 10 righe.
Anche mio marito si divertiva a leggere quello che scrivevo di noi. Invece, mi è sempre sembrato che leggesse Viola o le altre mie cose più per dovere "coniugale" che non per genuino divertimento.
Un anno e mezzo fa, per la prima volta, ho pensato una storia divertente. Anzi, diamo i giusti meriti: io avevo pensato a una serie di gialli un po' ironici e leggeri, con una protagonista incongrua stile Camilla Baudino ma ancora più assurda.
L'intervento di una mia amica, disegnatrice e amante di narrativa fantasy, ha dato al progetto una svolta imprevista e un'impronta decisamente divertente, senza neanche un po' di zavorra.
In un primo tempo, avevo pensato di sviluppare questa nuova storia come un fumetto seriale. Ma, come dicevo nel post precedente, fare un fumetto implica dipendenza da editore e disegnatore. E significa che, se prima non "vendi" il tuo prodotto, non lo vedrai mai finito.
Circa un anno fa, ho deciso che la mia nuova storia sarebbe stata scritta in prosa. Circa un anno fa, sono stata messa al tappeto dalla bravura di Jonathan Stroud nel delineare il personaggio di Bartimeus. Sono cose che ti segnano, nel senso che ti danno tantissimo materiale da elaborare. Ed io per 6 mesi ho elaborato: a parte la scimmia delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, in cui comunque ci sono dialoghi fulminanti, ho letto Neil Gaiman, Elizabeth Peters, Terry Pratchett, letteratura Young Adult.
Ho provato a scrivere una storia completamente diversa e molto drammatica. Ho raccolto un po' di documentazione per la moglie del boia. Insomma, mi sono comportata come un animale che sta per andare in letargo: ho accumulato, accumulato.
E poi, un bel giorno di dicembre, ho cominciato a scrivere. Non con la facilità di tanti anni fa, in cui scrivevo mille incipit che finivano lì. All'inizio con fatica, come una che riprende a parlare dopo un lungo silenzio.
E poi sempre più facilmente, al punto che riuscivo a scrivere in ogni luogo e in ogni momento, come se fosse una dettatura.
Come spesso mi succede ultimamente, Levanto è stata il luogo in cui la mia scrittura è fiorita: scrivevo sulla spiaggia, sulle panchine, al parchetto, in casa. Con una semplice penna a sfera e su un semplice quadernone a spirale. E la sera leggevo a Luca quello che avevo scritto durante il giorno, facendolo ridere e rendendolo davvero partecipe della mia storia.
Lo slancio di Levanto è durato anche per diverse settimane dopo il ritorno. Poi, in un punto quasi finale, mi sono un po' arenata. Ho dovuto quasi ammazzarmi in un incidente stradale per avere un periodo di riposo e noia (la prima settimana non potevo leggere né scrivere né guardare uno schermo, a causa del collarino), da cui è scaturito lo slancio per finire ciò che avevo cominciato a dicembre.
Ho trasferito su computer la prima stesura e l'ho mandata alle persone di cui mi fido di più. Il primo feedback, pochi giorni dopo, è stato "More Sholeh Zard, please!".
Sì, perché la prima storia divertente che ho creato si chiama Sholeh Zard, come un dolce persiano. Di cosa parla? Adesso non ho più tempo di raccontarvelo, sarà per la prossima volta.

lunedì 7 maggio 2012

Il viottolo dell'artista

Sto leggendo questo libro, consigliatomi da diverse persone che vogliono trovare il coraggio di esprimere la propria creatività.
Non so dire se potrà aiutarmi. Per ora, mi irrita un po' il suo continuo rimando alla divinità come fonte della creatività. Per carità, so benissimo che posso interpretare questo rimando come un riferimento al divino che c'è dentro di noi, ma non posso farci niente: troppo spesso questo Dio che lei nomina mi sembra una specie di giustificone totale globale per essere artisti.
Al di là di alcune ingenuità e di certe mie idiosincrasie, il libro ha uno scopo interessante: liberare l'artista bloccato che può esserci in ognuno di noi. Per liberarlo, l'autrice agisce in due modi principali: da un lato va a cercare le cause del blocco, dall'altro propone esercizi per rafforzare l'artista interiore.
È sicuramente interessante per una persona come me, che non ha mai creduto realmente di poter vivere della propria creatività e che per certi versi si (è) vergogna(ta) di avere un lato creativo. Però secondo me, per ora non coglie un punto: essere artisti non è la stessa cosa che saper promuovere la propria opera.
Per dire: Michelangelo, col suo caratteraccio, di certo oggi farebbe la fame. Raffaello no, eppure non è un artista né migliore né peggiore di Michelangelo (nonostante nella critica d'arte ci siano le due fazioni raffaellesca e michelangiolesca, che si odiano).
Per me, scrivere non è mai stato un problema: non ho mai avuto un blocco così forte da impedirmi di produrre le mie cosine nel segreto dei miei quaderni e del mio PC. Di più: se guardo ai miei scritti con totale onestà, non mi sento per niente indegna di pubblicare (non tutto, ma le cose migliori sì). E penso onestamente che le cose non degne di essere pubblicate comunque contengano buone idee sviluppate male o con troppa fretta o senza la giusta maturità: non è detto che un giorno io decida di farne qualcosa di meglio.
Quello che mi devasta è promuovere i miei progetti. L'ho provato con Viola, ed è stato estenuante: ogni volta che mi sono trovata davanti a qualcuno, cercando di spiegargli perché avrebbe dovuto pubblicare il mio lavoro, mi sono sentita come... non lo so, come se fossi la persona peggio equipaggiata per quel compito. Forse dipende dal fatto che Viola veniva presentata come soggetto e non come progetto finito. Ma più di tutto c'era l'inadeguatezza di esprimere il motivo per cui, secondo me, Viola merita di essere letta da più dei miei 5 lettori.
Fermo restando che non stiamo parlando di capolavori, che cosa rende un'opera più meritevole dell'altra? Le storie, nella mia testa, non hanno uan graduatoria di merito: quelle belle le voglio leggere, quelle brutte no. Le altre considerazioni mi sembrano inconsistenti, soprattutto se una storia ho deciso di scriverla per un impulso irrazionale e non certo per una considerazione di mercato.
Per me Viola è sicuramente un fallimento, una ferita aperta più delle storie che non ho mai portato alla luce. Mi rode non tanto il fatto di non essere stata pubblicata, quanto il fatto che senza la pubblicazione Viola non può nascere, perché nessun disegnatore disegna prima di avere la certezza di essere pagato e pubblicato.
La sensazione peggiore che ho provato con Viola è quella di essere ostaggio di altri per vedere realizzata un'opera pensata da me. Ho messo insieme questa sensazione all'incapacità di promuovermi e ci ho lavorato. Per sei mesi. E poi ho fatto qualcosa che mi ha permesso di superare lo stallo.
Che cosa? So di essere pessima, ma ve ne parlo un'altra volta.

martedì 1 maggio 2012

Letture di aprile

Fumetti: The Authority e Ultimate X-men. Il secondo è pura operazione di mercato, una conferma del fatto che le saghe di supereroi & Co non sono né più né meno che soap operas destinate a un pubblico maschile. Divertente, ma non ci spenderei neanche un centesimo (viva la biblioteca!). Il primo invece è una parodia/rivisitazione dei fumetti supereroistici, diciamo che sta ai fumetti americani classici come Tarantino sta alle gangster stories. Adoro Jenny Sparks: avendo un carattere orrendo almeno quanto il suo, vorrei avere anche i suoi poteri.
Romanzi a tema indiano: Mama Tandoori e Madame Mallory e il piccolo chef indiano. Il primo parla di una mamma che sembra la yiddische mame di Moni Ovadia in versione indiana. Come in Moni Ovadia, si ride e si piange di questa madre ingombrante e a suo modo amorevole, dispotica e disperata. Il secondo invece racconta di un'intera famiglia indiana e del percorso di uno dei suoi membri per raggiungere il successo come chef a 3 stelle Michelin. La figura di Madame Mallory è un po' stereotipata, ma irresistibile, come pure quella di Papa.
Fantasy Young Adult: Green di Kerstin Gier. Finalmente la saga dei viaggiatori nel tempo è arrivata alla fine. Una degna fine, devo ammettere. Non fatevi ingannare dalle copertine, sono fuorvianti: la storia è raccontata con verve e ritmo, e la protagonista è proprio tutto il contrario di certe sospirose eroine romantiche.
Divertimento intelligente: Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve di Jonas Jonasson. Vivaddio, gli svedesi non scrivono solo gialli! Scrivono anche meravigliosi romanzi surreali. Come questo, che racconta la vita di Allan Karlsson, centenario in fuga dalla casa di riposo, e non vi dico altro per non guastarvi la lettura. Io l'ho adorato, e anche mio marito se lo sta godendo.
Fantasy paganeggiante: La dea della guerra di Marion Zimmer Bradley (in collaborazione con Diana Paxson). L'ho letto spinta dalle recensioni positive di una mia cara amica, anche se altri romanzi della serie di Avalon non mi erano piaciuti granché. Confermo il mio giudizio: mhe.
Giallo archelogico: Il flagello di Horus di Elizabeth Peters. (Apriamo una parentesi: perché gli editori italiani hanno tradotto - male - non una ma due volte i titoli dei libri di Elizabeth Peters, stravolgendoli in entrambi i casi? Chiusa la parentesi) Ogni tanto un po' di sana Amelia Peabody ci vuole: azione, misteri, un po' di archeologia e tanta ironia. Dopo la serissima Boudica, un toccasana.
Romanzo storico: Il gusto proibito delle zenzero di Jamie Ford. Interessanti lo spunto e l'ambientazione. Ma i meriti di questo romanzo finiscono qui. Già vista la storia d'amore alla Romeo e Giulietta, già visto il ritrovarsi dopo 40 anni di separazione. L'unica cosa che mi ha colpita in tutto il libro è la descrizione di un dolce cinese che parrebbe una specie di zucchero filato ripieno di cocco e frutta secca: se qualcuno ha la ricetta, ci proviamo.
Indefinibile: La casa del tempo sospeso di Mariam Petrosjan. Mi è piaciuto, ma non saprei dire perché. Sono convinta di non averlo capito interamente, ma questo libro ha dentro tutto: la vita, la magia, la crescita, l'adolescenza, la paura, l'amicizia. Mi sono commossa e ho riso, mi sono irritata e certi personaggi li amerò od odierò tutta la vita. Penso che lo rileggerò, tra qualche anno.
Capolavoro: Il circo della notte di Erin Morgenstern. Credete a tutte le recensioni positive che leggerete: questo libro è veramente bello. È onirico, visivamente godurioso, inquietante ma non disturbante, coinvolgente a vari livelli.
Cagata romantica: La libreria dei nuovi inizi di  Anjali Banerjee. Prendete una serie di luoghi comuni sulle donne e sull'amore, frullateli con un pizzico di curry ed ecco questo libro. Inutile.
Fantasy Young Adult 2: Wings di Aprilynne Pike. L'ennesima ragazzina che scopre di essere una creatura magica potente. Con tanto di triangolo. No, scusatemi, non ce la posso fare a seguire questa saga.
Inquisitori seriali: La luce di Orione di Valerio Evangelisti. Il vecchio Eymerich fa sempre centro, col suo misto di sarcasmo, mancanza di scrupoli, fanatismo, insospettabile umanità e umorismo non si sa quanto involontario. Però non c'è l'innovazione dirompente dei primi romanzi della serie.
Epic fantasy: La torcia di Marion Zimmer Bradley. Circa un anno fa, l'avevo sentito nominare perché la mia maestra di danza avrebbe dovuto interpretare Cassandra nelle Troiane di Euripide. Mi ha fatto lo stesso effetto della trilogia di David Gemmel: inutile.