sabato 11 agosto 2012

Letture di agosto - prima parte

Urban fantasy Young Adult: la trilogia di Shadowhunters di Clarissa Clare. Pensavo a una solenne stronzata, e invece mi si è rivelata una serie di romanzi divertenti e leggeri, spesso più vicini al tono di Sholeh Zard che a quello di una storia in cui si salva il mondo. Però 'sti padri cattivissimi hanno un po' rotto le scatole: cambiamo registro, please.
Typical fantasy: Il sangue degli elfi di Andrzej Sapkowski. Geralt di Rivia è un personaggio di quelli che non si dimenticano. OK, sta nello stereotipo della macchina di morte dal cuore tenero, ma in una maniera tutta sua. Questo è il primo vero romanzo della saga, e come tale si comporta: restano molte questioni in sospeso, e chissà quando verranno sciolti i nodi. Se l'avessi saputo, l'avrei preso a saga finita.
Delizioso: Romanzo rosa di Stefania Bertola. Ne avevo già visto uno stralcio nella schermata inviatami dalla mia bibliotecaria. Ora l'ho letto tutto e l'ho trovato veramente piacevole, una lettura sorridente.
Giallo milanese: La casa di ringhiera di Francesco Recami. Inizia bene: bella ambientazione, personaggio simpatico (con figlia odiosa come un herpes), atmosfere vecchia Milano. Ma poi qualcosa va storto. Peccato, deludente.
Urban fantasy nippo-italiano: Esbat di Lara Manni. Ok, probabilmente i pagani solleveranno il sopracciglio in più di un punto. E probabilmente lo faranno anche gli esperti in storia delle religioni. Gli esperti di Giappone non lo so, non sono tra di essi. Però, per essere partito come fanfiction di un manga, questo romanzo è fatto bene: buon equilibrio tra Giappone e Italia, tra umani e non, insomma, fatto bene. Non dico "bello" perché l'argomento non mi prende, però immagino che sì, se ti riconosci in certi gusti puoi definirlo bello.
Peccato il seguito, che riprende la vicenda in modo caotico e pretestuoso, facendo navigare due demoni giapponesi nella storia d'Italia dell'ultimo secolo. Ad un certo punto, persino la mia eroica resistenza ha ceduto e l'ho mollato lì. Inutile.
Romanzo-verità: Le case degli altri di Jodi Picoult. Non so quanto sia fedele la rappresentazione della mente di un Asperger, sicuramente lo è la ricostruzione della vita di una famiglia in cui uno dei figli sia Asperger. Mi fa riflettere su quello che mi aspetto dai miei figli, che sono "sani", e mi fa recedere da certe pretese. Libri come questi sarebbero da leggere periodicamente, per i genitori. Tanto più che la vicenda è originale e a tratti divertente.


giovedì 2 agosto 2012

Artigiani e artisti

Già qualche mese fa avevo parlato di un libro che non mi ha lasciata convinta neanche un po': La via dell'artista di Julia Cameron.
Non che dicesse cose sbagliate, per carità. Però penso che il successo di questo libro (e il mio conseguente fastidio) nasca da un malinteso linguistico: nel mondo anglosassone, "artist" ha un significato non esattamente sovrapponibile a quello italiano.
Quando studiavo storia dell'arte, la distinzione era questa: artista è colui che nelle sue opere porta qualcosa di innovativo, altrimenti si è artigiani. Poi, per carità, la distinzione a volte è sottile: sugli artisti minori è davvero difficile pronunciarsi, e probabilmente ha anche poco senso, fino al Romanticismo circa.
Per intenderci su quello che intendo io, per me J.K. Rowling è un'artista, Laurell K. Hamilton non lo è neanche nei romanzi meglio riusciti. Le leggo entrambe, ma, anche nelle opere migliori della Hamilton, la distinzione mi è sempre stata molto chiara.
Io mi ritengo un'artigiana. Di livello potenzialmente professionale per quanto riguarda la narrativa, amatoriale per quanto riguarda la danza.
Tra le persone che conosco, ci sono alcuni artisti: la mia maestra Francesca Pedretti, per esempio, e alcuni dei maestri che ho incontrato a festival e stages.
Tutti gli altri sono artigiani. Di vari livelli, ma sempre artigiani restano. E già il fatto che si punti invece sulla parola "artista" per solleticare l'ego del lettore mi urta terribilmente.
L'altra cosa che mi dà fastidio del libro della Cameron è la presunzione che tutti siamo artisti tali da poter vivere della nostra arte. Ora, un conto è dirsi: ho lavorato per 10 anni, ho messo da parte un po' di soldi che mi permettono di non morire di fame, posso provarci. Dipende anche molto da come si esprime la tua "arte": ho sempre detto che, se Luca vivesse vicino a qualche posto turistico, una bancarella sul lungomare tutte le sere gli permetterebbe di guadagnarsi un altro stipendio nei mesi estivi con i suoi lavori di ceramista. Se nelle stesse sere si mettesse sul lungomare a suonare la darbouka, probabilmente entro qualche sera ne ricaverebbe un paio di costole rotte, nonostante sia più bravo come musicista che come ceramista.
La verità è che Luca non è un professionista né della ceramica né della darbouka perché l'unica bravura che gli rende abbastanza da viverci è quella di fare formaggi. Io potrei impegnarmi e diventare una vera insegnante di danza, ma di certo non riuscirei a mantenermici: l'unico modo per vivere di una mia abilità creativa potrebbe essere fare il content manager come un tempo, ovvero scrivere per attività business.
Purtroppo siamo sempre vissuti in tempi in cui l'arte, a qualsiasi livello, è sempre stata un lusso: in tempi di crisi anche i grandi artisti patiscono la fame, figurati quelli piccoli e "inutili".
Non penso che non ci si debba provare, per carità, ma trovo criminale incoraggiare chiunque sulla via del tentativo: è sacrosanto e giusto che solo pochi possano vivere di arte, perché il lavoro deve essere utile e l'arte raramente lo è. Va benissimo trovare una propria nicchia di creatività, ma alla fine il grano e il riso saranno sempre da piantare e non è che chi guida il trattore sia potenzialmente meno artista degli altri. Se tutti siamo potenzialmente artisti, allora tutti siamo potenzialmente lesi nei nostri diritti quando facciamo lavori non artistici: questa tesi mi sembra inaccettabile, anche se capisco il contesto "American Dream" da cui nasce l'esortazione della Cameron.
Cosa scriverei io, se dovessi "correggere" il libro della Cameron? Direi che non è sbagliato sentire impulsi creativi e assecondarli, anzi, ma che dobbiamo anche farci qualche domanda di marketing: in che cosa sono più bravo? Su che cosa conviene che mi concentri, dal momento che il tempo non è infinito? Quale bisogno soddisfo con la mia eventuale arte? Solo così posso finalizzare davvero la creatività, senza passare per un vanesio tuttologo che si sente artista ma non sa come realizzarsi.
E poi, Julia, hai toppato su una cosa: io una settimana senza leggere la posso anche passare, ma per la mia mente sarebbe come per il mio corpo digiunare per una settimana (l'ho appena fatto, e non è stata un'esperienza piacevole). Se leggere smorza i miei impulsi creativi, beh, vuol dire che quello che sto leggendo è meglio di quello che vorrei produrre. E allora tanto vale.

mercoledì 1 agosto 2012

Letture di luglio

Epic Fantasy reloaded: Il sortilegio del Corvo di James Barclay. Sarà che lavorando in mezzo a donne e avendo amiche solo donne ogni tanto ho bisogno di un po' di maschio cameratismo. Ma con che coraggio vado a depilarmi, ora che l'ho appena finito e mi sento un rude mercenario barbaro?
Sci-Fi Romance: The Host di  Stephenie Meyer. Sì, la stessa di Twilight. L'ho trovato più piacevole e meglio scritto di Twilight, nonostante la fine sappia un po' di cagata pazzesca. Carino, ma migliorabile con un po' di conflitto in più.
Detective in erba: L'occhio del corvo di Shane Peacock. Una ricostruzione interessante della possibile infanzia di Sherlock Holmes. A parte alcune trascurabili inverosimiglianze, carino.
(OK, ho definito "carini" due libri di seguito. Ciò non depone a loro grandissimo favore: carino per me è un libro leggibile ma non irrinunciabile. Non definirei mai "carino" Il circo della notte o la trilogia di Bartimeus, per dire)
Flagello di Dio: La mano sinistra di Dio e Le quattro cose ultime di Paul Hoffman. Fantasy non troppo fantastico, con ottime intuizioni e una trama che ti coinvolge tuo malgrado. Ora mi tocca aspettare il terzo.
Chick-lit intelligente: In verità è meglio mentire di Kerstin Gier. La conoscevo da tutt'altro genere, ovvero il fantasy young adult della trilogia delle pietre preziose. Beh, mi è piaciuta anche in questo caso: si ride, ci si immedesima, il tutto con grande leggerezza ma senza superficialità.
(Il fatto di aver linkato un book trailer mi fa pensare: ehi, c'è nessuno che ha voglia di cimentarcisi per Sholeh Zard?)
Per non dimenticare: Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi. Bello bellissimo, misurato e per nulla retorico, commovente. Lo sta leggendo anche Luca.
Storia di amicizia: Skellig di David Almond. Forse mi aspettavo troppo da questo libretto, ma non mi è sembrato granché. Forse dovrei avere meno anni per apprezzarlo.