sabato 29 giugno 2013

L'estate c'è (ma non si vede)


I sacri testi di geografia astronomica affermano che siamo in estate: è passato il solstizio, ciò è innegabile. Sono passati anche i vari San Giovanni, Litha e compagnia bella. Eppure qui le minime si aggirano intorno ai 10 gradi, con gravi danni per l'orto e i raccolti di frutta.
In questo clima, ci si può immaginare che voglia ho di celebrare: mi pare poco appropriato, c'è un grigio che pare ottobre. E invece in questi giorni mi sono ritrovata a celebrare il solstizio ben due volte, in modi ben diversi anche se entrambi molto sentiti.
Giovedì, ho incastrato tra lavoro, figli e rapporti di buon vicinato una fuga estemporanea con la mia amica Euforilla, a raccogliere iperico per oleolito e tintura. Dopo una deludente passeggiata in un prato (sotto la pioggia), abbiamo trovato una macchia di iperico e ne abbiamo fatto incetta.
Poi, a casa sua, abbiamo mondato il raccolto e preparato lei l'oleolito ed io il bagno colore alcolico (per l'oleolito aspetto il secondo raccolto).
Mentre l'oleolito si sta tingendo pian piano, il bagno colore ha preso quasi da subito il rosso che vedete sopra.
Ieri invece ho organizzato una cena di cortile che in principio doveva essere di riconciliazione tra due coniugi (non noi, per fortuna) e pian piano si è trasformata in una celebrazione di inizio estate.
Per l'occasione, abbiamo sperimentato una ricetta di focaccia (modificata secondo gli ingredienti che avevamo) e abbiamo usato l'impasto per modellare un uomo focaccina portafortuna.
Perché di fortuna, di prosperità e di pace c'è sempre bisogno.


venerdì 28 giugno 2013

Lo stagno delle rane (e delle carpe)


Come dicevo qui, una delle maggiori attrattive della casa del polacco è il laghetto, o stagno che dir si voglia. Quando siamo entrati in possesso delle chiavi (più di due mesi fa, come mi piace ricordare ai nostri pigri idraulici), l'acqua era putrida e il giardino roccioso intorno era invaso di erbacce.
Luca ed io ci siamo divisi i compiti: io mi sono occupata di mettere a posto il giardino roccioso, mentre lui si occupava della parte acquatica.
Del giardino originale, ho tenuto tutte le piante "volute". Si trattava perlopiù di piante rupestri come la borracina o di aromatiche come il timo, con un angolo dedicato a gigli gialli molto semplici ma d'effetto.


Di nostro, abbiamo aggiunto due ornitogalli, uno giallo e l'altro arancione, e diverse piante officinali/aromatiche: calendula, melissa, maggiorana, salvia e una menta gentilmente regalata da una mia collega.
In due aiuole un po' defilate, abbiamo seminato i fiori per insetti e farfalle dell'Eugea, regalatici un anno fa da un'amica e che non avevano ancora trovato un luogo adatto.


In acqua, non c'era molto se non insetti acquatici e una gioiosa comunità anfibia (qualche settimana fa avevamo trovato pure un tritone). Luca si è dedicato per prima cosa a cambiare l'acqua e renderla meno stagnante, grazie a un doppio zampillo e a un canaletto di scarico verso la boscaglia.


Poi si è posto il problema delle larve di zanzara: è andato in un allevamento vicino al Ticino e ha preso una certa quantità di pesci rossi e piccole carpe koi, che per ora non ci sembrano socievoli come ci era stato detto ma sono molto belle da guardare.


Infine, su istigazione mia e di una certa amica blogger, Luca ha pensato anche alle piante acquatiche.
Da un vivaio ha preso ossigenanti e due ranuncoli acquatici piuttosto rachitici. Dal bosco, ha portato a casa alcune piante di fosso e un'enorme radice di ninfea, che si sta ambientando piuttosto bene.


Ora non ci resta altro che sederci ogni tanto sul bordo del laghetto e goderci la sua meraviglia (insieme alle zanzare, ma tant'è).

mercoledì 26 giugno 2013

Tingere col mallo di noce


Nel giardino del polacco, abbiamo un noce. Vecchio, bello, un po' malato. Probabilmente non mangeremo mai le sue noci, perché cadono prima di maturare. E un suo ramo sta rovinando il tetto del garage, bisogna tagliarlo.
Ma questo albero, che la moglie del polacco ci consigliava di tagliare, resterà al suo posto finché non seccherà. Perché comunque i suoi rami ombreggiano il giardino e le sue noci a qualcosa servono: a tingere.
Seguendo un manuale di tintura naturale, per prima cosa ho raccolto i malli più marci e li ho messi a macerare in acqua.


Dopo un paio di giorni, ho scoperto la pentola e li ho trovati ben fermentati. Allora li ho bolliti nella loro acqua di macerazione e li ho lasciati raffreddare.
Dopo aver filtrato il bagno colore, vi ho immerso un filato 100% lana, bagnato e non mordenzato (il mallo di noce è ricco di tannino, che fa da mordenzante naturale).
La lana è rimasta in infusione per tutta una notte.


Il mattino dopo, ho fatto una corsa dal polacco, l'ho tolta dal bagno colore, l'ho sciacquata e messa ad asciugare all'ombra. E infine ho dedicato un'oretta circa a sbrogliare la matassa e farne un gomitolo, mentre raccontavo storie a Ettore.


lunedì 24 giugno 2013

The Sky's the Limit


È stato un weekend strano. Stancante, come tutti gli ultimi weekend, ma più che altro tra il deludente e l'esaltante.
Mettiamo da parte il deludente, che probabilmente mi perseguiterà per tutto il mese di luglio e forse per un pezzetto di agosto, e concentriamoci sull'esaltante.
Per esempio, è stato tenero e bellissimo provare a insegnare a Ettore a fare la maglia.



E poi, grazie al clima ventilato e piacevole ci siamo potuti godere il giardino del polacco a tutte le ore del giorno e un po' anche di sera (stare dentro al gazebo, dopo il tramonto, alla sola luce delle candele e con il vento che si stava alzando è stato bellissimo).


Ci siamo goduti una visita dei nonni di Torino e per l'occasione mia mamma ha portato la sua nuova creazione, la torta menta e cioccolato.


E abbiamo passato tanto tempo a esplorare il nostro nuovo regno. Abbiamo scoperto e liberato luoghi e piante, ci siamo resi conto di quanto è grande lo spazio a nostra disposizione. Se solo avessimo il tempo e la forza.
Ci siamo detti che, in un posto così, l'unico limite siamo noi stessi. E un po' ci ha fatto paura.

mercoledì 19 giugno 2013

Tingere con l'alcea (o althea o althaea o malvone)


Nel giardino del polacco, pian piano abbiamo visto crescere questa pianta alta e decisa, con foglie grandi come una piadina.
Io, di natura pessimista, ho pensato fosse un erbaccione. Luca ha insistito per aspettare e vedere. Come odio dargli sempre ragione (quando si parla di piante)!
Poco più di una settimana fa, il signore che tiene le arnie vicino a noi (detto d'ora in poi "il signore delle api") ci ha detto che si trattava di malvone. Ovvero alcea rosea. Ovvero la stessa pianta che abbiamo seminato nell'orto tintorio un paio di settimane fa.
Abbiamo aspettato con ansia di capire se si trattasse di alcea rosea vera e propria o se, per una botta di fortuna, non avessimo anche la varietà nigra.
Al ritorno da Roma, l'abbiamo finalmente vista fiorita: è rosea.
Il giorno dopo, son partita in tromba: sono andata dal polacco con tanto di pentole scrause e ho raccolto i fiori.


Poi, nella mia cucina all'aperto nuova di zecca, ho preparato il bagno colore.


E ho lasciato in infusione tutta la notte. Il mattino dopo, prima che i figli si svegliassero, sono andata a mettere a bagno la lana, mordenzando con l'aceto bianco per ravvivare il punto di rosso.
Le premesse mi facevano ben sperare in un rosa delicato.


Forse un po' troppo delicato, se questo è il risultato.


Insomma, un fail talmente evidente che non ho neanche lasciato asciugare la lana: l'ho ritinta subito, approfittando del fatto di aver appena comprato una busta di campeggio.
Però devo dire che l'esperimento non è andato del tutto male. Avevo preparato un bagno colore con le foglie di malvone (con tanta convinzione da non averlo neanche fotografato) e ci ho buttato una matassa che nel passato si era colorata di un beigiolino senza senso.
E quella è venuta proprio bene, di un giallo luminoso e deciso.


Anche questo è il bello degli esperimenti.

domenica 16 giugno 2013

Eterno godimento

Nell'ultimo anno sono stata spesso a Roma: a settembre, a febbraio ed ora.
Per mero piacere, sia pure con la scusa di buone cause di varia natura. L'ultima buona causa è stato il compleanno di Meryem, figlia di un'amica di blog che è diventata amica "reale". Ad avvalorare la buona causa, il fatto (non gravissimo, mi rendo conto, vista la loro età) che i miei figli non fossero ancora stati nella città eterna.
Eh beh, se volevano respirare cultura e bellezza, sono stati accontentati.








Hanno potuto vedere anche aspetti di Roma che non si aspettavano (e neanche noi, a dire il vero):



E diciamolo, non fosse stato per il sole cocente, chissà se tra gli harleyisti avremmo potuto intravedere anche il Patrono!


Al ritorno, infine, la nostra alcea ci ha fatto scoprire di che colore sono i suoi fiori: è rosea! Domani mi aspetta un bagno colore coi fiocchi...


giovedì 13 giugno 2013

Oasi


Il sottotitolo di questo post potrebbe essere "Come trasformare la porta di un pollaio in una cucina e vivere felici".
La porta di cui parlo era di legno massello, abbandonata in favore di una porta di rete metallica. E la cucina che ne ho ricavato è quella del gazebo, che avevamo completamente smantellato e ricomposto con materiali più "nobili" (i ripiani precedenti erano di laminato orrendo).


OK, non è la cucina che mi metterei in casa, è un filo troppo spartana persino per noi. Ma è perfetta per scaldare qualcosa di semplice, fare tisane ed esperimenti di tintura.
Per realizzarla, ho imparato a usare il seghetto alternativo e mi si è aperto un mondo: il bricolage non sarà mai la mia passione principale, ma fare ogni tanto qualche lavoretto di questo genere è molto empowering.
Non tanto e non solo perché sono considerati lavori "da uomini". Soprattutto perché è gratificante scoprire che sei capace di fare anche questo: tagliare ripiani, applicare una maniglia laddove serve e fermarti a comporre un vaso di fiori per completare l'atmosfera.


Vuoi mettere la soddisfazione di goderti un mattino di tranquillità nel tuo gazebo, con una tisana appena preparata con la tua melissa e la tua salvia, a sferruzzare o leggere ascoltando gli uccellini e i corvi?


Oltretutto, dalla porta del pollaio è avanzato pure un pezzo che è stato agilmente trasformato in tagliere.


Ed ora? Beh, ora non c'è che da collaudarlo: ci abbiamo già mangiato in coppia e con la famiglia, ci ho già lavorato a maglia e mi sono messa lì dentro a rileggere il terzo libro della serie di Sholeh Zard.
Come, il terzo libro?! E il secondo? Il secondo, Zohar, è finito e disponibile qui.


martedì 11 giugno 2013

Da rosa nasce cosa


Lo so, sarebbe maggio il mese delle rose. Ma questa primavera non è come dovrebbe essere, quindi le prime rose decenti ho cominciato a vederle una settimana fa. Erano le rose di mio nonno, che le ama e le coltiva da sempre.
Venerdì scorso ho fatto un piccolo blitz da lui e ho raccolto circa 3 etti di petali dalle rose ormai sfiorite. Ho scelto i fiori più rossi, anche se purtroppo la rosa rosso scuro quest'anno è fiorita poco, è un po' malaticcia.
A casa, li ho messi in una pentola con il minimo di acqua possibile e ho portato a ebollizione il bagno colore. Poi ho lasciato riposare tutta la notte.


Il giorno dopo, ho filtrato il bagno colore, che si presentava di un rosso piuttosto acceso. Vi ho sciolto un po' di allume, vi ho immerso la lana ben bagnata (dettaglio imparato al corso) e ho portato a ebollizione pian piano.
Poi ho lasciato riposare tutto il giorno e tutta la notte. Poi ho sciacquato e steso ad asciugare (non al sole, ma del resto domenica non ce n'era).
Il risultato? Non mi aspettavo il rosso, no, sapevo che il colore avrebbe virato al verde. Quel che non mi aspettavo era un colore così bello, purtroppo non valorizzato dalle foto (sembra più giallo).
Si tratta in realtà di un verde chiaro intenso e deciso, con una nota acida che si sposa benissimo con tutta la gamma dal viola al lilla al grigio.
Non vedo l'ora di usarlo in uno dei miei prossimi maglioni.


PS: a onor del vero, devo confessare che questo non è stato il mio unico esperimento del weekend.
La celidonia (principalmente radici), che mi faceva ben sperare per il colore del suo lattice, ha dato un giallino su lino e cotone e un marroncino chiaro ignorante sulla lana.
La betulla (rametti, quindi corteccia) non ha colorato niente.
L'equiseto, per raccogliere il quale mi sono bagnata fino alla vita, ha prodotto un giallino insulso.
Probabilmente entro la settimana proverò le more di gelso, anche se mi scoccia un po' raccoglierle a scopi non (solo) alimentari. Vedremo.

lunedì 10 giugno 2013

Il cerchio magico


Questa è più o meno la vista che si offre a chi arriva davanti alla porta di casa mia. E già questa basta a conquistarmi: c'è quasi tutto, lì.
C'è la bordura rocciosa del laghetto, con le piante del polacco e le aromatiche messe da noi. C'è la ricostruzione di Stonehenge, un po' kitsch ma irrinunciabile. E c'è il cerchio di pietre, con la sua betulla a proteggerlo e ombreggiarlo.
Il cerchio è la cosa più strana e meno funzionale del mio nuovo giardino. Ed è l'elemento che meno verrà toccato: mi limiterò a tenerlo in ordine e a sedermici dentro ogni tanto, quando sono stanca di lavorare e ho voglia di guardarmi intorno.
Oddio, non che sia poco lavoro. Con tutte le piogge che ci sono state a maggio, fino a una decina di giorni fa il cerchio di pietre somigliava più a un prato che a un acciottolato.


Poi un pomeriggio mi ha presa lo sconforto e, nonostante il dolore a una spalla, sono andata a strappare erba al ritorno dall'ufficio. È stato terapeutico sia per la spalla sia per il mio animo, mettermi a sradicare tarassaco e trifoglio sotto gli occhi curiosi dei conigli.


L'unica erba a cui ho deciso di permettere l'accesso al mio cerchio è la cotonaria (grazie Vesnuccia per avermi detto il nome).
Ho scoperto che si è autoseminata, il che mi sembra ancora più bello e significativo.


Per ora, se ne sta ancora un po' in disparte: le foglie hanno riempito un po' tutto il cerchio, ma è fiorita solo in un punto.
La betulla, in tutto questo, ombreggia, protegge, osserva. Ogni tanto le cade qualche ramo, e così mi è venuta la fantasia di provare a tingere con questi rametti (pare che la corteccia dia il rosa). Soprattutto, nonostante le tantissime zanzare di quest'anno, mi invita a passare qualche minuto lì nel cerchio, a strappare erba e socializzare con i conigli.
Forse è a questo che serve un cerchio di pietre.


giovedì 6 giugno 2013

Dentro e fuori



Io sono figlia di gente di città. Anche se nata e vissuta in campagna fino ai 23 anni, questa impronta mi ha accompagnato per tutta la mia vita.
L'aria aperta è una stravaganza di lusso, una di quelle cose che si vedono nei film e nelle riviste ma poi nella vita vera non si fanno. Il giardino? Luogo pieno di insetti, da "tenere" perché i vicini non sparlino ma senza una funzione utile o piacevole.
Nella mia casa da single, cara grazia che ci fosse il bidet, figurarsi il giardino: mi affacciavo su un cortile di ringhiera, puro cemento senza fronzoli. Neanche due anni dopo, l'amore mi ha rapita e portata (contro la mia volontà, sia ben chiaro) nel luogo più inculato della Lombardia, riserva di caccia di zanzare e tafani.
All'inizio l'ho rifiutato, ho cercato vie di fuga. Poi la mia natura selvatica ha avuto la meglio su di me.
Prima mi sono innamorata del bosco: i suoi sentieri, le vie d'acqua, i mughetti selvatici, il "mio" boschetto di carpini e la grande quercia caduta.


Poi, l'anno scorso per la prima volta in tanti anni, il cortile è diventato un luogo di relax e chiacchiere, dove i miei bambini potevano giocare con gli altri e noi donne facevamo roccolo. Lo sarebbe ancora, se non fosse a) che quest'anno il tempo non aiuta b) che quest'anno la vecchia imperversa, e la mia vicina egiziana non riesce a scrollarsela di dosso.
Ma la vita di cortile, sia pure piacevole, sbiadisce di fronte alle promesse della casa del polacco. Ora, per carità, non c'è da immaginarsi chissà che: è una casa semi-isolata (abbiamo un vicino con cui ci diamo le spalle) con un pezzo di terra intorno, com'è logico essendo sperduta in culo ai lupi.


Epperò sarà il cerchio di pietre, sarà la betulla che lo ombreggia, sarà il laghetto con la sua bordura rocciosa. O sarà il gazebo là dietro, un po' nascosto, un po' simile alle casette sugli alberi che sognavo da piccola. Sarà l'eco del ricordo di una persona che stimo molto e a cui vorrei somigliare: intraprendente, un po' folle, piena di energie e di voglia di fare. Sarà la luce di quei primi giorni in cui abbiamo ricevuto le chiavi di casa, il periodo di sole e caldo più lungo di questa primavera (7-8 giorni).
Il fatto è che io di quella casa ho deciso di godermi tutto, il dentro e il fuori, il giardino e l'orto, la cantina e se potessi financo il tetto.
Lo so che non è mia, è solo in comodato d'uso. Del resto ero in affitto anche nella casa di Levanto, quella che ora è in vendita, ma questo non mi impedisce di amarla.
Questa casa, che nominerò sempre e comunque come "la casa del polacco", sarà probabilmente mia finché Luca lavorerà qui (e io mi spingo a sperare che ci possiamo restare anche dopo, sarei persino disposta ad accantonare i miei sogni di vecchiaia genovese).
Smanio di andarci a vivere davvero, non vedo l'ora che inizino (e finiscano) i lavori per il riscaldamento.
Ecco perché, mentre attendo il momento del trasloco, mi dedico a ciò che c'è fuori. E sogno, misuro, m'informo, ri-misuro, fotografo e aspetto. E scrivo.