Io sono atea. Non credo nel karma o nella superstizione: credo solo che fare la cosa giusta mi aiuti a stare bene con me stessa. Forse, egoisticamente, credo anche che essere generosa e compiere azioni nobili mi faccia da giustificazione per tutte le cose che evito di fare per pigrizia o per tutte le volte in cui ho agito male.
Fatto sta che è più forte di me: se so che posso aiutare qualcuno, anche sbattendomi e magari non ottenendo nulla, lo faccio.
Oggi, per esempio, una persona per cui provo simpatia ma che non posso considerare un'amica mi espone una sua preoccupazione: un ragazzo straniero che lavora per lei è molto in pena per la sorella, che ha una grave e rara malattia neurologica, a decorso degenerativo, poco conosciuta.
Caso vuole che io questa malattia la conosca, perché 15 anni fa sono andata in Grecia con una ragazza (amica di amiche) in cui si era manifestata da 2 anni.
So bene che questa malattia viene curata in una clinica di Pavia, con cui ho contatti per via del mio lavoro.
In breve, ho promesso di informarmi e di aiutare questo ragazzo a portare la sorella da noi, nella speranza che possa essere curata (ovvero che la degenerazione possa essere fermata a uno stadio accettabile, perché non si guarisce da questa malattia).
Dentro di me, una vocina mi chiede perché lo faccio. Sì, certo, perché mi piace sentirmi nobile e utile. Ma c'è anche dell'altro.
Facciamo un esempio, che forse fa capire meglio. Di solito, dalla pediatra le persone che devono solo fare una ricetta o un certificato passano davanti a tutte le altre. Per un motivo ovvio: non c'è motivo per cui debbano aspettare, dal momento che non necessitano di una visita, a differenza delle altre. Io non ho mai fatto storie per far passare queste persone, né per dare la precedenza a chi aveva bisogni particolari.
Una settimana fa, è toccato a me andare dalla pediatra per un certificato. La mamma che doveva entrare ha protestato per il fatto che volevo "passare avanti", mi ha detto che stava aspettando da un'ora il suo turno, che ne aveva fatta passare già un'altra solo col certificato, eccetera. Mi ha chiesto, ironicamente, che cosa doveva fare secondo me. Io le ho risposto serenamente che io ho sempre ceduto il passo a chi doveva solo fare una ricetta o un certificato, quindi mi aspetto che gli altri si comportino nella stessa maniera con me.
Ecco dove voglio arrivare: se ho sempre dato volentieri, non mi vergogno di chiedere.
domenica 17 ottobre 2010
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Il problema è che non tutti condividono questa filosofia di vita, purtroppo.
RispondiEliminaTi abbraccio.
Ineccepibile. Bellissimo.
RispondiEliminaLa mia è: non temere di dire ciò che sai e di chiedere ciò che non sai.
RispondiEliminaGuarda che combinazione, abbiamo scritto due post di argomento molto simile.
RispondiEliminaIl punto sta qui: spesso ci si imbarazza a chiedere, si è generosi in modo unidirezionale.
Credo che la tua posizione non faccia una grinza e immagino che la mamma in attesa non abbia saputo cosa risponderti, vero?
@MdiMS: esatto. Ha abbassato lo sguardo e non è riuscita a guardarmi in faccia per il resto del tempo, nemmeno quando l'ho ringraziata uscendo. Ti dirò: in quel momento, più che magnanimità, ho provato maligna soddisfazione. Insomma, non sono diventata San Francesco tutta d'un tratto, neh? ;-)
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