Mi trovo spesso a parlare di conciliazione lavoro/maternità. Sui blog e nella vita reale, sono tante le madri (sì, al 99% sono le madri) a chiedersi qual è la giusta combinazione.
Io penso (spero) di aver trovato quella giusta per me: voglio fare un part time, appena la situazione economica me lo permetterà, e stare di più con la mia famiglia. Oppure, se ad Amelia non concederanno le 24 ore alle elementari, voglio essere meno stanca e poterci essere con più energia nelle ore che ci verranno concesse.
In ogni caso, il mio lavoro può passare in secondo piano. Me lo posso permettere. Prima di tutto, perché non è il lavoro della mia vita, anche se non è per niente spiacevole. Secondariamente, perché sono una statale a tempo indeterminato e nessuno mi porterà via la sedia da sotto il sedere.
Nel primo caso, non mi sento una privilegiata: spesso mi capita di invidiare chi lavora con passione, anche se so che non è sempre rose e fiori (le mie belle nottate dietro alle scadenze le ho fatte anch'io). Nel secondo caso, invece, so di avere privilegi bastanti a tacitare qualsiasi recriminazione: ho un'assicurazione sulla vita.
A meno che qualche ministro non se ne salti fuori con qualche mirabolante proposta, il mio part time è pacifico: sono negoziabili le ore, nel senso che potrei decidere, sotto richiesta di aumentarle dal 60% che vorrei a un 70-75%.
Certo, io non ho un mutuo. Certo, io non ho (più) debiti. Certo, anche mio marito è dipendente a tempo indeterminato.
Ma anche: certo, ho pagato 30 mensilità di nido privato (per un totale di 15.000 euro) e ne pagherò almeno altre 7 o 9 (per un totale di 3500 o 4500 euro, a seconda di come passerà Ettore nella graduatoria della materna), dal momento che di nonne disponibili non ne ho e non per cattiva volontà. Certo, prima del nido ho pagato 2200 euro a una tata, sempre per il discorso di cui sopra. Certo, prendere 600 euro al mese esent-nido sarà un miglioramento rispetto a prenderne 1000 e versarne 500 al nido (+ i servizi di trasporto per Amelia, che lascio insieme a Ettore e poi viene portata alla materna). E quindi: certo, non siamo riusciti a mettere da parte nient'altro che i soldi del porcellino, che rompiamo in estate per pagarci il mare. E non riusciremo in futuro a mettere da parte molto di più, se io farò il part time.
Detto questo, io posso permettermi di non mettere da parte proprio perché sono una dipendente statale a tempo indeterminato, e questo vuol dire che il mio datore di lavoro non chiuderà in un momento di crisi, non mi scaricherà perché usufruisco dei miei diritti, non mi mobbizzerà perché ho chiesto un part time.
Ho un grande privilegio, ripeto, ne sono consapevole.
Mi fa rabbia il fatto che sia un privilegio e non la norma. Mi fa rabbia che questo part time non si possa dividere con mio marito, per fare magari io 30 e lui 34 ore, invece che 25 e 39. Mi fa rabbia che nel contratto di mio marito, come in quello di molti dipendenti privati uomini, il congedo parentale sia inesistente o penalizzante rispetto alle donne (nella maggior parte dei contratti privati mi risulta che l'uomo che decide di prendere il congedo parentale facoltativo non riceva nessuna retribuzione - però correggetemi se sbaglio). Mi fa rabbia che tanti datori di lavoro preferiscano concedere giorni di permesso "ingiustificato" anziché mettere nero su bianco che il tal dipendente - uomo- ha preso un congedo per malattia del figlio. Perché? Perché non vogliono creare un precedente.
Da ex co.pro., inoltre, mi fa rabbia che esista una legge che obbligherebbe le madri a tornare al lavoro quando i bambini hanno 3-4 mesi, e nessun nido te li prende (volutamente non parlo dello strazio di lasciare il tuo neonato a un nido, quando l'unica cosa che vorresti sarebbe coccolarlo tutto il giorno). Mi fa rabbia aver dovuto rinunciare a 5 mesi del mio stipendio, e per il sesto mese aver dovuto dire grazie alla carità del governo (sì, sono una di quelle che hanno avuto i 1000 euro per i nati nel 2005). Mi fa rabbia aver dovuto chiedere a mia madre di fumarsi un sacco di ferie per tenere Amelia ammalata, quando ero co.pro. Infine, mi fa rabbia rendermi conto che, se fossi tornata al lavoro di co.pro. dopo la nascita di Ettore, mi sarebbe convenuto stare a casa per 2-3 anni a studiare per un qualsiasi concorso nel pubblico piuttosto che sprecare soldi e tempo e fatica per mantenere un lavoro che non aveva valore.
Non parlo di ciò che si dovrebbe fare, ne parlano già in troppi. Parlo di quello che ho fatto io. Che lotto contro i conti da 5 anni e non ho in mano niente. E mi ritrovo spesso a invidiare chi lotta ugualmente con i conti, ma ha passato magari gli ultimi 5 anni con i propri figli.
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Bellissimo, da applausi.
RispondiEliminaProprio oggi discutevo con un'amica spagnola residente in Italia, che a breve partorisce ed è rimasta sconvolta del fatto che qui i papà non hanno nessun tipo di congedo serio per la nascita del figlio.
Io sono una di quelle che ha goduto del privilegio di essere mamma full-time per due anni, barattando la maternità con il lavoro.
E quello che mi fa arrabbiare è che la maggior parte di noi deve per forza scegliere forzatamente tra l'una o l'altra soluzione, perchè in Italia non c'è modo di essere madre e lavorare dignitosamente, a quanto pare.
Io alla fine sono felice della mia vita, ma non so se l'avrei scelta proprio proprio uguale.
Certi giorni l'insicurezza lavorativa, il mutuo, le bollette... mi pesano davvero.
Se il mio contratto precario all'Università si fosse tramutato in posto fisso, forse sarei stata una madre migliore e una lavoratrice migliore. Chi lo sa? ;)
"Ho un grande privilegio, ripeto, ne sono consapevole.
RispondiEliminaMi fa rabbia il fatto che sia un privilegio e non la norma": per una volta dissento, in senso buono. Cioè, da dipendente pubblica a part-time e a tempo indeterminato quanto te, dico. non siamo noi i privilegiati. Noi siamo ormai gli ultimi titolari del diritto a lavorare umanamente e dignitosamente: non siamo noi che abbiamo di più, sono tutti gli altri che hanno di meno. Il gioco di farci passare per "privilegiati" è funzionale a quelli che stanno montando una colossale campagna denigratoria nei confronti di noi "fannulloni", per smontare anche quell'ultimo baluardo rimasto ed estendere il ricatto e la paura anchenel pubblico impiego. Per questo, il tuo senso di sicurezza non riesco a condividerlo appieno: non sono tranquilla, non so fino a quanto durerà, ma so che qualcuno farà di tutto per farlo durare.
Intanto, proprio in virtù della mia privilegaiat posizione, mi permetto di oppormi a una palese ingiustizia che si cerca di nuovo di farmi sul lavoro. Potrebbe essere davvero l'unica volta che posso permettermi tanto.
Giuliana
Errata corrige: "ma so che qualcuno farà di tutto per NON farlo durare".
RispondiEliminaGiuliana
@giuliana: anch'io la penso come te. Ma, al giorno d'oggi, essere gli ultimi che possono esercitare dei diritti diventa un privilegio. E credo che in realtà tutte le sparate dei vari ministri contro i fannulloni siano soltanto sparate senza senso, soprattutto per noi che un servizio lo facciamo davvero. T'immagini se dovessero andare a vedere chi e quanto lavora in un qualsiasi ministero? O se dovessero mettere un timbratore a Montecitorio?
RispondiEliminaCapisco molto bene il senso di quello che scrivi.
RispondiEliminaLa mia posizione è ben diversa, non ho molti diritti da esercitare, né alternative tra cui scegliere, la posizione di mio marito è quella che descrivi tu, e ho ampiamente discusso di quanti "problemi lavorativi" mi abbia creato la maternità. Eppure, proprio stamattina, ero seduta sul lettone con mia figlia tra le gambe, e mentre la sentivo ridere ad ogni piegamento di addominali che facevo come fosse un gioco, mi è capitato di pensare: sarò pure senza un soldo e senza lavoro, ma mia figlia me la sto godendo immensamente.
Questo per dirti che a volte la gioia è dirompente anche tra chi non può scegliere.
Sono fiduciosa (magari sbaglio, ma tant'è) e voglio credere che in futuro potrò in qualche modo ricominciare: non fanno che ripetermi che tra un pò le energie ritorneranno come e più di prima, e allora tornerà anche la forza di progettare. Speriamo che si coniughi anche con le possibilità da cogliere.
Sinceramente, dalle mie informazioni (ho lavorato anche nelle paghe...), il concedo parentale è retribuito e può essere preso dal padre O dalla madre. Un nostro amico lavoratore dipendente ha chiesto il congedo perché la moglie è lavoratrice autonoma.
RispondiEliminaUn altro amico che si è trasferito in Perù per 6 mesi ha chiesto il congedo parentale insieme alla moglie (hanno due figli piccoli).
Quindi è possibile, poco richiesto, ma possibile.
Si tratta di scegliere.
Dobbiamo renderci conto che è IMPOSSIBILE non solo in Italia ma in tutti gli Stati riuscire ad essere un'ottima lavoratrice con alto reddito e un'ottima mamma...Si può limare un po' qui un po' là ma tutto bene non si può.
Sarebbe bello riuscire ad avere una via di mezzo. Ma quando sono le donne le prime a non avere solidarietà per le altre donne...
@alchemilla: grazie dell'aggiornamento. Non sono ben informata sul congedo parentale del padre perché il contratto di mio marito (lavoratore agricolo) è un po' particolare: per esempio, la normativa sul congedo parentale al padre e sui diritti di paternità in generale non è stata recepita (la proposta per il rinnovo di quest'anno sarebbe di concedere 10 giorni, fruibili anche a mezze giornate). Come ci si possa permettere di non recepire una cosa del genere per me è un mistero (e se un contratto decidesse di non recepire la malattia?), ma secondo me è abbastanza indicativo di come è vista la questione dai datori di lavoro e dai lavoratori maschi stessi (c'è anche da dire che spesso i lavoratori agricoli hanno mogli che stanno a casa e/o aiuticchiano in nero quando c'è bisogno, quindi la situazione è effettivamente particolare).
RispondiEliminaIo lavoro nel "vituperato" mondo della scuola. E quanto dice Alchemilla sulla solidarietà femminile è molto visibile proprio in quel settore, prevalentemente al femminile. La mia dirigente scolastica si irrita parecchio (eufemisticamente parlando) con le insegnanti che chiedono congedo per gravidanza, per malattia dei bambini, per accudire qualche anziano genitore, dimostrando insensibilità ai problemi delle donne. Io trovo che sia, soprattutto da parte di una donna, un'assurdità tremenda!
RispondiEliminaElena
Sei convinta che studiare due - tre anni per un concorso pubblico sia meglio che lavorare da co.pro? La cosa mi colpisce molto, perché lo sono stata anni...
RispondiEliminaBaci Igra sloggata
Sono convinta che per me, che lavoravo in un'azienda morta 4 mesi dopo che ho partorito Ettore e che era chiaramente allo sbando da 2-3 anni, lo sarebbe stato. Perché spendere 750 euro al mese per i figli + 200 euro per benzina e pranzo, quando ne guadagnavo 1000? Se invece uno è co.pro. in un'azienda dove sta bene, dove al di là dei diritti c'è un buon rapporto umano e quindi alla fine concilia bene, dove c'è una prospettiva di lavoro, è tutto un altro discorso.
RispondiEliminaCapisco, mi chiedevo soprattutto se si trovano concorsi pubblici e se si ha qualche chance di passarli....
RispondiEliminaBaci Igra sloggata
Guarda, 'sta cosa che i concorsi pubblici non si possono passare mi sembra un po' una leggenda metropolitana.
RispondiEliminaIo ne ho fatti 3 e sono passata in uno (con somma botta di culo perché due persone hanno rinunciato).
Negli ultimi 3/4 anni, nell'università di Pavia ce ne sono stati almeno 4-5 per personale tecnico-amministrativo. Qualcuno era veramente difficile e selettivo (in modo serio, non pilotato), altri (come il mio) erano più facili.
Certo, nel 2005 ne ho fatto uno che era chiaramente pilotato, fatto probabilmente per una persona che svolgeva già un certo lavoro come collaboratore e che volevano assumere.
Ma conosco tante persone che sono entrate senza raccomandazione, come conosco tante persone che sono cococo da una vita e non gli si apre un concorsoapposta.
Io ovviamente ti parlo della mia università, non so come sia la situazione altrove.