lunedì 29 novembre 2010

Il lieto fine

In questi giorni leggo, guardo e scrivo molto, come avrete capito e come sanno anche i sassi. Danzo, anche, ma nella danza il ruolo della narrazione è minimo e frammentario.
In particolare, oltre a pensare ai fatti miei, in questo weekend ho rivisto due prodotti a fumetti: i due volumi Magic Press di Hellboy e la saga di Morgana di Luca Enoch e Mario Alberti.
Comincio col dire che, pur essendo due produzioni che più diverse non si può, entrambe sono di qualità altissima.

Hellboy può ingannare più facilmente: grazie al fatto di essere un prodotto popolare, con un tono più "basso" e con qualche sketch umoristico, può sembrare di qualità inferiore. E in effetti come tale l'avevo avvicinato: avendo visto i due film, me lo immaginavo meno profondo.
E invece, già parlandone col mio disegnatore, ho capito che mi sbagliavo. Già la qualità del disegno basterebbe. E poi ha ragione lui: ogni storia, nelle mani di Mignola, diventa una poesia. Anche se volano pugni, parolacce, pezzi di mostri vari e chincaglieria esoterica. L'iconografia classica dei mostri e delle creature infernali viene piegata ad altri fini, reinventata per suscitare sentimenti diversi dallo spavento o dalla repulsione.
Penso alla figura stessa del protagonista: un vero diavolo dell'inferno, rosso, con le corna e la coda. Certo, se incontrassi un tipo così per la strada mi spaventerei, ma nella narrazione HB ci appare come un personaggio positivo, simpatico e rassicurante.
Penso anche a una storia breve su HB bambino, "Pancakes", in cui HB a 3 anni assaggia per la prima volta i pancakes e dice che gli piacciono. Nella città infernale da cui HB proviene, questo evento viene visto come gravissimo, perché il piccolo sta diventando sempre più umano: i vari demoni si disperano e uno di loro sentenzia "Questa invero è la nostra ora più scura".
Raccontata così, sembra una stronzata. E invece quelle 2 paginette giocano benissimo con una serie di stereotipi (il bambino di 3 anni, il militare che gli fa da baby sitter, il mondo infernale) e ne esce un senso di tenerezza e buonumore non banali.
Ecco, Hellboy ha questa caratteristica: ogni sua storia, anche drammatica e densa, ti lascia il sorriso sulle labbra. Nelle mani di Mignola, il lieto fine non è banale.

Morgana, invece, è tutta di un'altra pasta, seppur pregiatissima anche lei. A parte il disegno di Alberti, di una bellezza da non poterlo descrivere (potrei dire che si ispira al liberty e forse anche un po' a Manara, ma non renderebbe l'idea: si può solo guardare le sue opere). A parte il formato francese, che nasce per scopi editoriali completamente diversi dai comics americani.
Morgana, per definizione stessa dei suoi creatori, nasce come una space opera ispirata un po' a Star Wars, un po' a Dune e un po' alla tradizione tragica dai greci al melodramma.
C'è un personaggio che all'inizio cerca di alleggerire un po' il tono, ma dal terzo tomo in poi scivoliamo nel dramma puro, quello dei sentimenti assoluti e devastanti, in cui anche una battuta legittima suona troppo cinica.
Detto così, non è che l'opera ci guadagni granché. Invece una storia tutto sommato banale (due innamorati separati da bambini si ritrovano su fronti apparentemente opposti, fino all'agnizione) diventa veramente bella grazie alla caratterizzazione dei personaggi.
Lei, la protagonista, è bella e pura, e su questo non ci piove (vuoi che Enoch si faccia scappare l'occasione di disegnare un bel paio di tette? Non sia mai!). Però il suo innamorato perduto tanto era caruccio da bambino quanto invece ha tutta l'aria (e i metodi) del cattivo da grande: tratti duri ed espressione cattiva, occhi rossi, sguardo un po' da pazzo un po' da assassino, armi e vestiti non proprio rassicuranti. Già questo ci svia, oltre al fatto che i due non portano i nomi dei due bambini visti nel prologo, perché entrambi, per motivi diversi, li hanno cambiati.
Oltretutto, nel prosieguo della storia, non è che lui, ritrovato il suo amore perduto, cambi più di tanto metodi o atteggiamento: è sempre intenzionato a ottenere la propria vendetta, nonostante il motivo principale (ovvero la morte di lei) sia venuto a cadere.
Non vi racconterò il finale (che poi non è un vero finale: la serie è stata interrotta al quarto volume per problemi economici dell'editore francese), ma da tutte queste premesse si può capire che non è un bel lieto fine, tanto più che si viene da un climax emotivo devastante.
Probabilmente è l'unico finale possibile, e anche il più efficace, perché ti annoda le budella per giorni e continui a pensarci e tornarci su. Un finale che colpisce il kiai.

Ecco, questo per dire che ho avuto due modelli completamente diversi su cui meditare, entrambi validi ed efficaci. E ho deciso che, almeno per questo progetto in via di concepimento e per Viola, il finale non lieto non fa per me. Non mi importa che il lieto fine sia facile, commerciale, autoconsolatorio e tutte le balle che mi possono raccontare i Grandiscrittori. Io mi voglio portare a casa tutti i miei personaggi, possibilmente interi e funzionanti. Voglio momenti anche drammatici, anche seri, anche profondi. Ma voglio anche una soluzione finale positiva. Voglio che il mio lettore continui a rileggere le mie storie per emozionarsi ancora e sentirsi sollevato della conclusione, non per tormentarsi e risvegliare le proprie paure.
Con tutto il fatto che a "quella" scena di Morgana forse ci sto pensando così tanto proprio perché so come va a finire qualche tavola più in là.

mercoledì 24 novembre 2010

Il difetto di fondo

Lungi, ben lungi dall'essere perfetta, ho una miriade di difetti e un difetto di fondo. Il difetto di fondo è quello che mi caratterizza e che non potrò (né vorrò) mai correggere: è parte di me, prendere o lasciare.
Per lungo tempo ho creduto che il mio difetto di fondo fosse la pigrizia. Invece c'è, ma la vinco più facilmente di quanto si pensi. Ultimamente, in realtà, mi annoio ad essere pigra.
Per tutta la mia infanzia e adolescenza ho pensato che fosse l'egoismo. Boh, sì, può essere che quello che io considero un sano istinto di conservazione in altri suoni come egoismo. Però parliamone: per preservarmi non mi sembra di aver mai fatto mancare niente a nessuno di quelli che contano.
Vivere con Luca mi ha portata a pensare che il mio difetto di fondo fosse il mio carattere esplosivo: in confronto a lui e a tutta la cultura torinese che si porta dietro, io sono una fabbrica di fuochi d'artificio, soprattutto quando mi passa accanto qualcuno con un cerino acceso.
In realtà, temo che il mio difetto di fondo non abbia un nome ben preciso. Alcuni lo chiamano passione, ma è un termine un po' troppo tiepido. Altri lo chiamano ossessione, ma è un termine un po' troppo medico. I romantici lo chiamerebbero "il sacro fuoco", ma poi vedrebbero come lo tengo a bada tra il lavoro, la famiglia e la casa e mi direbbero che non può essere sacro qualcosa che releghi nei ritagli di tempo. Ma si sa, i romantici avevano questo afflato adolescenziale verso l'assoluto, salvo poi doversi arrabattare a rimediare qualcosa per cena pure loro.
Questo per dire che ci sono molti temi che mi appassionano in questo periodo: mi piace il tema di genitoricrescono, mi piacciono i post sulla comunicazione di momatwork, mi piace il dibattito tra persone con figli e child-free, vorrei commentare un sacco di eventi del mondo là fuori.
Ma non ce la faccio, la mia testa è avvitata altrove. Non tanto a quel risultato che aspetto (e che, dopo un'iniziale illusione di poterne sapere qualcosa intorno al 17 novembre, riceverò serenamente il 1° dicembre, compleanno di Amelia), quanto a quel nuovo progetto nato da uno scambio scherzoso di SMS e ora liberamente galoppante nella testa mia e di un'altra persona.
Soprattutto, vorrei potervene parlare e registrare i vostri commenti. Invece io e l'altra persona coinvolta abbiamo deciso di comune accordo di non parlarne pubblicamente finché non ci sarà qualcosa di più definito.
Nel frattempo, scrivo febbrilmente in qualunque momento libero e arrivo al punto di sognare delle storie.
In realtà, stanotte ho fatto un sogno che banalmente potrebbe essere interpretato come il desiderio di avere due uomini, totalmente agli opposti tra loro e consapevoli l'uno dell'altro. E invece io lo interpreto come il mio desiderio di conciliare le mie due anime: la famiglia e...? E cosa? Anni fa avrei detto il lavoro. Oggi direi me stessa. Voglio stare con loro e con me stessa.

martedì 23 novembre 2010

Che ne dite?

http://lanternaincucina.blogspot.com/

Come dicevo nei commenti al post precedente: non aspettatevi belle foto né ricette elaborate. Questo è il ricettario che vorrei tenere in cucina, ma sono troppo pigra per scriverlo a mano.

lunedì 22 novembre 2010

Anche la pioggia serve

No, non voglio fare quell'odioso discorso che fanno sempre i contadini quando ci si lamenta del brutto tempo: a me la siccità piace, con buona pace di chi coltiva la terra e riesce a lamentarsi della siccità anche in una pianura dove ogni 5 metri c'è una risorgiva.
Però, se penso al weekend appena trascorso, mi vien da credere che anche la pioggia abbia il suo fascino. Per esempio, se hai appena lasciato entrambi i tuoi figli dai nonni e sei insieme a tuo marito, la pioggia fa venir voglia di stare al caldo e al chiuso persino a un animale selvatico come tuo marito. Oppure, se tuo marito ha un corso di bonsai per tutto il giorno e tu sei chiusa in casa con i bambini, fa un sacco di piacere ricevere per il tè (portato da lei, oltretutto) un'amica con cui stai facendo nascere un progetto e parlare per ore di danza, personaggi a cui ispirarsi e atmosfere.
E poi ci sono le idee che bussano alla tua porta all'ora in cui la sveglia non è ancora suonata. E ti ritrovi in camicia da notte, con una coperta buttata sulle gambe, a scrivere a raffica l'ultimo sogno o l'ultima pensata, mentre fuori infuria il monsone padano.
Oppure ci sono le verdure della biocesta in bella mostra nella tua cucina, che ti invitano all'ennesima maratona culinaria, fatta di sformato di spinaci alla pancetta affumicata, guacamole e patate lesse per accompagnarla, macedonia di frutti autunnali e vellutata di carote allo yogurt e zenzero. E pensi, per l'ennesima volta, che sarebbe ora di aprire un foodblog, fosse anche soltanto per tenere traccia delle tue ricette.

lunedì 15 novembre 2010

Di mostri, castelli e danza orientale

Non so come succeda alle altre persone che hanno botte di creatività, ma qui si va ad accumulo ed esplosione. Ovvero: ci sono periodi in cui non scrivo quasi nulla, neanche un'idea, e però leggo, guardo, ascolto nudi fatti che percepisco come potenzialmente utili a un progetto creativo. E periodi in cui erogo (stavo per scrivere "vomito") a flusso quasi continuo sogni, spunti, progetti, idee. Perdipiù, nei periodi di "espulsione" (e non fate facili allusioni al fatto che scrivo cagate), non è che io diventi sorda e cieca al mondo esterno.
Da quest'estate, ovvero dall'avvio del lavoro preparatorio per i disegni di Viola, sono preda di un potente flusso creativo: sogno spesso storie già strutturate, ho un sacco di idee per narrativa e danza, metto in atto strategie alternative per l'insegnamento, ho persino abbozzato insieme a una mia allieva di danza (disegnatrice in erba) un progetto per una serie a fumetti.
Anche solo esaminare la giornata di ieri mi dà un sacco di spunti: insieme a mio marito e alla mia disegnatrice, sono andata al Castello d'Albertis, a Genova, per un convegno molto interessante. A parte che solo con gli appunti presi durante gli interventi si potrebbe produrre un'intera collana dedicata ai mostri, mi è piaciuto molto il taglio degli interventi (soprattutto quelli dedicati al folklore e alle leggende): professionale, sintetico, con molte indicazioni per un eventuale approfondimento.
Inoltre, nella pausa tra mattina e pomeriggio, abbiamo potuto partecipare a una mini visita guidata al castello: a parte la bellezza delle sale (consiglio di visitare la Photogallery del sito, una meraviglia che rende benissimo l'atmosfera del luogo), è stato interessante scoprire la figura del capitano D'Albertis, personaggio avventuroso ed eccentrico. Da approfondire.
In più, dall'incontro e dalle chiacchiere tra me, la disegnatrice e mio marito sono nati nuovi spunti narrativi da inserire nel nostro progetto. Che sarà tutt'altra cosa rispetto a Viola: per la prima volta nella mia vita, mi cimento seriamente con un progetto dai risvolti (ho detto risvolti!) fantasy. Non vedo l'ora di buttare giù un'idea di trama e il trattamento.
La cosa che mi piace di più in questo progetto è che l'idea di base è sì mia, ma l'introduzione dell'elemento fantasy è dovuto alla mia disegnatrice e l'idea si è sviluppata durante una chiacchierata-fiume delle nostre. Chiacchierata in cui si sono toccati gli argomenti più vari: dalla fata dei Djinn a Wasabi, da Rachel Brice ad Agatha Christie, passando per i videogiochi e il diritto d'autore nella distribuzione di mp3, oltre a parlare delle qualità dell'olio ligure rispetto a quello machigiano e della biocesta che io avevo appena ricevuto.
Insomma, mi si prospetta un inverno denso. E non chiedo di meglio.

giovedì 11 novembre 2010

Se rinasco

Purtroppo non credo nella reincarnazione. Piuttosto, mi vien più facile credere nella teoria dell'Eterno Ritorno o, ancora meglio, nell'eterno riposo.
Eppure ogni tanto, come tutti, fantastico su che cosa mi potrebbe succedere in una possibile futura reincarnazione.
Se rinascessi animale, mi piacerebbe reincarnarmi in una bestia che non ha problemi. Tipo una delle mie gatte o uno dei ragni con cui convivo pacificamente.
Se per disgrazia dovessi rinascere di nuovo umana, vorrei rinascere uomo. Niente ciclo, niente gravidanza, niente parto, niente allattamento. Anzi, per evitare proprio del tutto queste menate e non viverle neppure di riflesso, non sarebbe male rinascere uomo gay. Magari in un Paese dove la tua vita sessuale non è sottoposta al codice penale, sarebbe il massimo. Ma anche rinascere uomo etero mi andrebbe bene, sicuramente più che rinascere donna.
Oltre ai motivi che ho elencato, rinascere uomo mi piacerebbe per un altro motivo fisico: vuoi mettere fare la pipì in piedi, senza sporcarsi con i sanitari pubblici? Per non parlare del fatto che passare tutto quel tempo a pensare al loro pistolino impedisce agli uomini di annoiarsi. Anzi, come fanno ad avere tanto tempo libero per il lavoro, lo sport e i videogiochi? Non stupisce che molti siano troppo impegnati per dedicarsi alla famiglia e alla casa.
Ma il vero, verissimo motivo per cui mi piacerebbe rinascere uomo è che mi piacciono un sacco di cose che sono tradizionalmente da uomini, mentre la maggior parte delle mie amiche sono donne a cui piacciono le cose da donne.
Tipo: festa con uomini e donne. Quando potevo ancora bere senza star male, mi si poneva un orrendo dilemma: resto con le mie amiche a parlare per ore di carte da parati e tende oppure vado in cantina con gli uomini a bere e ascoltare storie divertenti, facendo magari anche la figura di quella che tacchina i mariti delle altre?
Oppure: quando andavo al ristorante, spesso il cameriere faceva assaggiare il vino prima alla persona che era con me (se era un uomo). E io spesso, per incompetenza dell'altro, mi son bevuta vini non all'altezza.
Oppure ancora: scommetto che nessun uomo è stato trascinato dagli amici a vedere "I ponti di Madison County" o "Scelta d'amore". Mentre non ho ancora trovato nessuno con cui andare a vedere "Salt" (lo guarderò in streaming o DVD, come ho fatto con gli ultimi 007 e con Hellboy).
Insomma, non mi dispiacciono alcune cose "da donna" come la danza orientale e i gioielli etnici, ma mi sembra che quelle più tipicamente "da uomo" siano molto più interessanti e divertenti.
Per carità, non che mi sia mai negata niente per il fatto di essere donna. Però come tale vengo sempre identificata, quindi i maschi non sbracano mai completamente quando ci sono io. E invece spesso mi vien da pensare che sarebbe divertente vedere come sono quando non ci sono io, far parte del branco, essere esattamente come loro.
Insomma, non mi dispiacerebbe poter partecipare a una gara a chi piscia più lontano. Magari nella prossima vita...

sabato 6 novembre 2010

A senso unico

Quest'estate, nei miei giri in cascina insieme ai bambini, ho conosciuto un manzo. Toro o bue, non sono andata ad indagare sulle sue capacità riproduttive.
Era bello e massiccio, color champagne, con le corna ridotte a moncherini (non è una pratica dolorosa, praticamente si spezza il virgulto appena nascono - alle frisone allevate in ambiente non biodinamico lo fanno regolarmente, tanto che molte persone pensano che le frisone non abbiano le corna). Era mite e dolce, tanto da farsi accarezzare per un tempo infinito mentre Ettore e Amelia giocavano con i vitelli della stalla accanto. Era anche un vizioso: quando mi vedeva, mi riconosceva subito e si metteva in posa per farsi accarezzare in mezzo alle corna, dove il pelo è un po' più lungo e un po' più riccio.
Quando ho saputo che il 14 novembre ci sarà a Roma (Villa Borghese) una manifestazione contro la macellazione dei cavalli, ho pensato a lui.
Sarà che io in una macelleria equina ci sono cresciuta, sarà che in mio nonno ho sempre visto un enorme rispetto delle bestie e della carne, sarà che le mucche della stalla accanto sono state una grande compagnia durante i primi tempi con Amelia e che tuttora i miei figli giocano con i loro vitelli.
Io non ci sto a questo gioco ipocrita del "povero cavallino, la mucca invece mangiamocela". Gli animali hanno tutti una loro dignità e una loro intelligenza. Se le mucche venissero allevate con lo stesso amore con cui vengono allevati i cavalli o i gatti, ci darebbero lo stesso affetto e la stessa comprensione.
Davanti alla questione della macellazione, secondo me l'unico bivio possibile è tra l'accettazione della macellazione (regolamentata, sana, senza crudeltà) di tutti gli animali e la scelta vegana. Neanche vegetariana, perché un allevamento di mucche da latte o di polli da uova produce sempre degli "scarti" (i maschi, tipicamente) che vanno eliminati in qualche maniera.
Tertium non datur, soprattutto quando questa terza via corrisponde con un'ipocrita e soggettiva difesa di una specie a favore delle altre. È il trionfo dello stereotipo sulla vita e sulla natura.

Per la cronaca: oggi, sull'onda di queste riflessioni, sono andata a trovare il "mio" manzo. Non lo vedevo da una quindicina di giorni. Ho trovato la stalla vuota: probabilmente il suo periodo di ingrasso è finito e qualcuno, magari io stessa, se l'è mangiato.
Mi dispiace da morire, mi verrebbe da piangere perché gli ero davvero affezionata. Sublimerò questo dolore mangiando la sua carne (o quella dei suoi simili, non ci è possibile sapere esattamente da quale bestia proviene la nostra carne) con un rispetto ancora maggiore del solito. Era una brava bestia, e scommetto che era anche buona.

venerdì 5 novembre 2010

Chi non muore si rivede

Mi piace scrivere sul blog: dal momento che per me non è un lavoro ma un piacere (quasi un bisogno, a volte), non mi sono data una linea editoriale, a costo di risultare dispersiva e indecisa.
Difficilmente resto più di una settimana senza scrivere, se ho una connessione a portata di mano. Sicuramente non resto mai senza argomenti, con tutti gli stimoli che mi bombardano in ogni momento. Casomai, può succedere che resti muta per eccesso di stimoli, per fare chiarezza prima di metterli nero su bianco.
Come molti sanno, è stata una settimana bella ma intensa: due giorni a Lucca, due a Torino, ieri a Genova. E nei prossimi giorni, a parte il piccolo dettaglio del lavoro (c'è una scadenza a fine settimana prossima e siamo in alto mare), sarò ancora a Genova per dovere e per piacere.
Ho fatto promozione a Viola (ovvero ho distribuito la proposal a tutti gli editori che valessero la pena), ho stordito di chiacchiere il mio disegnatore, ho comprato qualche libro, ho letto moltissimo, ho passato un sacco di tempo in treno, ho pranzato con un'amica che ormai vedo troppo poco, ho cercato di farmi passare un mal di testa feroce e tenace, ho rivisto una traduzione per mio cugino d'Islanda, ho avuto nostalgia della mia famiglia e ho ricevuto un sacco di complimenti per una nostra comparsata in TV (oltretutto piuttosto ridicola, per gente che non guarda la TV da almeno 4 mesi). Il tutto in ordine sparso, naturalmente.
Forse, la cosa che ho apprezzato di più (ma non nelle 6 ore e mezza di treno tra Lucca e Torino) è stata la solitudine. OK che a Lucca ero con il mio disegnatore, OK che ad ogni nano che anche solo vagamente mi ricordasse i miei sospiravo, OK che Lucca e Genova sono state solo poche ore tutto sommato.
Ma era parecchio tempo che non mi capitava di andare in un bar a prendere un aperitivo (analcolico purtroppo, mi perdonino i miei avi) con gente che non conoscevo e finire con lo scambiarci i numeri di telefono e gli indirizzi. Era parecchio tempo che non avevo il dubbio che un uomo mi tacchinasse (al che, siccome sono una donna onesta ancorché snaturata, ho fatto cadere lì le parole "marito" e "figli"). E sapete qual è la figata? Tutto ciò è stato piacevole e divertente, ma potrei stare altri 7 o 70 anni senza farlo.
Non voglio fare quella che ormai ha marito e figli, ripeto che è stato divertente e istruttivo, ma non ne sento proprio il bisogno. Così come invece la sera stessa ho sentito la feroce mancanza di mio marito nel mio letto (biecamente, soffro di freddo ai piedi). E così come ero impaziente di raccontargli quei due giorni, anche se sapevo che a molti argomenti avrei dovuto fare un'enorme premessa per fargli capire qualcosa.
Ora non mi sono fermata: ci sono ancora 3 giorni da passare a Genova, e poi stiamo pensando ad Angouleme e a Mantova (ma a Mantova andrei in giornata, è a 2 ore da qui). Oltre al fatto che, se tutto va bene, per un po' i treni diventeranno i miei mezzi di trasporto preferiti.
Il bello è farlo col desiderio di tornare a casa, senza quel rapimento estatico di quando ero single e non sarei tornata mai. E questo, più di tutto, mi dice che questo luogo sporco e disordinato è casa mia, l'unica che conti.