giovedì 27 ottobre 2011

Come una mucca

Come ho accennato in qualche post precedente, sto frequentando un gruppo di persone che seguono una filosofia (non la chiamerei religione) neopagana.
Il motivo per cui mi sono avvicinata a loro non è univoco né legato al neopaganesimo: ad un certo punto mi sono trovata a frequentarle per motivi vari, sono saltati fuori discorsi e iniziative a cui ho partecipato. Perché? Perché, più che un gruppo religioso, mi sono sembrate un gruppo di discussione e approfondimento spirituale. E non è che essere atei, come sono io, implichi il rifiuto della spiritualità, anzi.
In particolare, mi attrae il percorso che vorremmo fare, magari con qualche consulenza esterna, sugli aspetti delle divinità femminili antiche. Su come questi aspetti si adattano a noi, su come ci possono completare e darci informazioni su noi stesse.
All'inizio, quando ne abbiamo parlato la prima volta, mi sentivo più attratta dalle dee più evidentemente cazzute: le dee furiose, le dee che hanno compiuto grandi imprese eroiche, quelle che hanno un piglio dispotico che mi si adatterebbe perfettamente (per quanto poi possano avere aspetti complementari di tutt'altro segno).
Riflettendoci, però, ho pensato che è troppo facile: assimilarmi a queste dee non farebbe che rafforzare aspetti che in me ci sono già, nel bene e nel male, senza sviluppare quelli che restano lì, trascurati.
Mi sono fatta un giro in cascina, ho guardato negli occhi le "mie" vacche e ho pensato: quanto sarei più felice se fossi così. Se fossi anche così: mite, umile, amorevole con i miei piccoli e con i miei simili, ma possente e pronta a mettermi tra i miei cari e il pericolo.
Ho quindi letto qualcosa sulla dea Hathor, la dea-vacca dell'Antico Egitto, e ho scoperto che si avvicina molto alle mie aspirazioni.
Questo non significa che d'ora in poi metterò da parte il mio ateismo e venererò una dea che era in voga 3000 anni fa. Significa che avrò un riferimento a cui ispirarmi, per cercare di diventare una donna migliore. Chissà: magari se avessi intrapreso questo cammino anni fa sarei riuscita anche ad avere un rapporto migliore con l'allattamento. Per il momento, mi propongo "soltanto" di scavare dentro me stessa e cambiare: diventare una che ha in sé la forza, ma che non sente il bisogno di manifestarla.
Come una mucca, possente e mansueta.

lunedì 24 ottobre 2011

La vita fa rima con la morte

Confesso che, quando ho letto per la prima volta il titolo di questo libro, non ci sono andata sopra. E sì che conoscevo la leggenda del Golem e il trucco di cancellare una lettera per trasformare la vita in morte.
Questo weekend, più che mai, questa assonanza è stata vera. Si preannunciava un sabato di gioia e danza, in cui avremmo posto la prima tappa di un cammino di crescita. E invece, venerdì, è morto improvvisamente uno dei microgattini dell'amica che condivide con me questo progetto. Per quanto possibile, ho cercato di starle vicina e darle supporto logistico e morale.
Così un sabato è iniziato con un bellissimo incontro di danza, è proseguito con una riflessione su quanto fatto e sul futuro, e si è concluso con la sepoltura di un piccolo essere innocente, che darà nutrimento col suo corpo a un fico e a un mirtillo.
Mi restano alcune sensazioni sparse, e neanche troppo correlate tra loro.
La prima è una sensazione di stordimento per la morte del piccolo Loki. OK, era un gattino. Ma è morto così improvvisamente e inspiegabilmente (probabilmente una malformazione al cervello o un aneurisma o qualcosa del genere). Non è morto "da gatto", investito da un'auto o avvelenato dall'antigelo. È morto in un modo che potrebbe capitare a noi, ai nostri cari, ai miei figli. E questo mi gela più di ogni altro pensiero.
Parallelamente però sento una sorta di indifferenza dentro di me e nella vita intorno a me: OK, è morto un gatto e non si ferma il mondo. Ma non si fermerebbe neanche se morissi io, neanche se morisse un mio bambino. Nel mondo muoiono bambini ad ogni secondo, eppure niente si ferma per piangerli. Per il mondo io conto quanto un gattino di 2 mesi. È un pensiero triste, ma che ridimensiona moltissimo.
Tutte queste sensazioni sono affiorate in me durante l'incontro di Inspirational Bellydance. E si sono presentate non tanto durante la visualizzazione, guidata dalle parole di Giada, quanto durante la successiva rielaborazione sulla musica, durante la danza vera e propria. Un'ondata di calore che non mi aspettavo, e che ha investito in modi diversi tutte le partecipanti.
A smorzare l'emozione ci hanno pensato i miei figli, che hanno voluto assolutamente partecipare alla sepoltura di Loki. I bambini sono pazzeschi: riescono a vivere in modo naturalissimo sensazioni che per noi sarebbero contradditorie. E a conciliare senza problemi la naturale curiosità verso il cadavere di un gattino e la tristezza per la morte dello stesso gattino (Amelia, quando ha saputo della morte di Loki, ha voluto che le facessi vedere la foto in cui lo teneva in braccio, circa un mese e mezzo fa).
Forse sono esagerata a prendere così tanti spunti dalla morte di un gatto. Ma gli sono grata di aver suscitato tutti questi pensieri, e anche dei fichi e dei mirtilli che mangerò l'estate prossima.

lunedì 17 ottobre 2011

Ispirazioni

Quasi 10 anni fa, approdavo alla danza del ventre. O mediorientale, come dicevano le mie maestre di allora, sottolineando il loro snobistico distacco da "quella cosa commerciale".
Più di 5 anni fa, ho conosciuto la mia attuale maestra, che ha spaziato dal tribal classico ATS al tribal fusion, fino a trovare la propria via di espressione del tribal emozionale da lei ideato.
Più modestamente, anch'io ho fatto un percorso simile, staccandomi dall'idea di danza virtuosistica e approdando all'idea di una danza-benessere, una danza espressiva che non poteva prescindere dalla tecnica ma che doveva essere accessibile a tutti.
Ovvio che una danza del genere doveva inseguire l'improvvisazione, l'espressione corporea e l'interpretazione personale. L'anno scorso, con il mio piccolo gruppo di Bereguardo, sono riuscita nell'esperimento di portare le mie allieve a questo livello.
Quest'anno ho alzato la posta.
Ho pensato a un ciclo organico in cui inserire le suggestioni, ho pensato alle profonde connessioni di questa danza con la terra e con il sacro. Ho pensato che nel ciclo delle stagioni c'erano tutti gli elementi fondamentali delle nostre emozioni e del nostro immaginario.
Ho parlato con persone che erano ugualmente interessate alla danza e alla sua sacralità, ho cercato la loro collaborazione.
In breve, è nato un corso mensile di una danza che abbiamo battezzato Inspirational Bellydance e che quest'anno esplorerà i ritmi delle stagioni.
È un esperimento, per noi in primis. Ma, se volete partecipare, si comincia sabato 22.

martedì 11 ottobre 2011

Illuminazioni

Ieri sono tornata a casa un po' più tardi, per recuperare le ore perse nella famosa settimana in cui Ettore non poteva fermarsi nel pomeriggio (perché? chi lo sa!).
Luca doveva andare a una riunione della scuola, quindi ho chiesto a mia madre di stare lei con i bambini per quella mezz'oretta di differenza (e gliel'ho chiesto sapendo che lo gradiva, dal momento che lo scorso weekend non ci siamo visti e il prossimo lei sarà via).
Sono tornata a casa e mi sono messa a cucinare a capofitto, dal momento che volevo fare sia le melanzane alla porcina sia il risotto coi funghi (si vede che siamo stati a Bobbio, eh?).
Mentre cucinavo, le ho chiesto un paio di pareri, cose su cui normalmente mi sarei consultata con Luca o che avrei deciso di azzardare per conto mio. Il tempo di rispondermi, ed è stata di nuovo fagocitata dai bambini.
Mi sono resa conto, come in un'illuminazione, che quello che mi dà fastidio in mia madre è l'opposto di quello che mi dà fastidio in mio suocero.
Mia madre dà sempre la priorità ai bambini: se sta parlando con me di qualcosa che non sia una questione di vita o di morte, si interrompe per dare retta a loro.
Mio suocero invece dà la priorità agli adulti: se si imbarca in un discorso con me o suo figlio, non dà retta ai bambini finché il discorso non è finito (ovvero, di solito, qualche ora dopo).
Ecco, a me farebbe piacere che ci fosse un equilibrio tra questi due estremi. Soprattutto, non sono assolutamente gelosa dei miei figli, anzi, ma mi farebbe piacere che mia madre non mi chiedesse solo di loro, che magari i momenti "solo per noi" fossero di più di 2-3 all'anno. Così come, nel tempo, mi ha fatto piacere che sia cresciuto l'interesse di mio suocero per quello che i miei figli avevano da dire.

venerdì 7 ottobre 2011

La mamma sbagliata

Inutile negarlo: Amelia non è come me. Non lo è nelle cose positive, almeno. Non è brillante, non ha talento con le parole (non parlo di pronuncia, ovviamente: con la mia R...), non ha la mia capacità camaleontica di capire al volo le situazioni/conversazioni e adattarmi.
Ha le qualità di suo padre: è buona e generosa, è socievole e ben poco selettiva, è agile, coordinata e ha un enorme talento per la musica, è creativa ed empatica.
Non è una simpaticona, questo no. Questo è un tratto di Ettore, detto di volta in volta "il ruffiano", "il paraculo" o "lo scaroso", ed è una caratteristica che non sappiamo bene da dove venga: forse da un mio nonno.
Amelia può risultare simpatica, come me o come Luca, ma non è automaticamente simpatica a tutti. Anzi, quando si imbroncia scatena più rabbia che compassione.
Amelia ha un problema: è la prima di casa, mentre avrebbe il carattere per fare la seconda. Lei è la prima ad aprire le porte, dovrebbe avere la testa di un ariete (tra l'altro segno zodiacale di suo padre, primogenito) e invece mi ricorda di più un arciere, che colpisce da lontano ma da vicino è inerme (infatti il suo segno zodiacale è il Sagittario, per chi crede a queste cose).
Il fatto è che noi, essendo lei la primogenita, non possiamo renderci conto di chiederle troppo. E questo la mette in crisi. Ma è anche vero che, per alcune cose, lei è la mia fonte principale e vorrei che imparasse a darmi informazioni senza che io debba mettere mano al diario per cose come "c'è la possibilità al pomeriggio di darti una merenda? c'è qualche bambino che mangia al pomeriggio, prima delle 16.30?" (nello specifico, mi serve per capire se posso darle una minimerenda il giovedì, prima del corso di ginnastica che comincia alle 16.45).
Ieri Luca ed io abbiamo provato a chiederglielo nel modo più semplice e sereno, ma ci siamo arresi: probabilmente Amelia non riesce ancora a capire e ricordare la successione temporale della sua giornata, ha dato risposte contradditorie e confuse. Capendo che ci eravamo arresi, senza essere riusciti ad avere la risposta che ci serviva, Amelia si è messa a piangere.
E mi sarei messa a piangere anch'io, perché nei suoi occhi vedevo il vuoto del tilt, della mente che gira a vuoto per una sciocchezza.
Mi sono resa conto che, anche se cerco di non farglielo pesare perché razionalmente so che non è giusto, le faccio una colpa di non essere come me. Ma non dovrebbe essere lei a sentirsi sbagliata, sono io ad essere la mamma sbagliata per lei.

martedì 4 ottobre 2011

Come in Italia, così in Svezia

Ho letto recentemente un thriller che mi era stato presentato come una specie di trilogia Millennium al femminile: Il Lupo Rosso di Liza Marklund.
A parte la professione dei protagonisti e la presenza di un serial killer, Larsson e la Marklund non hanno nulla in comune.
Per cominciare, Annika, la protagonista del Lupo Rosso, è una persona normale, non una Mary Sue ai cui piedi cadono tutti gli uomini che incontra. E poi, a parte il modo in cui la vedono gli altri (sia suo marito sia il suo capo pensano che sia una specie di paladina che insegue la verità e la giustizia), a me pare semplicemente una che sa fare bene il suo lavoro e che ha un gran talento per i guai, a prescindere dall'andarseli a cercare (ché poi, cosa vuol dire andarseli a cercare, per una cronista?).
Inoltre, questo libro ci allontana mille anni luce dallo spensierato amore libero di Michael Blomqvist: qui ci sono banali matrimoni con persone banali che banalmente tradiscono per motivi banali.
Esempio n. 1: la migliore amica di Annika, Anne, è separata da un uomo (probabilmente turco, ma la cosa non viene assolutamente sottolineata: lui si comporta come l'uomo svedese medio, ovvero come l'italiano medio in questo caso). Hanno una figlia, in affido condiviso. L'uomo si è rifatto una vita con una più giovane e gnocca. Quando la gnocca resta incinta, l'uomo cerca di eliminare la precedente moglie dalla propria vita, puntando alla custodia esclusiva della prima figlia. Per carità, encomiabile: in Italia spesso questo passaggio comporta l'eliminazione dei figli di primo letto dalla nuova vita dei padri.
Esempio n. 2: Annika è sposata con Thomas, hanno 2 figli. Annika qualche mese fa è stata sequestrata da una bombarola e impacchettata con una certa quantità di tritolo. Ha fatto 5 mesi a casa, poi è tornata al lavoro. E il marito cosa fa? La critica. Dice che non c'è bisogno che lei torni al lavoro, che tutto andava così bene quando lei era a casa. E in queste critiche trova la giustificazione per tradirla. Con una single di buona famiglia, raffinata, in carriera politica ma ancora agli esordi. Copione già visto in tutto il mondo, direi. La differenza è che Annika non ci sta a fare la scenata della moglie tradita: passa direttamente al contrattacco, con una distaccata cattiveria che ci fa saltare dall'entusiasmo.
La morale? Boh, è che siamo abituati a vedere la Svezia come la madre di ogni emancipazione, in cui liberamente il governo concede e volentieri gli uomini condividono. Mi sa che invece gli uomini svedesi non sono né più né meno paritari dei nostri, e che quindi le conquiste delle donne svedesi sono possibili anche qui, nell'arretrata Italia. Basta volerle davvero.