giovedì 26 maggio 2011

Esercizi spirituali

A volte, quando sono molto arrabbiata e/o molto ferita per via di un membro della mia famiglia (marito e/o figli), mi viene da "consolarmi" attraverso la fantasia.
Risalgo con la memoria fino a uno snodo della mia vita, un bivio a cui avrei potuto fare una scelta diversa e la mia vita sarebbe completamente differente da quello che è oggi.
Di solito risalgo a prima di conoscere Luca: cerco di immaginare che cosa mi avrebbe potuto portare a non conoscerlo, perché dal momento in cui l'ho visto ho saputo di volere lui e la vita che ho adesso.
Stamattina in macchina pensavo a quello che mi sembra un secolo fa. Ai tempi in cui tra essere colleghi, compagni e amici c'era pochissima differenza: si arrivava a passare insieme tutta la giornata tra dovere e piacere, senza neanche doversi organizzare. Eravamo il sogno di chiunque ricorra al team building: noi il team l'avevamo costituito e lo tenevamo bello coeso.
In una serata fuori, sul tardi, ad un certo punto parte un lento. Uno dei ragazzi, un po' brillo, mi abbraccia da dietro e comincia a baciarmi sul collo. Una cosa decisamente piacevole, se non fosse che lo stava facendo davanti a una delle ragazze, mia carissima amica e segretamente innamorata di lui. A malincuore, declino le gentili profferte che il ragazzo mi stava facendo all'orecchio e me ne libero.
Da allora, con lui non è più successo nulla (e c'è da dire che era un gran farfallone, quindi con ogni probabilità le sue attenzioni mi sarebbero state riservate solo per qualche giorno o settimana). Io mi sono invaghita di un altro, lui ha cominciato a fare lo scemo con altre due ragazze (ma credo che una di loro gli interessasse davvero).
Oggi siamo amici alla lontana: ci vediamo una volta ogni morte di papa, ma ogni volta è piacevole e divertente come allora. Nessuno di noi è più tornato su quella sera, anche perché entrambi siamo felicemente sposati.
Anche lui ha due bambini, che sembrano gemelli dei miei: stesse età e stesso ordine di arrivo per femmina e maschio. Sicché mi vien da pensare che, anche se, violentando la mia natura di leale amica, lo avessi lasciato fare e fosse nato qualcosa di serio tra noi, la mia vita non sarebbe molto diversa da quella che ho ora. Ecco, forse vivrei in città e non avrei gatti, il che sarebbe di sicuro un miglioramento.
Forse invece il destino mi avrebbe fatto comunque conoscere Luca e semplicemente avrei alle spalle un vissuto diverso: dopotutto, quando ho conosciuto Luca stavo con un ragazzo assai in gamba, di quelli da tenersi stretti.
È che quando il destino ti bussa alla porta c'è poco da fare.

lunedì 23 maggio 2011

Non è stanchezza

Non è stanchezza da blog, quella che a volte sentono i veterani e che le blogstar amano ostentare quando non hanno più niente da dire.
È proprio stanchezza fisica, quella che ti viene dopo settimane passate a correre tra il lavoro e gli impegni più piacevoli, immersa in un caldo africano dalla fine di aprile ad ora.
Intendiamoci: a me il caldo piace, molto di più del suo contrario. Ma lavorare tutto il pomeriggio in un ufficio torrido e poi infilarsi in un'auto incandescente non sono proprio toccasana, né per il corpo (da 3 giorni ho una tosse bastardissima, secca e insistente soprattutto di notte) né per lo spirito (quando torno a casa sono cattiva come un'ape, finché non riesco a rinfrescarmi e anche un po' dopo).
È anche la stanchezza che ti viene dopo due anni e mezzo passati a rincorrere un obiettivo e ritrovarsi da capo a cercare un disegnatore perché quello precedente ha uno stile che "non va bene" per ciò che le case editrici sono disposte a rischiare, ovvero il volume autoconclusivo.
È anche un po' lo sconforto nel trovarsi tra le mani un materiale nuovo, riconosciuto come buono, e temere di rifare tutta la trafila.
Trafila a cui mi sottopongo non solo e non tanto per vedere il mio nome sopra un codice ISBN, quanto per riuscire a tenere per le mani un mio prodotto finito.
Scrivere in prosa ti porta in un mercato più affollato e sicuramente più crudele, ma non rischi di rimanere per sempre a metà, col tuo bambino concepito ma mai nato, per mancanza di un "padre" che gli dia una forma definitiva.
Penso e ripenso a quello che voglio fare, che posso fare, alla fatica che ho fatto fin qui e a quella che sono disposta a fare. Penso che vale la pena di provare a cambiare, a cercare altre strade. Soprattutto, vale la pena di impiegare tempo ed energie in qualcosa che non debba aspettare i comodi e le risorse di un altro, per quanto convinto e coinvolto (ma mai quanto me).
Penso che vorrei avere il tempo e la pace mentale per fermarmi un attimo e mettere su carta ciò che mi passa per la mente in questi giorni, ma se mi fermo mi calpestano.
E penso anche al fatto che quest'anno non avrò a disposizione la lunga estate dell'anno scorso, anzi, mi aspetteranno anche un gran numero di straordinari.
Quando riuscirò a fermarmi e scrivere? Come mi piacerebbe poter "sprecare" una settimana di ferie per ritirarmi in un eremo. Farebbe anche più fresco di qui.

martedì 17 maggio 2011

La pelle dell'orso

Se è vero che i lupi mannari sono "uomini a rovescio" (ovvero con i peli rivolti verso l'interno, pronti a riversarsi fuori quando c'è la luna piena), io sono un orso mannaro. Solo che la maggior parte del tempo la mia pelle d'orso sta bene in vista e i miei cambiamenti di stato non sono determinati dalla luna.
Mi spiego: di mio, sono portata alla solitudine. Una bella chiacchierata, una serata fuori e poi ognuno a casa sua.
Ho sposato un uomo ancora più autosufficiente di me, nel senso che i rapporti sociali per lui sono ancora più superflui: gli bastano i suoi interessi, la sua famiglia e il suo lavoro (credo proprio in quest'ordine).
È anche con questa consapevolezza che ho voluto due figli, vicini il più possibile: al di fuori della scuola, loro giocano insieme e non mi sento "costretta" a tener conto della solitudine del figlio unico.
Con queste premesse, e sapendo che erano loro quelli più "a rischio" (nel senso che non conoscevano quasi nessuno e non erano stati loro a scegliere la compagnia), potete immaginare il valore di una frase come "È stata proprio una bella esperienza" sulle labbra di mio marito.
Come ha scritto qualcuno, un weekend con 15 famiglie che neanche si conoscevano tutte poteva essere un incubo. E invece è stato davvero piacevolissimo: è stata la realizzazione di quelle utopie di "convivenza solidale" di cui spesso si parla.
Per quanto mi riguarda, è stata la dimostrazione del fatto che io non sono asociale ed antipatica a priori: in un'occasione del genere, in cui c'erano tante persone interessanti e tanti bambini piacevoli, sono stata proprio bene.
Non vorrei esagerare, ma io con queste persone mi farei volentieri anche una vacanza più lunga, perché un weekend non mi è bastato per riuscire a chiacchierare con tutti.
E i bambini? Vi dico la verità, li ho persi di vista per intere ore. Consapevole del fatto che l'agriturismo era cintato e che bene o male c'erano genitori in ogni dove, li ho lasciati andare senza alcun ritegno (del resto, già a casa sono abbastanza liberi e consapevoli dei pochi pericoli della campagna). Li ho spesso trovati a giocare con bambini e genitori sparsi, in varie configurazioni.
Come per gli adulti, una delle cose che mi sono molto piaciute è che anche i bambini non hanno costituito gruppi "fissi" (a parte l'ovvia differenza di età, soprattutto per i "grandi") e hanno giocato tutti con tutti.
La cosa che mi è piaciuta di più? L'aver dimostrato che non è necessario andare in strutture attrezzate per far star bene adulti e bambini: basta qualche piccolo accorgimento. Senza costringere i bambini in spazi inadatti e senza rincoglionire gli adulti con bamboleggiamenti e animazioni.
Con un po' di dignità e molto divertimento.

mercoledì 11 maggio 2011

Tutta un'altra storia

Ho cominciato con Un samba per Sherlock Holmes: un romanzo divertente e un po' assurdo, più nello stile di Jorge Amado che in quello di Conan Doyle. Una storia in cui Holmes non è poi così acuto, tanto da farsi scappare un Jack lo Squartatore in erba.
Ho continuato con Anno Dracula: romanzo (capostipite di una serie che ho abbandonato subito) in cui si ipotizza che il Dracula di Bram Stoker non sia stato sconfitto e che, sposando la regina Vittoria, abbia esteso il suo dominio sull'Impero Britannico.
Ho apprezzato molto anche Fatherland e La lega degli straordinari gentlemen: tutte storie di realtà alternative, diverse da come noi conosciamo il mondo.
Con precedenti così, è ovvio che non ce l'abbia fatta a resistere: ho ordinato Red Son. Poi vi racconto com'è.

lunedì 9 maggio 2011

Diventare grandi

Ci sono giorni in cui guardo i miei figli e mi sembra che appartengano a specie diverse (se non fosse per la somiglianza fisica, ne avrei la certezza). Hanno caratteri diversi e stanno compiendo percorsi diversi.
Quando Amelia aveva 3 anni, a malapena sapeva esprimersi a parole, non riusciva ad anticipare i propri bisogni e le proprie reazioni, faceva fatica a seguire spiegazioni verbali più lunghe di una frase.
Ettore non è mai stato così: ha sempre avuto maggior facilità col linguaggio ed è sempre stato molto consapevole della propria vita interiore. Badate che ho detto consapevole, non ragionevole.

Ieri siamo andati al consueto appuntamento col Mercatino dei piccoli: un mercatino semestrale di vestiti usati, i cui proventi vanno ai progetti di Terres des Hommes. Eravamo in chiusura, e c'era un vestito di Carnevale da pirata/Zorro che nessuno aveva voluto. Ce l'hanno offerto, per Ettore, e io ho detto che l'avrei preso se a lui piaceva. Dopo aver rifiutato 2-3 volte per timidezza, Ettore ha deciso di volerlo quando stavamo per uscire.
In macchina, mentre tornavamo, ha continuato a dire che l'avrebbe messo a casa, dopo aver fatto la doccia (ma senza lavare i capelli, precisava). A casa ha fatto diligentemente la doccia e si è infilato tutto contento nel sinteticissimo costume. Si è fatto fare un servizio fotografico mentre menava fendenti all'aria con la sua spada di legno e mi ha pregata di poter tenere il vestito durante la cena. Alla fine della cena, quando si è sentito stanco, è andato di sopra a spogliarsi e a mettersi il pigiama di sua iniziativa. Quando ho finito di bere il mio tè (essì, lo so che poi mi alzo a pisciare...), mi ha presa per mano e ha voluto che io leggessi il mio libro (The Graveyard Book di Neil Gaiman, carino!) mentre lui prendeva sonno accanto a me.
Insomma, ieri sera non è finita con lui che cade addormentato ancora vestito da pirata o con me che gli rompo le balle perché si metta il pigiama fintanto che riesce ancora a tenere aperti gli occhi. È finita come sarebbe finita con un bambino grande. E io ne sono tanto tanto contenta.

martedì 3 maggio 2011

Alfa e beta

La mia ultima lettura "in prosa" è stata questa. Un libro leggero ma non stupido, che ha per protagonista un maschio beta. Ovvero un maschio non alfa. Ovvero quello che in altra narrativa sarebbe lo sfigato.
Attenzione, non uno sfigato che aspira ad essere figo. Uno sfigato che vive la propria non-figaggine con serenità, con la consapevolezza che la razza umana si è conservata nei millenni proprio grazie ai maschi beta.
Infatti, pensa Charlie, chi si prendeva cura delle vedove e degli orfani quando i maschi alfa morivano in guerra? Chi mandava avanti la vita di tutti i giorni mentre i maschi alfa si pavoneggiavano e facevano gli eroi? Il maschio beta.
Ecco, è una piccola riflessione oziosa all'interno di un libro che poi prende tutt'altra strada, ma l'ho trovata interessante. Io ho sposato un maschio beta: uno a cui non interessa primeggiare, la cui aggressività è quella di pura sopravvivenza. Una persona di valore, ma senza nessun interesse nell'ostentarlo. Un uomo che ha molti talenti e molti interessi, ma che altre donne hanno snobbato perché non era abbastanza brillante. E dire che è pure caruccio.
Io invece sono nata alfa. Mi hanno sempre pompata perché fossi alfa: la più brillante, la più intelligente, quella che doveva fare chissà che. Il risultato, con un pompaggio del genere, è che il minimo passo falso rischia di farti sentire una fallita. Figurarsi per una che, dalle vette del suo master e con una carrierina avviata, si è ritrovata a fare la segretaria.
Beh, sapete una cosa? Lo so che non potrò completamente reprimere la mia natura, ma d'ora in poi voglio impegnarmi per essere beta. E per accettare che anche mia figlia lo è, e va bene così.
Al lavoro figo che ti porta via il cuore preferisco un lavoro tranquillo e tutto sommato con i suoi risvolti piacevoli, con colleghe gentili e interessanti, che mi lasci lo spazio per tutto il resto. Non rinuncio ad avere la mia opinione su alcune cose e a dirla, ma non voglio più essere trascinata in diatribe su chi è migliore. Non me ne è mai fregato niente di non essere ricca, ma adesso che non ho più l'acqua alla gola per via del nido mi godo quello che ho, anche se è poco. Casa mia non sarà una reggia, ma per la mia famiglia basta e avanza. E mi permette di ospitare anche gli amici, quando vogliono passare. Non sogno il SUV (anche se, a differenza del 90% di chi possiede il SUV, avrei le mie buone ragioni per avere un fuoristrada), anzi riesco a gioire di aver trovato una station wagon a metano d'occasione.
Penso quindi di essere sulla buona strada per diventare beta. Devo solo smettere di sentirmi ferita da chi guarda la mia carriera e/o i miei averi con espressione di disgusto o disprezzo. E considerarli dei poveretti, perché non mi serve avere ciò che ostentano loro per essere felice.