venerdì 22 aprile 2011

Il diritto all'antipatia

Confesso: sono una che, alla prima occasione comunitaria con genitori del nido/scuola materna, se può fugge veloce come il vento. Tante belle parole sul coinvolgimento dei genitori sono sprecate per me. Nel senso: voglio interagire con gli insegnanti e, se posso, hanno tutto il mio appoggio e tutte le mie risorse. Ma fare salotto con gli altri genitori, solo per il fatto che sono genitori di altri nani, proprio mi repelle. È più forte di me. Non me ne frega niente che l'arrivo dei figli mi abbia appesantito il girovita e alleggerito il portafogli, non sento la mancanza delle Manolo o dei viaggi in Polinesia, non vado in giro a strapparmi le vesti perché riesco a uscire con le amiche una volta ogni tot mesi. Ma frequentare i genitori proprio no, non chiedetemelo. Certo, ci sono dei genitori con cui mi trovo bene, ma, se decido di frequentarli, è perché mi ci trovo bene io, non perché "i bambini giocano tanto bene". I bambini hanno tutto il tempo di giocare insieme durante le 8 e passa ore che trascorrono a scuola: il resto del tempo è mio. Mio da passare con i miei figli se mi va, oppure da guardarli mentre giocano con altri bambini (per esempio, la bambina indiana del nostro cortile) o con gli animali o tra di loro. Lo so che con questo comportamento poi mi ritrovo che nelle prime settimane di settembre "non so a chi lasciarli" (ma forse sì, incrocio le dita perché la mia amica decida per il sì). Ma non mi sembra molto etico neppure frequentare altre famiglie con quello scopo lì. Soprattutto perché non sono disposta a ricambiare l'eventuale favore, e so fin troppo bene che i favori sono merce di scambio pericolosa. Sono snob? Mi chiudo nella mia torre d'avorio? Può darsi, ma a pagarne le conseguenze sono solo io. E finora ho pagato profumatamente.

martedì 19 aprile 2011

L'antistress

Qualche giorno fa ascoltavo la radio e la DJ (che proprio non mi piace, ma tant'è) ha lanciato il domandone "che cosa fate voi per scaricare lo stress?".

Beh, in genere lo stress non lo scarico, me lo tengo. Perché non ho un'attività antistress. Altre si rilassano o si scaricano a fare ordine e pulizia, io mi incazzo di più. Altre stirano, io mi incricco. Altre corrono, io ho l'asma.

Ci sono, per carità, attività che mi piace fare nel tempo libero: leggere, scrivere, danzare, guardare un film o un telefilm, girare sul web. Ma non mi scaricano, mi fanno staccare per un po' ma quando torno a me stessa la carogna è sempre lì.

E in questi giorni mi chiedevo che cosa potrebbe farmi stare bene. Forse cucinare. Forse dormire, ma devo essere proprio allo stremo: non voglio vivere come mio padre, che ha "perso" i suoi finesettimana dormendo sul divano. Fare shopping mi dà una breve soddisfazione, subito sopraffatta dai sensi di colpa. Fare sesso è un'opzione troppo spesso impossibile, a meno che di non trovarmi un amante (e a volte Luca ed io pensiamo che il motivo per cui molti si prendono l'amante sia perché fare sesso col proprio coniuge è decisamente più complicato).

In questi giorni credo di aver capito che c'è un'attività che mi scarica molto, ed è stare tra le bestie. Ma non le bestiole piccole: i gatti ormai sono parte della mia quotidianità e mi stressano al pari dei figli. Dico le bestie grandi, i bovini. Ché poi sarà lo stesso principio per cui i disabili mentali fanno pet therapy con i cavalli.

Sì, belli i cavalli: nobili, grandi, li puoi anche cavalcare. Per un certo periodo della mia vita ho desiderato disperatamente un cavallo, o perlomeno imparare ad andarci sopra. Ma erano altri tempi, e all'epoca in provincia l'equitazione era uno sport da ricchi, mica una cosa che puoi provare in un centro ippico per vedere se ti va.

Ma boh, oggi i cavalli mi appaiono come una scelta più "ovvia". Sono abituati a stare con le persone, a prendere le carote e gli zuccherini, ad essere toccati. Invece i bovini non sono così: non conoscono la dolcezza dell'avere qualcuno che si occupi di loro in quanto individui, non vengono accarezzati se non dal polacco che gli fa da mamma, hanno paura degli umani.

Ecco, io ieri sera, dopo aver riposto e steso una montagna di bucati, sono andata a recuperare marito e figli nell'orto e mi sono fermata alla stalla dei vitelloni. C'era questa manzetta nera che mi si strusciava contro come un gatto, e si è fatta accarezzare per un sacco di tempo (oltre ad aver preso un sacco di erba). E il bello è che i bovini non lasciano nessun odore sulle mani, solo un vago sentore di cuoio (eh già).

Ecco, d'ora in poi, se mi sentirò stressata al momento di tornare a casa, farò un salto in stalla. Farà bene a me e ingrasserà loro.

lunedì 18 aprile 2011

Scene da una cascina

Sabato mattina, Luca fa appena in tempo a fare colazione per precipitarsi a Milano, dove deve provare un pezzo con un paio di persone. Oltretutto, non mi posso nemmeno lamentare, perché sono stata io a incastrarlo con quel pezzo lì.

Io faccio vestire i bambini, poi ci facciamo un giro tra le vacche. Si accoda anche un papà della scuola steineriana, che in questo periodo sta costruendo una casetta di paglia e fango nei weekend.

Arrivati alle stalle dove una volta stava il "mio" manzo, ci trovo il polacco, intento ad occuparsi di due vacche malate e incinte. Colta da un barlume di speranza, gli chiedo che fine abbia fatto quel toro così e cosà, che stava lì qualche mese fa. Inaspettatamente, lui mi racconta che Kojak (l'hanno chiamato così perché è un po' pelatino) è stato trasferito alla Zelata, nella stalla coperta, e con grande gioia soddisfa i bisogni di circa 30 vacche. Poi continua, raccontando a me e all'allibito padre steineriano le prodezze sessuali dell'altro toro da carne, Luxuria, e del misero torello frisone che pare tanto macilento ma poi le vacche non lo mollano per una notte intera.


Ieri, dopo aver passato mezza giornata da sola a fare la casalinga disperata (bambini dai nonni e marito al corso di bonsai), ho portato la famiglia a trovare Kojak, il mio amico ritrovato. Lui ci è sembrato molto contento della sistemazione e socievole come al solito, tutto contento di prendersi i grattini tra le corna. Poi i bambini hanno cominciato a dargli da mangiare un po' di erba e lui ha mostrato di gradire. Dopo un po', anche le altre mucche hanno reclamato la loro parte. Ce n'era una bellissima, tutta nera ma con il musino e una riga lungo la schiena marrone. Ma non riusciva quasi mai a mangiare dalle nostre mani, perché finiva sempre tra una nera e una pezzata molto voraci.


Ecco, è in momenti come questi che POI (ovvero 12 ore dopo) mi ricordo che avrei potuto portarmi la macchina fotografica e mi pento di non averlo fatto. E in realtà, chi si sarebbe messo a fotografare anziché strappare l'erba?

martedì 12 aprile 2011

Quadri da un sistema scolastico

È luglio, io sono a casa con i bambini. Chiama un'amica di Luca che ormai è anche amica mia. Una persona che purtroppo non ha trovato posto nella ricerca e che per fortuna porta la sua esperienza nella scuola pubblica. Mi dice che il suo network sta preparando una proposal per una casa editrice americana e che hanno bisogno della mia esperienza di editing e revisione linguistica. I tempi sono strettissimi, loro si ritrovano a discutere della proposal fino a tarda notte. La maggior parte di loro sono precari, manco pagati durante il periodo estivo. Eppure ci credono, lavorano, mettono insieme 40 esperienze di buone pratiche della scuola italiana, dalle elementari alle superiori. La casa editrice accetta e, se tutto va bene, nel giro di un anno anche il mio nome comparirà su quel libro.

È settembre. Ho 14 anni. Entro nel liceo che per 5 anni diventerà la mia casa. Un ex convento con soffitti altissimi e talvolta affrescati, finestre dai vetri sottilissimi, parti inutilizzate, spifferi ovunque. E professori che potevano essere bravissimi o scarsissimi, a seconda della fortuna e di chi andava in pensione. Per dire: ho fatto un liceo classico e non ho mai saputo il greco.


Venerdì pomeriggio, corro alla materna a ritirare i bambini, per poi partire verso Torino. Loro giocano in giardino, io aiuto la ragazza del doposcuola a far uscire una lucertola che era entrata in classe. Ridiamo, e io penso che sta davvero bene coi bambini. Altrimenti è un'attrice da Oscar.


L'anno scorso, il colloquio con le maestre mi aveva lasciata interdetta e vagamente ferita. Allora avrei parlato di una scuola che non si preoccupa dei bambini ma solo delle loro abilità, che intruppa, che vuole l'omogeneità a tutti i costi. Sono così contenta che le maestre di quest'anno, sia di Amelia sia di Ettore, abbiano smentito questa impressione.


L'anno prossimo ci aspetta il grande salto. Mi fa paura, non lo nego. Ho paura che Amelia non sia pronta. Ho paura che la scuola del nostro paese ci faccia rimpiangere quella del paese vicino, che però non accetta i non residenti. Ho paura del cambio di ambiente: dal paese più ricco di Lombardia, abitato da professionisti e gente mediamente colta/consapevole, a un paese che è a metà tra la riserva di operai agricoli e il dormitorio dei pendolari. Un paese per nulla attento ai bisogni delle famiglie e dei bambini, tant'è che l'asilo nuovo è stato progettato senza tenere conto dei piani regolatori e dell'afflusso di nuove famiglie. Un paese dove la biblioteca è aperta un'ora al giorno, in un orario impossibile. Un paese che ha un parroco talmente potente e idiota da pensare di chiudere il rifugio di una rara specie di pipistrelli, roba che in Francia ci farebbero un villaggio a tema intorno. Non ultimo, ho paura delle maestre che incontreremo: la scuola in Italia è una lotteria.

venerdì 8 aprile 2011

Ora che è passata la moda

Ora che è passata la moda degli elenchi, vorrei farne uno. Ed è l'elenco dei momenti che voglio sempre ricordare. Il che non necessariamente coincide con ciò che non posso dimenticare.

  • Il mio viaggio in traghetto da Atene a Mykonos, con la mia amica N. e le amiche modenesi conosciute l'anno prima a Rodi. Mare forza 9, onde sul quinto ponte, primo giorno di mestruazioni. Ma iniziava un'avventura.

  • La prima volta che ho visto mia figlia e mi sono completamente, totalmente innamorata di lei.

  • La festa di fine master sulle rive del Ticino, alle 3 di notte. Il momento in cui l'inquilino della casa-barca che credevamo disabitata ha acceso la luce ed è uscito con una bottiglia di vino e una pila di bicchieri, a far bisboccia con noi.

  • I giorni passati a Sanremo per realizzare un CD-ROM per il Casinò. L'intervista con il roulettier, così fiero del suo lavoro e di essere quasi l'unico a saperlo fare in Italia. La dimostrazione di chemin de fer tenuta dal direttore dei giochi, che era stato croupier ad Algeri e Tripoli negli anni della Dolce Vita.

  • La volta che ho visto delle foto di Luca a 3-4 mesi e ho detto: ne voglio uno così, proprio uguale. Beh, ne ho avuti due. Proprio uguali.

  • Il momento in cui, grazie a un altro Luca, ho guardato in faccia i personaggi che mi facevano compagnia da tanti anni.

  • Il weekend in cui sono andata a Laigueglia con la mia amica P. e ho trovato un mare cristallino che neanche in Grecia. Oltre a una coppia di bagnini che si guardavano volentieri.

  • La gita a Mantova con le mie amiche C. e C., quando avevamo 15 anni e non sapevamo cosa fare nelle vacanze di Pasqua.

  • La gita a Mantova con l'amica N., che la sera precedente era rimasta a dormire nel mio microlocale e ci eravamo scolate una bottiglia di Chianti. Il giorno dopo, tamponando lo stomaco in pena con il pane bianco del Mulino Bianco, ci siamo avventurate sull'autostrada deserta, con la Twingo. E abbiamo superato un'intera colonna di camionette della polizia, dirette a Brescia, sorridendo come sceme perché andavamo un po' troppo forte.

  • Mio figlio all'oasi di Sant'Alessio, seduto sul vasino portatile, che fa la cacca leggendo il depliant dell'oasi.

  • La prima notte passata a casa di Luca, quando, non potendo copulare (ero mestruata, che culo!), ci svegliavamo ogni mezz'ora per baciarci.

  • La sera che siamo andati alla festa della Zelata e ci siamo infilati di straforo nella grotta dei pipistrelli.

  • Il concerto di Biagio Antonacci aperto dal gruppo di un mio amico. Un caldo porco, ma quanto è stato bello. Nonostante Biagio non sia proprio tra i miei preferiti.

  • La prima volta che abbiamo portato Amelia al Trebbia, a San Salvatore, e lei è rimasta in ammollo tutto il giorno

  • La folle corsa a casa in un momento di pausa dal saggio, per stare un'ora con Luca e concepire Ettore.

  • La prima vacanza a Levanto, con la Bionda e marito.

  • La volta in cui la Bianca doveva partorire ed è venuta a svegliarci per farsi aiutare.

In realtà, sarebbe impossibile riuscire ad elencare tutti i bei momenti che voglio ricordare. Questi sono solo un campione, abbastanza rappresentativo.

lunedì 4 aprile 2011

Eventi cruciali

Non preferirei mai la mia prima volta all'ultima in cui ho fatto sesso. Anche se la prima volta ero più giovane, più leggera e probabilmente più depilata. Non scambierei mai una passeggiata di oggi con il replay dei primi passi dei miei figli. Non vorrei mai indietro il giorno del mio matrimonio, se in cambio dovessi dare una qualsiasi domenica del 2011. Il giorno più bello della mia vita? Forse quel giorno perfetto in cui ho portato Amelia all'Acquario di Genova per la prima volta, inconsapevole di avere già Ettore nella pancia. Oppure quel giorno in cui eravamo soli a Levanto, io e i bambini, e per pranzo abbiamo mangiato il gelato davanti a Cacciatori di Draghi. Non amo le convenzioni. Tutti dicono di non amarle, per carità. Però non tollero che un giorno sia più bello di un altro solo perché altri hanno stabilito che deve essere così. Penso che le feste possano essere occasioni di felicità, perché ci si ritrova insieme a gente a cui si vuole bene. Penso che un matrimonio possa essere una bella festa o una sfacchinata. Penso che un parto possa essere l'inizio di una storia d'amore, ma non necessariamente. Certo, partorire dà più soddisfazioni che levare un dente, ma non deve essere per forza un evento mitizzato. Certo, la partoriente si deve trovare bene e a suo agio, ma non è la stessa cosa per una persona che va a fare un esame doloroso o una ceretta? Forse il motivo per cui le donne sono culturalmente così legate ai loro parti è il fatto che, per molto tempo, partorire era l'unica cosa avventurosa nella vita di una donna. Gli uomini avevano il servizio militare, noi il parto. Ora però gli uomini hanno smesso di fare grandi racconti sul periodo della loro leva. Non sarà il caso di smettere anche noi donne?