giovedì 22 dicembre 2011

Vacanze buone

No, quest'anno proprio non ce la faccio: nonostante qualche miglioramento, quest'anno non sento per niente il clima natalizio. Avrà fatto caldo troppo a lungo, non lo so. Sicuramente non è questione di crisi, perché noi l'anno scorso eravamo ancora fruitori del nido e quest'anno a confronto è di vacche grasse.
Anzi, quest'anno i doni sono stati più frugali ma proprio per questo più personali. Per dire, un'amica mi ha regalato un suo portaincenso, uno che le vedevo usare normalmente e con soddisfazione, perché ha ritenuto che l'immagine rappresentata fosse più adatta a me. E lo trovo più bello che se mi avesse preso una stupidaggine a caso.
Domani comunque, spirito natalizio o no, cominciano le mie vacanze, calibrate su quelle dei bambini. Molti (molte) se ne lamentano, perché sanno che passeranno tutti i giorni a casa immersi/e nel casino di bambini che giocano e litigano.
Per fortuna i miei figli non sono particolarmente molesti e tendenzialmente si fanno i fatti loro, giocando fitto fitto in una stanza diversa da quella in cui sono io. Quando disgraziatamente si interessano delle mie attività (culinarie, di solito), assistono e aiutano senza fare eccessivi danni e senza intralciarmi troppo. Comunque, a meno che non stia facendo dei dolci, tendenzialmente si stufano dopo non molto e io riprendo col solito ritmo.
Ora però non pensate che io voglia passare le vacanze a cucinare. Anzi, non ci passerò neanche un giorno (a parte la cucina di sussistenza), perché il giorno di Natale saremo fuori e a Santo Stefano cucina mia madre.
Le vacanze le voglio passare a leggere, scrivere, prendere i buonissimi tè di Acilia, ascoltare buona musica, passeggiare (tempo permettendo) e, quando saremo a Levanto, godermi il dolce far niente insieme anche a Luca. E l'idea di avere 17 giorni da dedicare a queste attività mi fa godere come non mai, figli o non figli.
Quest'anno sono arrivata alle vacanze stanca e provata da un po' di malanni, ma anche ricaricata di nuovi propositi e di tante energie emotive. Non vedo l'ora di ricaricare anche le energie fisiche con tante coccole e tanto calore.

domenica 18 dicembre 2011

Christmas is coming

Passare un'intera settimana di febbre, cominciando con un virus e finendo col prendere gli antibiotici per non perdermi il weekend.
Approfittare della malattia per sistemare le foto degli ultimi 3 anni e mezzo. E per tornare a riconsiderare seriamente i miei progetti personali, che non meritano di essere abbandonati per la mia paura di rendermi patetica o ridicola.
Passare una fruttuosa ora di shopping a trovare i regali e le idee giuste che mi mancavano. E subito dopo andare a Milano con un'amica, che viene con me a una lezione della mia maestra Francesca. La prima lezione della Pedretti non si scorda mai...
Cazzeggiare con la suddetta amica per non tornare subito a casa: dopo 5 giorni di reclusione, mi sento come un uccellino appena uscito dalla gabbia e pur di stare fuori mi farei pure la fila in posta.
Passare la serata sola in casa con i bambini: Ettore dorme da prima di cena e Amelia mi aiuta a incartare un paio di regali per le mie amiche.
Svegliarsi all'una e mezza per un brutto sogno, e pochi minuti dopo sentire che Luca è arrivato a casa. Addormentarmi stretta a lui.
Svegliarsi abbastanza presto con un sole bellissimo e programmare la giornata per cercare di fare tutto: i biscotti per Yule, le verdure di Bioexpress, un giro nel bosco (anche per raccogliere qualche ramo di quercia a scopo lavori manuali), l'albero di Natale, i compiti di Amelia.
Fare un bel giro con Ettore, alla scoperta dei piccoli tesori di questo posto: una cincia che ti guarda curiosa, gli alberi spogli che ti permettono di vedere più lontano, le rogge con il fondo di sabbia grigia e piccoli luccichii d'oro.
Ascoltare Amelia che finalmente riesce a capire in cosa consiste un certo esercizio, grazie alla pazienza di suo padre.
Aiutare Luca a far prendere forma alla sua idea, appassionarsi al progetto e tirar fuori nuovi regali.
Sfornare biscotti come una pasticceria (anche se la prima infornata è venuta bruciacchiata, con gran gioia di figli e marito che l'hanno scofanata).
Riposarsi mentre marito e figli decorano l'albero.
Non vedere l'ora di leggere il prossimo capitolo di Topicco, e poi addormentarci nelle lenzuola appena cambiate, che sanno di pulito.

martedì 13 dicembre 2011

Che tragedia!

Eh, le tragedie greche... sono storie con cui di solito vieni in contatto al liceo, nell'età dell'adolescenza. L'età perfetta per la tragedia.
All'epoca (e tuttora, per carità, non è che proprio ne sia lontana) mi identificavo molto in Medea, che ho anche visto a teatro, interpretata da Branciaroli (l'idea fa ridere, ma lui con l'abito da donna riusciva ad essere credibile e per nulla ridicolo).
La donna rifiutata perché "non presentabile", in favore di una più "in" o docile o ricca: come avrei potuto non vedermici?
Ecco, però la mia visione di Medea era incompleta. Io passavo sopra alla questione dei figli, che invece è fondamentale. Anche se alcune tradizioni ritengono che Medea abbia ucciso i figli per evitare loro il linciaggio della folla (e altre ancora, più buoniste, sostengono che li abbia portati con sé), questa cosa di Medea che uccide i propri figli per vendetta o che li abbandona alla furia del popolo non mi appartiene.
I figli per me sono un affetto che viene prima di tutto il resto. E vaffanculo a Giasone.
Ecco perché oggi (in verità, da alcuni anni) sono più attirata dalla figura di Andromaca. Nelle Troiane, Andromaca rappresenta me. Ecuba ha perduto molti figli nel fiore della giovinezza, ma Andromaca perde un figlio bambino, innocente, l'unico legame che ancora la legava a un marito amatissimo e sfortunato. Mi sale il magone solo a pensarci.
Quest'estate, ho visto Le Troiane interpretate da un gruppo di allievi della scuola di teatro Gedeone. Tra loro, c'era la mia maestra di danza Francesca, a interpretare Cassandra.
La messinscena si richiamava alle atmosfere del dopoguerra, agli anni '40, dove i troiani erano dimessi e vestiti di grigio e gli achei erano vestiti con sgargianti camicie hawaiiane e ray-ban, come i vincitori americani. Le scarpe avevano un ruolo chiave: la scena ne era invasa, rappresentavano i morti.
Infatti Andromaca compariva in scena con un paio di belle scarpe da uomo, che curava e venerava come se fossero su un altare. Dopo la morte di Astianatte, alle scarpe di Ettore si affiancava anche un paio di scarpe da bambino di 2-3 anni. Avrei potuto dargliele io, quelle del mio Ettore.
Una parte di me si ribella al comportamento di Andromaca: mi dico che cazzo, sarei morta o mi avrebbero fatto molto male, ma quel bastardo di Odisseo, uccisore di bambini, l'avrei infilzato di sicuro. Cosa ti chiami Andromaca a fare, se ti rassegni subito al dolore?
Ma la mia parte realista, quella che ha imparato come va il mondo, mi suggerisce che al suo posto avrei fatto esattamente la stessa cosa: sarei rimasta lì, annichilita dall'impotenza e dal dolore, e avrei cercato di sopravvivere.
A meno che (come suggerisce l'Orlando Innamorato) non avessi avuto l'astuzia di mandare il mio vero figlio a sopravvivere altrove e avessi avuto il pelo sullo stomaco di sostituirlo col bambino di un'altra. Pare una cosa orribile, e lo è, ma ammetto con onestà che per la vita di uno solo dei miei figli sarei prontissima a sacrificarne 10 dei vostri.

Perché non mi crediate pazza o depressa (ho solo l'influenza, ma non conta), sappiate che questo post partecipa al contest di Yeni Belqis.

lunedì 5 dicembre 2011

Libri per le grandi occasioni

Fin da quando ero piccola, vivo circondata dai libri. Ad un certo punto della mia vita, ho avuto feroce invidia per un amico che vi poteva dedicare un'intera stanza della sua casa. Oggi traggo vantaggio e conforto dalla vicina biblioteca, e vi riverso molti dei miei libri che non ha più senso tenere (narrativa di vario genere, saggistica e manualistica che non mi interessano più, tra qualche tempo anche i libri per bambini che i miei figli snobberanno perché troppo "da piccoli").
Nei periodi normali vivo immersa in un flusso più o meno forte di libri, che si succedono l'uno dopo l'altro seguendo i miei interessi e le mie curiosità del momento. Per esempio, in questo periodo alterno narrativa Young Adult a saggi su varie divinità (al momento sto leggendo un libro che applica gli archetipi delle divinità greche alla psicologia femminile, interessante anche se un po' datato su certe posizioni).
Ci sono stati però momenti della mia vita in cui, per vari motivi (di solito lo spazio in valigia era il principale), ho cercato il libro "perfetto".
Per esempio, durante le vacanze. Per la mia prima vacanza in Grecia, il mio meraviglioso libraio mi consigliò un libro di Gerald Durrell che non avevo ancora letto. Per il secondo viaggio, l'anno dopo, scelsi Le memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, una delle mie autrici preferite.
Per una vacanza all'Elba, il mio libraio mi consigliò Il conte di Montecristo, che rimane uno dei libri più ben orchestrati che io abbia mai letto, veramente entusiasmante. Per la Sicilia mi portai Camilleri nel 1997 e I Vicerè nel 2002. E nel mio viaggio di nozze in Turchia mi portai L'impossibile volo, dello stesso autore del Mandolino del capitano Corelli (cosa che mi fece storcere preventivamente il naso e invece no, quest'altro libro non è per niente male).
Il libro che il mio libraio non ha azzeccato è quello da portare in ospedale per la nascita di Amelia: mi ha consigliato un libro della Vargas, Parti in fretta e non tornare, senza considerare che c'era una scena in cui il protagonista tradisce la sua donna lontana. Una scena che mi ha fatta star male, perché non c'è un momento in cui mi sono sentita così vulnerabile e poco desiderabile e dipendente da Luca come quello intorno al mio primo parto.
Se potessi tornare indietro, mi consiglierei sempre la Vargas, con un libro diverso (per esempio trovo divertenti i libri degli Evangelisti, tipo Un po' più in là sulla destra). Oppure, ancora meglio, la trilogia di Bartimeus (almeno il primo, che è del 2003). Oppure un giallo di Amelia Peabody. O una storia di vampiri divertente tipo le prime di Anita Blake.
Oppure ancora: se avessi avuto un po' più di esperienza di fumetti, mi sarei comprata la Lega degli straordinari gentlemen. Oppure Hellboy, anche se è più malinconico di quanto possa piacere a una che sta in ospedale o che ne è appena uscita.
Devo dire che, mentre con Amelia in ospedale ho avuto pochissimo tempo per leggere in ospedale (ho letto a casa, durante le 12 notti passate ad allattare), con Ettore ne ho avuto tanto, perché ero in camera da sola. E non avevo un libro, perché, memore della precedente esperienza, avevo creduto fosse inutile.
Presa da un raptus, ho implorato mio marito di portarmi delle riviste. Le più maschili che poteva trovare, perché ero esasperata dall'atmosfera iperfemminile del reparto. Con mio grande sollievo, Luca mi ha portato Le Scienze, Natural Geographic, Internazionale, Espresso e Archeo. Me lo ricordo ancora perfettamente, tanto fu il mio sollievo.
Me ne stavo in camera da sola, con Ettore che dormiva nella sua culla davanti alla finestra (aveva un accenno di ittero), e sognavo di essere in un pub a bere birra e citare a memoria battute da film d'azione.
Va da sé che se per disgrazia dovessi entrare di nuovo in ospedale, mi porterei dietro il portatile e un hard disk infarcito di film adrenalinici.

mercoledì 30 novembre 2011

Everybody wants to rule the world

Ieri sera sono tornata a casa tardi, con gli occhi fuori dalle orbite per la nebbia, stanca, irritata, dispiaciuta e preoccupata per una cosa che può essere una sciocchezza ma succede un po' troppo spesso. Mi aspettavo di trovare la tavola apparecchiata, la cena pronta e i miei uomini pronti ad accogliermi.
E invece ho trovato il tavolo vuoto, l'insalata a scolare e gli uomini di sopra (uno a vedere Kung Fu Panda e l'altro a suonare).
Mi sono arrabbiata, anche se sapevo che ci sarebbe voluto un attimo (ovvero 15 minuti) ad apparecchiare la tavola, condire l'insalata e mettere la padella con gli hamburger sul fuoco. Mi sono arrabbiata perché nessuno mi ha minimamente calcolata, perché nessuno mi stava aspettando, perché ero triste e avrei voluto essere consolata e non c'è niente di più umiliante che implorare di essere consolata.
Luca, che nulla sapeva di questo mio stato d'animo (si aspettava che fossi almeno normale o addirittura contenta), si è arrabbiato perché lui comunque aveva steso i panni, aveva sfornato il pane (preparato da me alla mattina), aveva preparato la padella con gli hamburger e aveva lavato l'insalata (a casa nostra è un immondo sacrilegio condire l'insalata 5 minuti prima del momento giusto). Si è arrabbiato perché ha creduto che io stessi disprezzando il suo impegno e perché ha supposto (non erroneamente, ma neanche completamente a ragione) che io stessi sfogando il mio malcontento tramite dei pretesti.
Probabilmente era anche lui stanco e aveva i cazzi suoi, probabilmente un abbraccio avrebbe fatto bene a lui quanto a me. E invece abbiamo scelto di arrabbiarci, invece di consolarci a vicenda. Perché? Perché è così facile litigare con chi ti vuol bene, quando si tratta delle sole persone in cui possiamo cercare conforto? Perché preferiamo attaccarci a ciò che dovrebbe essere anziché a ciò che è? E, dall'altro lato, perché non riusciamo a identificarci nei bisogni dell'altro, che pure conosciamo così bene? Probabilmente a Luca non gliene frega niente che io lo accolga con il pranzo pronto e la tavola imbandita, magari non proverebbe fastidio a trovarmi sul divano che leggo mentre la cucina è spoglia. Eppure io non potrei farlo, mi sentirei una stronza a comportarmi così. E so per certo che non gli fa piacere che io entri in casa e mi metta a ringhiare perché la lavastoviglie non è stata caricata, perché la tovaglia non è stata scossa o altre mancanze.
Il fatto è che in ognuno di noi vive un piccolo o grande control freak, che vorrebbe tutto fatto a suo modo e che misura il mondo con il proprio metro.
Sarebbe bello rendersi sempre conto che le persone che amiamo non sono nostri nemici, e che le cose fatte o non fatte contano fino a un certo punto.
Ieri sera la serata sarebbe cominciata molto meglio se, anziché incazzarmi, fossi andata di sopra e avessi abbracciato Luca, dicendogli che eravamo arrivate e avevamo fame. Sarebbe cominciata ancora meglio se lui avesse deciso di mettersi a suonare di sotto, per accoglierci, e si fosse interrotto al nostro ingresso, per salutarci e preparare la cena.
Stasera almeno nessuno di noi avrà modo di sbagliare, perché il nostro tardo pomeriggio sarà un flipper impazzito tra meccanico (ritirare la Tata), supermercato (c'è il pesce in promozione al 10% in meno, oltre al fatto che domani è il compleanno di Amelia e devo comprare le torte per la scuola), biblioteca (ho un sacco di libri da restituire e altrettanti da ritirare), farmacia (ordinaria amministrazione) e preparazione della cena.

Questo post partecipa al blogstorming

giovedì 24 novembre 2011

Ispiriamoci

Questo sabato c'è il secondo incontro di Inspirational Bellydance, il primo dedicato a una festività specifica, Samhain.
So che alcuni storcono il naso a sentir usare i nomi del calendario celtico (io per esempio non lo amo per niente, ma penso che sia più immediato che cercare la definizione latina, che nessuno ricorda, e meno riduttivo che usare termini spicci come "il Giorno dei Morti"). Costoro cerchino di perdonarci e di concentrarsi sul significato della festa e del periodo in generale.
Per il mondo rurale, novembre è un mese di attesa e transizione: finiti i raccolti, finite le semine, non resta altro che curare le bestie e guardare i giorni che si accorciano. È anche il mese dei nuovi inizi: gli stagionali si trasferivano nelle loro nuove cascine nel giorno di San Martino (da noi infatti "fare San Martino" significa traslocare).
Quando si vive in campagna, l'accorciarsi dei giorni diventa quasi fonte di angoscia: si ha sempre meno tempo per muoversi con la luce, viene buio sempre più presto. Comincia a far freddo, ci si deve adattare alle bizze della brutta stagione: la pioggia, la nebbia, le giornate sempre più uggiose.
È normale che quasi tutti i popoli della nostra latitudine associno novembre alla malinconia, e quindi anche a ciò che la può causare al di là del clima: il ricordo dei nostri morti, per esempio. È normale anche che novembre, essendo tradizionalmente un mese di relativa inattività e prosperità, sia associato all'introspezione e al lavoro intellettuale.
Ecco, per noi civilizzati e urbanizzati queste sensazioni sono più superficiali, a metà strada tra il luogo comune e l'abitudine. E non cambia poi molto se si va a vivere in campagna, perché ormai le comodità come riscaldamento ed elettricità ottundono le nostre sensazioni.
Bisogna osservare la natura per rendersene conto, fermarsi un attimo e chiedersi cosa sta provando il cinghiale che ti viene a rovistare nei bidoni o la volpe che gira intorno alle vacche nella speranza di mangiarsi una placenta calda. Io, se fossi in loro, per esempio invidierei quegli animali che a novembre vanno in letargo. Anzi, li invidio a prescindere.
Probabilmente è per sopperire al fatto che noi umani non andiamo in letargo che Samhain viene anche considerato l'ingresso nel tempo del sogno: se non possiamo dormire come orsi, almeno sogniamo, entriamo in contatto con il nostro inconscio e con le nostre ombre, esploriamo ciò che la nostra razionalità non contempla.
Da questo serbatoio attingeremo energie per il lavoro di sabato. Viste le premesse della volta precedente, dedicata a una generica panoramica su stagioni ed elementi, mi aspetto che questa esperienza sia ancora più bella e intensa per tutte e non vedo l'ora di spogliarmi dei miei panni di insegnante per unirmi alle mie compagne nella danza.

lunedì 21 novembre 2011

Credere e conoscere

Spesso, quando sento le storie di altri atei come me, scopro che vengono da una grossa delusione da parte delle istituzioni ecclesiastiche. Invece io ho avuto un parroco meraviglioso, una persona colta e aperta, sempre tesa verso i giovani e le loro esigenze.
Solo che un bel giorno, a 15 anni, ho capito che io non ero fatta per la fede: non riuscivo a credere in una divinità che se ne stesse nell'alto dei cieli a guardare benignamente i suoi figli e che poi ne premiasse o punisse la condotta. Di più: oltre a non riuscire a crederci, ritenevo che la cosa mi fosse indifferente. Nel senso: che ci sia o no una divinità, non ne ho bisogno per la mia vita quotidiana, perché mi comporto in modo etico (e, se non lo faccio, mi sento in difetto) a prescindere da un eventuale premio nell'aldilà (altra cosa in cui non credo).
Queste sono tuttora le mie convinzioni a riguardo.
L'incontro con il paganesimo mi ha convinta però che ci possa essere un modo di nutrire la propria spiritualità in altro modo, senza dover per forza credere. Io non posso credere, è un dono che non ho, ma posso conoscere il sacro dentro di me. Dove per "sacro" intendo tutto ciò che sta al di fuori della mia prepotente razionalità: emozioni, sentimenti, ricordi, impulsi creativi o distruttivi, desideri e paure, intuizioni e premonizioni.
Da sempre credo che dentro di noi ci sia molto di più di quello che razionalmente accettiamo, ma non ho mai saputo come mettermi in contatto con questo qualcosa. Alcuni lo fanno attraverso lo psicologo, ma mi sembra riduttivo e un po' medicalizzato. Altri lo fanno attraverso la fede, ma io appunto non posso. Il paganesimo lo fa attraverso una serie di tecniche (visualizzazioni e rituali) che non conosco ancora interamente e che voglio approfondire.
Lo so che questo può apparire eccentrico a chi non ha gli strumenti per capire. A mia madre, che si accontenta di un generico cristianesimo senza praticare, la mia scelta appare nella migliore delle ipotesi una ricerca filosofica e nella peggiore un gioco di società. Altre persone si chiederanno perché non posso dire una preghierina come tutti e mettermi l'animo in pace. Altre persone invece si chiederanno il contrario: perché non mi leggo qualche trattato di filosofia o psicologia e amen.
Io credo che i motivi per cui ho intrapreso questo percorso siano perfettamente spiegati da Luca Enoch in Gea: un "pesante" apparentemente rozzo e godereccio spiega alla protagonista che ci sono varie vie per conoscere. I pesanti, per esempio, conoscono attraverso l'eccesso, sia alimentare sia comportamentale. Gea, invece, acquisisce la comprensione delle cose attraverso la musica, ricalcando il comportamento degli sciamani.
Io solitamente, quando c'è qualcosa che mi incuriosisce o mi turba, faccio come Hermione: mi rivolgo ai libri, che mi piacciono e mi rassicurano. Eppure mi rendo conto che questo modus operandi, consolidato in tanti anni, non mi basta più: non voglio più conoscere solo attraverso il cervello, voglio conoscere con tutto il mio corpo. Voglio danzare la conoscenza, mimarla per viverla più intensamente, scoprire quali gesti mi colpiscono nel profondo. Il che non significa solo portare nella danza le mie emozioni, ma anche e soprattutto le mie esperienze e i miei ricordi, per non perderli.
Ricordo per esempio che, poco prima di lasciarmi con il mio ex di 14 anni più vecchio, mi ero infatuata di un mio compagno di master. Mi veniva naturale toccargli i capelli o le spalle, c'ero già abituata e quelli erano gesti che mi venivano spontanei. Anni dopo, quando ero stata sola per troppo tempo e quei gesti avrei voluto compierli su un ragazzo che desideravo e con cui avevo una certa confidenza, mi venivano innaturali: avevo perso la familiarità con quel gesto.
Così come avrò perso la familiarità con i gesti che si compiono con i neonati o con quelli legati alla seduzione di una persona del cui interesse non sei ancora certa.
I gesti si dimenticano, e nessun diario riesce a fissarli per noi. La danza invece aiuta a ricordare anche gesti che credevamo dimenticati, e con esse le emozioni a cui sono legati, e parti trascurate della nostra anima.
La danza aiuta anche a immaginare gesti mai compiuti, a reagire a situazioni in cui non ci siamo mai trovati, a vivere vite che magari vogliamo per 5 minuti ma non certo per tutta la vita.
Del resto, Shiva attraverso la danza crea l'universo e lo riequilibra. Io mi accontento del mio piccolo mondo.

martedì 15 novembre 2011

Non tutto oro

Se non è oro tutto ciò che luccica, vale anche il contrario: non è merda tutto ciò che puzza.
Se dico che questa è la premessa della mia recensione di Twilight (il primo libro della saga), credo di aver detto tutto.
Anche se non ero per niente attirata dall'idea di leggerlo, la pressione congiunta di una mia cara e stimatissima amica e della mia competentissima bibliotecaria ha fatto sì che cedessi al fascino assassino di Edduccio e famiglia.
Che dire? Non capisco benissimo il fenomeno mediatico, perché il libro tutto sommato mi pare senza grandi infamie e senza lode. Ma non capisco neanche che il libro in sé sia così odiato. Capisco l'odio per il fenomeno Robert Pattinson & Co, ma il libro è un piacevole svuotacervello con i suoi pregi e i suoi difetti.
Ecco, per i miei gusti sono più interessanti i romanzi di Anita Blake (i primi, almeno), in cui la narrazione ha un ritmo più avventuroso, o gli episodi di True Blood, più crudi e divertenti (e che oltretutto mostrano Aleksander Skarsgard nudo almeno una volta a episodio).
Twilight ha un andamento che fino a 3/4 del libro è quello di un romanzo Young Adult: l'adolescente imbranata e timida che arriva in una nuova scuola e che si innamora ricambiata del più figo della scuola. L'unica differenza è che, in questo caso, il figaccione è un vampiro a dieta: per motivi etici si nutre solo di animali ma ciò gli causa una fame perenne (porello, lo capisco, e lui non ha neanche l'obiettivo di perder chili!).
Ecco, Edward non è 'sto personaggione ma non è neanche il palinculo che si potrebbe immaginare vedendolo interpretato da Robert Pattinson. Oltretutto è anche un vampiro giovincello (almeno, per i miei gusti): ha circa 100 anni e non ha ancora capito che umani e vampiri son due cose proprio diverse (in realtà, mi sa che nella sua "famiglia" questa cosa non l'hanno capita neanche i più vecchi).
Un po' ridicolo è il modo in cui Bella lo vede: per lei è vecchissimo, tutto quello che fanno i vampiri è fighissimo anche quando si tratta di tamarrate super... insomma, mi vien da pensare che se Bella entrasse in casa mia e vedesse i miei libri, sentisse mio marito suonare vari strumenti e scoprisse che io leggo persino il latino, ci prenderebbe per vampiri fighissimi pure noi. Ma ci sta: Bella è un'adolescente della provincia americana (per quanto non ignorante né stupida), mica una liceale classica italiana con la fissa della cultura.
(Parentesi: avevo 16 anni quando vidi Dracula di FF Coppola per la prima volta, 18 quando vidi Intervista col Vampiro. Lestat già allora mi pareva un giovincello arricchito, per dire.)
Poi vabbe', la signora Meyer dovrebbe proprio lasciar perdere le narrazioni avventurose: introduce i cattivi quasi alla fine del libro e risolve la vicenda in modo veramente ultraridicolo. Per questo non ha scuse: son d'accordo che non si potevano introdurre prima, ma si poteva o allungare il libro o finirlo con un cliffhanger.
Però insomma, non è che questa defaillance narrativa renda illeggibile il libro. Ripeto, gradevole svuotacervello, ma non mi sento smaniosa di proseguire con gli altri romanzi (come invece mi è capitato per le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco o per Bartimeus o per Hellboy o per Gea).
Ecco, se dovessi paragonarlo a un altro fenomeno mediatico che invece non mi ha catturata, lo paragonerei alla Trilogia Millennium, di cui ho letto il primo romanzo ma non sento il bisogno impellente di leggere gli altri 2 (né li rifiuterei, se mi trovassi ad averli in mano senza altre priorità).
Con buona pace di chi lo ama alla follia o lo odia totalmente.

mercoledì 9 novembre 2011

Paura

Sto leggendo un libro che, pur con tutte le sue ingenuità e inesattezze, mi sta facendo riflettere su me stessa e sul mio rapporto con gli altri (ma anche sul rapporto che gli altri hanno con me).
Ho alcune cose in comune con la protagonista: anch'io per lungo tempo ho basato tutto il mio valore sulla mia intelligenza, anch'io ero giovane, ambiziosa e razionale, anch'io, pur avendo genitori genericamente cattolici, venivo da un ambiente ben poco mistico e/o spirituale. Anch'io ad un certo punto ho sentito il bisogno di valorizzare qualcosa di più che il mio cervello, ma per me la svolta dei 25 anni è stata l'incontro con la danza.
A differenza di Phyllis, ho cominciato a guardare dentro il mio spirito dopo aver fatto un bel pezzo di strada ed essermi presa le mie belle tranvate in faccia: ci ha pensato la vita a ridimensionarmi, facendomi capire che cosa volevo veramente e che cosa valeva la pena di essere conquistato col sacrificio. Ci ha pensato la vita, nel bene e nel male, a ributtarmi in mezzo alla mia natura animale: tramite il posto in cui vivo, le mie gatte, le mie maternità, le stalle, il bosco.
Mi stupisco sempre di quanto gli americani abbiano perso il proprio legame con la natura: non credo che a nessun europeo, pur residente in una metropoli, possa capitare di conoscerla così poco al punto di idealizzarla come fanno loro (e non penso solo a Phyllis, penso anche e soprattutto a questo libro).
Per me la natura non è mai completamente rassicurante: non esistono luoghi naturali completamente privi di pericoli e/o fastidio. La natura insegna la precarietà, insegna a convivere con le nostre paure e i nostri fastidi. Insegna che la morte e la malattia fanno parte della vita, anche se le temo moltissimo.
Fatto salvo questo punto, questo libro mi ha dato uno spunto importante: mi ha spinta a chiedermi di che cosa ho paura veramente. Ho paura di perdere i miei cari, ma questa è una paura fisica e naturale: non ho paura di perdere il loro amore, ma proprio di perdere le loro persone.
Ed ecco, ho capito di avere paura di me stessa. Delle conseguenze delle mie azioni, soprattutto se compiute sotto l'impulso di pulsioni irrazionali come la rabbia, l'entusiasmo, la pigrizia. Ho paura che i miei difetti caratteriali l'abbiano vinta su tutto ciò che mi rende una persona di valore: l'intelligenza, la creatività, la socievolezza, l'onestà e la schiettezza.
Come sempre, quando gliene ho parlato, ho capito che mio marito lo sapeva già prima di me. Come ho fatto a sposare un uomo così saggio?

lunedì 7 novembre 2011

Consumismo ed equilibrismo

Come sanno anche i sassi, per noi gli anni del nido sono stati economicamente duri. Nonostante lavorassimo full time entrambi, eravamo sempre sul filo del rasoio per evitare di andare in rosso.
Mi si dirà: ma siete sempre andati in giro, agli spettacoli, non vi siete mai fatti mancare niente. Risponderò: per poter continuare a "non far mancare niente" alla nostra vita culturale, ci siamo adattati a fare sacrifici in tutto il resto, tipo menarcela a comprare un paio di pantaloni a più di 10 euro o un giaccone a più di 40 euro.
Da circa un anno, sono libera da quella schiavitù. Avremmo voluto risparmiare di più, ma prima abbiamo preferito spendere quei soldi in più per sistemare quelle spese che rimandavamo da anni e per permettere ai nostri figli qualche possibilità in più.
Nelle ultime 2 settimane, ho fatto qualcosa che solo l'anno scorso mi avrebbe riempita di sensi di colpa: ho speso 200 euro in una borsa (di pelle, artigianale, bella e funzionale) e in un paio di scarpe (di marca e qualità, comode e robuste ma anche belle).
Non sono stati sfizi: mi servivano. Non comprerei più un paio di scarpe solo perché è bello: ormai, quando compro, penso anche al posto che quell'oggetto occupa. Stesso discorso per libri, giochi, utensili.
In questi giorni, mi è capitato di condividere queste riflessioni con due amiche, in rete e di persona. E mi sono resa conto che sì, c'è un aspetto economico nel non volersi riempire di stupidaggini, ma il rifiuto del consumismo ha anche una dimensione spirituale e psicologica. Permette un ordine che nel mio caso non è possibile diversamente e che mi rasserena tantissimo.
Per dire: alla mattina, preferisco sapere di avere 3 magliette tutto sommato equivalenti tra cui scegliere rispetto al dovermi districare in mezzo a mucchi di magliette che "questa non va bene, quella è troppo scollata per il lavoro, quell'altra andrebbe bene se solo avesse tutti i bottoni". Scegliere serenamente tra ordinate pile di magliette mi è possibile se ho abbastanza spazio per disporle e posso avere abbastanza spazio solo se ho poca roba (l'alternativa sarebbe avere un armadio più capiente, ma al momento non è praticabile).
Ieri ho affrontato questo argomento con mio marito, i cui cassetti traboccano di magliette anche lise e bucate e il cui armadio è invaso da camicie che non metterà più. Sorprendentemente, ha accettato di fare un serio lavoro di decluttering (per quanto gli sarà possibile, dal momento che lui ha bisogno di un ricambio di vestiti più consistente del mio), nella prospettiva di alcuni spostamenti di mobili contenitori tra la nostra camera e quella accanto e con il miraggio di accedere a quello che adesso è il "mio" armadio.
Devo dire che questo pensiero mi sta rallegrando il lunedì, come una ventata di aria fresca: due stanze più ariose e funzionali, l'eliminazione di mobili ormai brutti e non più utili, il recupero di un'intera anta d'armadio. Il tutto al costo di una libreria Billy larga mezzo metro (circa 40 euro).
Non chiedo di meglio.

mercoledì 2 novembre 2011

Il ciondolo della nonna

Questo weekend lungo è stato molto bello per tanti motivi, alcuni dei quali si possono dire e altri no ma si possono immaginare.
Ma è stato anche disastroso per un motivo apparentemente insignificante ma decisamente antipatico: lunedì le gatte si sono scatenate a pisciare in giro. Nella ciotola di Monterosso, in bagno, sulla scrivania (e relativa stampante) e, dulcis in fundo, su alcuni libri che Amelia aveva lasciato per terra in camera da letto.
Di quest'ultima cosa mi sono arrabbiata con Amelia, anche perché erano 3 dei miei e suoi libri preferiti: 2 cartonati che hanno patito poco e un libro di Azur e Asmar che ora è ad asciugare sul termosifone del bagno.
Dopo essermi arrabbiata, ho fatto la doccia. E, sotto l'acqua, mi sono resa conto di essere stata ingiusta con lei: è vero che non è bello lasciare i libri per terra, ma non è nemmeno la fine del mondo, e se sono stati pisciati la colpa è delle gatte (anzi, probabilmente in questo caso della Pinta).
Le ho chiesto se mi scusava per essermi arrabbiata e se voleva far pace. E, spinta da un'improvvisa ispirazione data dalla festa dei morti, le ho chiesto se le sarebbe piaciuto mettere un ciondolo della nonna Agnese (una piccola A di ceramica legata in oro giallo, con la sua catenina).
Le ho spiegato che è una cosa preziosa, non un giocattolo come gli altri suoi gioielli, e che si deve mettere sempre a posto dopo averlo usato. Amelia è stata molto emozionata, ha capito che la investivo di una responsabilità, che le davo fiducia e le affidavo un oggetto a cui tengo.
Le ho detto che la nonna Agnese sarebbe stata contenta di conoscerla, se avesse fatto in tempo, e che sicuramente sarebbe stata entusiasta di sapere che lei indossava il suo ciondolo.
Io stessa quella sera ho indossato un cameo che apparteneva alla stessa nonna, uno degli ultimi regali di mio nonno per lei.
E, dentro di me, irrazionalmente, ho sperato che il ciondolo della nonna Agnese potesse dare ad Amelia le qualità e le forze che le mancano, che quella bisnonna dura e cazzuta potesse proteggerla e guidarla.
Lo so che quella bisnonna dura e cazzuta è in decomposizione da 7 anni e che di lei non rimane altro se non i ricordi e i pezzi di DNA che ha lasciato in noi. Ma sperare nella sua protezione impossibile mi ha dato un po' di conforto, perché anche lei ha avuto una bambina che le appariva troppo fragile e anche lei ha dovuto cedere al fatto che non possiamo essere tutte dure e cazzute.
Ecco, lei non è mai arrivata alla conclusione che essere dure e cazzute non è per niente necessario, e ha reagito alla fragilità di mia madre con un'ansia eccessiva.
Ma io sono qui per fare meglio di lei, no? Sono qui per diventare mite e forte come le mucche che ho coccolato ieri, e che hanno dato a me e alla mia famiglia la pace e il buonumore.

giovedì 27 ottobre 2011

Come una mucca

Come ho accennato in qualche post precedente, sto frequentando un gruppo di persone che seguono una filosofia (non la chiamerei religione) neopagana.
Il motivo per cui mi sono avvicinata a loro non è univoco né legato al neopaganesimo: ad un certo punto mi sono trovata a frequentarle per motivi vari, sono saltati fuori discorsi e iniziative a cui ho partecipato. Perché? Perché, più che un gruppo religioso, mi sono sembrate un gruppo di discussione e approfondimento spirituale. E non è che essere atei, come sono io, implichi il rifiuto della spiritualità, anzi.
In particolare, mi attrae il percorso che vorremmo fare, magari con qualche consulenza esterna, sugli aspetti delle divinità femminili antiche. Su come questi aspetti si adattano a noi, su come ci possono completare e darci informazioni su noi stesse.
All'inizio, quando ne abbiamo parlato la prima volta, mi sentivo più attratta dalle dee più evidentemente cazzute: le dee furiose, le dee che hanno compiuto grandi imprese eroiche, quelle che hanno un piglio dispotico che mi si adatterebbe perfettamente (per quanto poi possano avere aspetti complementari di tutt'altro segno).
Riflettendoci, però, ho pensato che è troppo facile: assimilarmi a queste dee non farebbe che rafforzare aspetti che in me ci sono già, nel bene e nel male, senza sviluppare quelli che restano lì, trascurati.
Mi sono fatta un giro in cascina, ho guardato negli occhi le "mie" vacche e ho pensato: quanto sarei più felice se fossi così. Se fossi anche così: mite, umile, amorevole con i miei piccoli e con i miei simili, ma possente e pronta a mettermi tra i miei cari e il pericolo.
Ho quindi letto qualcosa sulla dea Hathor, la dea-vacca dell'Antico Egitto, e ho scoperto che si avvicina molto alle mie aspirazioni.
Questo non significa che d'ora in poi metterò da parte il mio ateismo e venererò una dea che era in voga 3000 anni fa. Significa che avrò un riferimento a cui ispirarmi, per cercare di diventare una donna migliore. Chissà: magari se avessi intrapreso questo cammino anni fa sarei riuscita anche ad avere un rapporto migliore con l'allattamento. Per il momento, mi propongo "soltanto" di scavare dentro me stessa e cambiare: diventare una che ha in sé la forza, ma che non sente il bisogno di manifestarla.
Come una mucca, possente e mansueta.

lunedì 24 ottobre 2011

La vita fa rima con la morte

Confesso che, quando ho letto per la prima volta il titolo di questo libro, non ci sono andata sopra. E sì che conoscevo la leggenda del Golem e il trucco di cancellare una lettera per trasformare la vita in morte.
Questo weekend, più che mai, questa assonanza è stata vera. Si preannunciava un sabato di gioia e danza, in cui avremmo posto la prima tappa di un cammino di crescita. E invece, venerdì, è morto improvvisamente uno dei microgattini dell'amica che condivide con me questo progetto. Per quanto possibile, ho cercato di starle vicina e darle supporto logistico e morale.
Così un sabato è iniziato con un bellissimo incontro di danza, è proseguito con una riflessione su quanto fatto e sul futuro, e si è concluso con la sepoltura di un piccolo essere innocente, che darà nutrimento col suo corpo a un fico e a un mirtillo.
Mi restano alcune sensazioni sparse, e neanche troppo correlate tra loro.
La prima è una sensazione di stordimento per la morte del piccolo Loki. OK, era un gattino. Ma è morto così improvvisamente e inspiegabilmente (probabilmente una malformazione al cervello o un aneurisma o qualcosa del genere). Non è morto "da gatto", investito da un'auto o avvelenato dall'antigelo. È morto in un modo che potrebbe capitare a noi, ai nostri cari, ai miei figli. E questo mi gela più di ogni altro pensiero.
Parallelamente però sento una sorta di indifferenza dentro di me e nella vita intorno a me: OK, è morto un gatto e non si ferma il mondo. Ma non si fermerebbe neanche se morissi io, neanche se morisse un mio bambino. Nel mondo muoiono bambini ad ogni secondo, eppure niente si ferma per piangerli. Per il mondo io conto quanto un gattino di 2 mesi. È un pensiero triste, ma che ridimensiona moltissimo.
Tutte queste sensazioni sono affiorate in me durante l'incontro di Inspirational Bellydance. E si sono presentate non tanto durante la visualizzazione, guidata dalle parole di Giada, quanto durante la successiva rielaborazione sulla musica, durante la danza vera e propria. Un'ondata di calore che non mi aspettavo, e che ha investito in modi diversi tutte le partecipanti.
A smorzare l'emozione ci hanno pensato i miei figli, che hanno voluto assolutamente partecipare alla sepoltura di Loki. I bambini sono pazzeschi: riescono a vivere in modo naturalissimo sensazioni che per noi sarebbero contradditorie. E a conciliare senza problemi la naturale curiosità verso il cadavere di un gattino e la tristezza per la morte dello stesso gattino (Amelia, quando ha saputo della morte di Loki, ha voluto che le facessi vedere la foto in cui lo teneva in braccio, circa un mese e mezzo fa).
Forse sono esagerata a prendere così tanti spunti dalla morte di un gatto. Ma gli sono grata di aver suscitato tutti questi pensieri, e anche dei fichi e dei mirtilli che mangerò l'estate prossima.

lunedì 17 ottobre 2011

Ispirazioni

Quasi 10 anni fa, approdavo alla danza del ventre. O mediorientale, come dicevano le mie maestre di allora, sottolineando il loro snobistico distacco da "quella cosa commerciale".
Più di 5 anni fa, ho conosciuto la mia attuale maestra, che ha spaziato dal tribal classico ATS al tribal fusion, fino a trovare la propria via di espressione del tribal emozionale da lei ideato.
Più modestamente, anch'io ho fatto un percorso simile, staccandomi dall'idea di danza virtuosistica e approdando all'idea di una danza-benessere, una danza espressiva che non poteva prescindere dalla tecnica ma che doveva essere accessibile a tutti.
Ovvio che una danza del genere doveva inseguire l'improvvisazione, l'espressione corporea e l'interpretazione personale. L'anno scorso, con il mio piccolo gruppo di Bereguardo, sono riuscita nell'esperimento di portare le mie allieve a questo livello.
Quest'anno ho alzato la posta.
Ho pensato a un ciclo organico in cui inserire le suggestioni, ho pensato alle profonde connessioni di questa danza con la terra e con il sacro. Ho pensato che nel ciclo delle stagioni c'erano tutti gli elementi fondamentali delle nostre emozioni e del nostro immaginario.
Ho parlato con persone che erano ugualmente interessate alla danza e alla sua sacralità, ho cercato la loro collaborazione.
In breve, è nato un corso mensile di una danza che abbiamo battezzato Inspirational Bellydance e che quest'anno esplorerà i ritmi delle stagioni.
È un esperimento, per noi in primis. Ma, se volete partecipare, si comincia sabato 22.

martedì 11 ottobre 2011

Illuminazioni

Ieri sono tornata a casa un po' più tardi, per recuperare le ore perse nella famosa settimana in cui Ettore non poteva fermarsi nel pomeriggio (perché? chi lo sa!).
Luca doveva andare a una riunione della scuola, quindi ho chiesto a mia madre di stare lei con i bambini per quella mezz'oretta di differenza (e gliel'ho chiesto sapendo che lo gradiva, dal momento che lo scorso weekend non ci siamo visti e il prossimo lei sarà via).
Sono tornata a casa e mi sono messa a cucinare a capofitto, dal momento che volevo fare sia le melanzane alla porcina sia il risotto coi funghi (si vede che siamo stati a Bobbio, eh?).
Mentre cucinavo, le ho chiesto un paio di pareri, cose su cui normalmente mi sarei consultata con Luca o che avrei deciso di azzardare per conto mio. Il tempo di rispondermi, ed è stata di nuovo fagocitata dai bambini.
Mi sono resa conto, come in un'illuminazione, che quello che mi dà fastidio in mia madre è l'opposto di quello che mi dà fastidio in mio suocero.
Mia madre dà sempre la priorità ai bambini: se sta parlando con me di qualcosa che non sia una questione di vita o di morte, si interrompe per dare retta a loro.
Mio suocero invece dà la priorità agli adulti: se si imbarca in un discorso con me o suo figlio, non dà retta ai bambini finché il discorso non è finito (ovvero, di solito, qualche ora dopo).
Ecco, a me farebbe piacere che ci fosse un equilibrio tra questi due estremi. Soprattutto, non sono assolutamente gelosa dei miei figli, anzi, ma mi farebbe piacere che mia madre non mi chiedesse solo di loro, che magari i momenti "solo per noi" fossero di più di 2-3 all'anno. Così come, nel tempo, mi ha fatto piacere che sia cresciuto l'interesse di mio suocero per quello che i miei figli avevano da dire.

venerdì 7 ottobre 2011

La mamma sbagliata

Inutile negarlo: Amelia non è come me. Non lo è nelle cose positive, almeno. Non è brillante, non ha talento con le parole (non parlo di pronuncia, ovviamente: con la mia R...), non ha la mia capacità camaleontica di capire al volo le situazioni/conversazioni e adattarmi.
Ha le qualità di suo padre: è buona e generosa, è socievole e ben poco selettiva, è agile, coordinata e ha un enorme talento per la musica, è creativa ed empatica.
Non è una simpaticona, questo no. Questo è un tratto di Ettore, detto di volta in volta "il ruffiano", "il paraculo" o "lo scaroso", ed è una caratteristica che non sappiamo bene da dove venga: forse da un mio nonno.
Amelia può risultare simpatica, come me o come Luca, ma non è automaticamente simpatica a tutti. Anzi, quando si imbroncia scatena più rabbia che compassione.
Amelia ha un problema: è la prima di casa, mentre avrebbe il carattere per fare la seconda. Lei è la prima ad aprire le porte, dovrebbe avere la testa di un ariete (tra l'altro segno zodiacale di suo padre, primogenito) e invece mi ricorda di più un arciere, che colpisce da lontano ma da vicino è inerme (infatti il suo segno zodiacale è il Sagittario, per chi crede a queste cose).
Il fatto è che noi, essendo lei la primogenita, non possiamo renderci conto di chiederle troppo. E questo la mette in crisi. Ma è anche vero che, per alcune cose, lei è la mia fonte principale e vorrei che imparasse a darmi informazioni senza che io debba mettere mano al diario per cose come "c'è la possibilità al pomeriggio di darti una merenda? c'è qualche bambino che mangia al pomeriggio, prima delle 16.30?" (nello specifico, mi serve per capire se posso darle una minimerenda il giovedì, prima del corso di ginnastica che comincia alle 16.45).
Ieri Luca ed io abbiamo provato a chiederglielo nel modo più semplice e sereno, ma ci siamo arresi: probabilmente Amelia non riesce ancora a capire e ricordare la successione temporale della sua giornata, ha dato risposte contradditorie e confuse. Capendo che ci eravamo arresi, senza essere riusciti ad avere la risposta che ci serviva, Amelia si è messa a piangere.
E mi sarei messa a piangere anch'io, perché nei suoi occhi vedevo il vuoto del tilt, della mente che gira a vuoto per una sciocchezza.
Mi sono resa conto che, anche se cerco di non farglielo pesare perché razionalmente so che non è giusto, le faccio una colpa di non essere come me. Ma non dovrebbe essere lei a sentirsi sbagliata, sono io ad essere la mamma sbagliata per lei.

martedì 4 ottobre 2011

Come in Italia, così in Svezia

Ho letto recentemente un thriller che mi era stato presentato come una specie di trilogia Millennium al femminile: Il Lupo Rosso di Liza Marklund.
A parte la professione dei protagonisti e la presenza di un serial killer, Larsson e la Marklund non hanno nulla in comune.
Per cominciare, Annika, la protagonista del Lupo Rosso, è una persona normale, non una Mary Sue ai cui piedi cadono tutti gli uomini che incontra. E poi, a parte il modo in cui la vedono gli altri (sia suo marito sia il suo capo pensano che sia una specie di paladina che insegue la verità e la giustizia), a me pare semplicemente una che sa fare bene il suo lavoro e che ha un gran talento per i guai, a prescindere dall'andarseli a cercare (ché poi, cosa vuol dire andarseli a cercare, per una cronista?).
Inoltre, questo libro ci allontana mille anni luce dallo spensierato amore libero di Michael Blomqvist: qui ci sono banali matrimoni con persone banali che banalmente tradiscono per motivi banali.
Esempio n. 1: la migliore amica di Annika, Anne, è separata da un uomo (probabilmente turco, ma la cosa non viene assolutamente sottolineata: lui si comporta come l'uomo svedese medio, ovvero come l'italiano medio in questo caso). Hanno una figlia, in affido condiviso. L'uomo si è rifatto una vita con una più giovane e gnocca. Quando la gnocca resta incinta, l'uomo cerca di eliminare la precedente moglie dalla propria vita, puntando alla custodia esclusiva della prima figlia. Per carità, encomiabile: in Italia spesso questo passaggio comporta l'eliminazione dei figli di primo letto dalla nuova vita dei padri.
Esempio n. 2: Annika è sposata con Thomas, hanno 2 figli. Annika qualche mese fa è stata sequestrata da una bombarola e impacchettata con una certa quantità di tritolo. Ha fatto 5 mesi a casa, poi è tornata al lavoro. E il marito cosa fa? La critica. Dice che non c'è bisogno che lei torni al lavoro, che tutto andava così bene quando lei era a casa. E in queste critiche trova la giustificazione per tradirla. Con una single di buona famiglia, raffinata, in carriera politica ma ancora agli esordi. Copione già visto in tutto il mondo, direi. La differenza è che Annika non ci sta a fare la scenata della moglie tradita: passa direttamente al contrattacco, con una distaccata cattiveria che ci fa saltare dall'entusiasmo.
La morale? Boh, è che siamo abituati a vedere la Svezia come la madre di ogni emancipazione, in cui liberamente il governo concede e volentieri gli uomini condividono. Mi sa che invece gli uomini svedesi non sono né più né meno paritari dei nostri, e che quindi le conquiste delle donne svedesi sono possibili anche qui, nell'arretrata Italia. Basta volerle davvero.

giovedì 29 settembre 2011

Funeral blues

Lunedì ho saputo della morte di Sergio Bonelli. Non lo conoscevo, l'avevo intravisto una sola volta, eppure gli devo tanto: le ore di goduria passate a leggere Dampyr, Gea, Greystorm, Demian, Nathan Never, Lilith e tante altre opere di narrativa pubblicate dalla sua casa editrice.
Come lettrice, gli tributo il merito di aver mantenuto sempre altissimi gli standard del mercato italiano.
Come autrice, non avrei neanche osato sperare di lavorare per lui, ma ho sempre avuto come modello i suoi prodotti: popolari nel senso di accessibili, ma senza trascurare la qualità.
Non so altro di lui, se non che molti lo consideravano un innovatore (purtroppo non esiste più il link a un bellissimo post di Paola Barbato), un modello e un amico.
Non per niente, sul sito della casa editrice sono arrivati innumerevoli messaggi di cordoglio, da semplici lettori come me. Gli stessi che stamattina si stanno muovendo per andare al suo funerale.
Cosa che avrei fatto anch'io, se tra poco non avessi un impegno di lavoro non rimandabile.
A loro, ma anche a tutti quelli che passeranno di lì per caso e si chiederanno il motivo di tanta folla, vorrei dire: salutatelo e ringraziatelo anche per me.

lunedì 26 settembre 2011

Scampoli d'estate

Se fossi una brava fotografa o solo un'appassionata di fotografia, avrei già scattato trilioni di foto a questa estate che sembra senza fine, ai miei bambini che ancora giocano in giardino con i pantaloncini e le Crocs, alle mie gatte che ogni giorno si guardano intorno come se non ci credessero. Io stessa non ci credo, mi aspetto ogni giorno di alzarmi e trovare un clima autunnale. E invece, per ora, pare che l'anticiclone reggerà per un'altra settimana.
Certo, se fossimo al mare sarebbe meglio. Sarebbe proprio una figata poter fare il bagno a fine settembre e passare i pomeriggi in spiaggia. Ma accontentiamoci: sono calati gli insetti, i bambini in cortile mi permettono di fare qualcosa di più in casa, magari ci scappa anche un giro in campagna.
Continua comunque quella sensazione di gratitudine che provavo un mese fa, e che tradizionalmente è il sentimento tipico delle feste del raccolto (che si chiamino Mabon o Michaelmas o San Michele). La cosa buffa è che invece per la nostra società l'estate è il tempo più improduttivo: vacanze, relax, il tempo in cui ricaricarsi le pile in vista dell'autunno.
Non so se per me quest'estate sia stata produttiva o no. In ufficio, ho lavorato molto, ma non parlo di questo genere di produttività. A casa, ho letto moltissimo, sognato e preso molti spunti, visto qualcosa di interessante. Ma tutto questo è ancora dentro di me, come se aspettasse l'arrivo del freddo per riversarsi al di fuori. Che lo faccia oppure che aspetti ancora un po', il senso di gratitudine che provo è lo stesso della terra concimata e seminata. Ora aspetto il freddo e il silenzio per far schiudere i semi.

Ah, ieri le foto le ho fatte, ma a tema un po' più autunnale.

mercoledì 21 settembre 2011

Se il buonsenso fa scandalo

Sollecitata da diversi articoli su Elisabeth Badinter, ho deciso di leggere un suo saggio. Ho letto il più recente tra quelli della mia biblioteca, La strada degli errori: un saggio del 2003 che si interroga sulle conseguenze del femminismo.
In verità, non mi è sembrato che la Badinter esprimesse chissà quale originalità di posizione. Nel senso: credo che qualsiasi persona di buonsenso, conoscendo i fatti, possa arrivare alle stesse conclusioni.
Quello che mi è piaciuto di lei è soprattutto questa teoria della somiglianza dei generi, dell'essere tutti esseri umani, tutto sommato con meccanismi simili, e piantiamola con tutta la retorica della superiorità/particolarità dell'essere femmine.
In particolare, Madame Badinter mi conforta in una delle mie teorie più care: noi donne del 2000, partite convinte di aver raggiunto la parità, ci siamo fatte fregare dalla retorica della maternità e del ritorno alla natura. Non parlo (solo) dell'allattamento, che fino a un certo punto è una questione di salute ma da lì in poi è un fatto culturale/affettivo. Parlo soprattutto di un pensiero strisciante che ti fa sentire inadeguata se nei primi 3 anni di vita di tuo figlio non ti dedichi completamente a lui.
A parte il fatto che non so quale Stato permetta un'astensione dal lavoro così lunga, questo è un concetto che ritengo proprio sbagliato. Prima di tutto, perché i genitori sono due e ritengo che mio marito non sia carente in nulla che riguardi la cura dei nostri figli. Secondariamente, perché l'affetto che un bambino riceve non è determinato/limitato dalla genitorialità o dalle relazioni di parentela: trovo bellissimo che ci siano persone che stanno volentieri con i miei bambini e con cui loro sono contenti, indipendentemente dal fatto che talvolta queste persone le pago. In terzo luogo, perché questa comunione esclusiva di amorosi sensi tra madre e figlio è un falso ideologico costruito ad arte. Dubito che la donna delle caverne se ne stesse dentro il nido bella tranquilla fino ai 3 anni dei suoi molti bambini. Immagino che più facilmente se li portasse addosso finché non sapevano camminare e poi o si facesse seguire (insieme alle altre donne) oppure li mollava agli anziani che rimanevano al villaggio. Ancora di più, dubito che la donna delle caverne avesse un suo nido d'amore in cui stare tranquilla: probabilmente la vita dei nostri antenati era ancora più comunitaria delle famose famiglie allargate tanto rimpiante (ma intanto nessuna di noi vivrebbe in casa della suocera).
Inoltre, evitare questo legame esclusivo madre-figlio e ammettere che i padri possono stare sullo stesso piano delle madri porterebbe un sacco di benefici culturali: a parte i progressi burocratici nell'ottenimento della parità, si darebbero picconate indelebili a tutta quella cultura machista che le femministe denunciano.
Io nel mio piccolo vivo tutti i giorni una situazione di interscambiabilità tra me e mio marito. E, a parte gli scherzi, io non mi sento meno donna o meno madre né lui mi sembra offeso nella sua virilità.
Boh, saremo strani noi. Ma decisamente felici.

giovedì 15 settembre 2011

AAA tempo cercasi

Settembre per me non è solo il mese più costoso dell'anno (tra babysitting pre-scuola, corredo per la scuola, iscrizioni ai corsi miei e altrui, bollette e assicurazioni... sì, settembre andrebbe cancellato dal calendario finanziario).
È anche una specie di capodanno, soprattutto da quando ho di nuovo a che fare con i ritmi dell'anno scolastico/accademico.
E, si sa, col nuovo anno fervono i buoni propositi, che di solito uno non riesce a mantenere. Io invece quest'anno sono piena di "cattivi" propositi, quelli che mi ruberanno tempo e mi costringeranno a incastrarmi come un pezzo di Tetris sovrappeso.
Prima di tutto, ho deciso di rivolgermi a una professionista seria per intraprendere una dieta. Ero stata scottata dalla persona a cui mi ero rivolta 3 anni fa (e che comunque ha un buon numero di estimatori, ma non fa proprio per me una che parte dal presupposto che io menta). Ora, grazie alle buone "recensioni" di un paio di persone molto diverse tra loro, mi sono rivolta a una dietista che mi sembra contemporaneamente più umana e più professionale. I chili da perdere sono 8, vedremo come sarà il percorso.
Dopo un'estate passata a lavorare sulle programmazioni didattiche (non ancora finite, ahimé) e a leggere libri di altri, vorrei riuscire a rielaborare le mie cose, Viola in particolare, in modo che la storia sia più convincente, secondo le indicazioni di gente che ne sa.
Vorrei riprendere il corso mensile con la mia maestra di danza, che mi manca assai.
Vorrei riuscire a compiere un percorso ambizioso, teso a fondere la danza con la spiritualità. Ma so anche che il compito sarà più facile, perché avrò un valido sostegno in questo percorso.
Vorrei che mia figlia si trovasse bene al corso propedeutico alla ginnastica ritmica, perché secondo me questo percorso può aiutarla a esprimere il suo talento innato.
Vorrei anche, però, continuare a leggere quanto leggevo quest'estate, perché finché c'è la biblioteca va sfruttata al massimo.
Vorrei però anche riuscire a finire la quarta stagione di True Blood (niente anticipazioni, please, so già che c'è un finale col botto ma vorrei arrivarci io) e darmi un'occhiata intorno, vedere le nuove produzioni.
E poi vorrei riuscire a vedere i miei cognati (tutti), ad andare a Bobbio a prendere l'acqua termale, a tornare al mare una volta prima che venga brutto.
Poi ci sono i desideri che sconfinano nell'impossibilità: quelli che nello stesso weekend vorrebbero sovrapporre attività contemporanee in posti diversi. Ma per quelli mi sa che non c'è speranza.

giovedì 8 settembre 2011

Cattivi o buoni maestri?

Per me la doccia del mattino è foriera di profonde meditazioni. Per esempio, stamattina pensavo a Mimì Ayuhara (qui nella traduzione di Pianobi, se non erro, e se erro dimmelo!). Pensavo anche a un aneddoto che ci aveva raccontato Marina D'Amato durante un seminario sulla produzione audiovisiva per bambini: una mattina si era svegliata sentendo sua figlia che si esercitava a pallavolo, le aveva chiesto perché avesse cominciato così presto e la bambina aveva risposto "Mi alleno per il duro lavoro". Frase tipica di Mimì, che si allenava con le catene ai polsi per rinforzarli (e mi chiedo che cosa ne penserebbe un ortopedico).
Ora, penso che tutta la mia generazione sia cresciuta a massiccie dosi di cartoni animati giapponesi. Tutti (o quasi) infarciti di valori ripicamente giapponesi: il senso del dovere, il rispetto per i superiori, il sacrificio di sé, la tensione verso l'eccellenza e verso il raggiungimento dei risultati, eccetera.
Valori che, se non portati all'estremo, sarebbero molto utili a questa società italiana dove la colpa non è mai di nessuno, dove a compiere il proprio dovere si sembra scemi, dove trionfa il furbo.
Di questi milioni di bambini cresciuti a pane e anime, quanti sembrano aver interiorizzato i valori veicolati dai cartoni animati? A me ben pochi, se non nessuno.
Ora ribaltiamo la situazione sui nostri figli. Siamo molto preoccupati di quello che guardano in TV, dei modelli sessisti di certi programmi, della frivolezza delle Winx o del Mondo di Patty. Ma davvero pensiamo che il modello dei cartoni animati sia così importante? Davvero pensiamo che le proporzioni di una Winx determineranno l'atteggiamento delle nostre figlie nei confronti del proprio corpo? Io penso che, come nel caso degli anime, il messaggio delle Winx o di Ben Ten saranno mediati se non annullati dall'esempio che verrà dato in casa.
E penso (spero) che tra 20-30 anni Amelia penserà alle Winx e trarrà le stesse conclusioni che io ho tratto riguardo Mimì e Goldrake.

martedì 6 settembre 2011

Il rispetto si guadagna

Ieri c'è stata la riunione della nuova scuola di Ettore. C'è andato Luca, perché io avevo un impegno di lavoro e non avrei fatto in tempo (avevo anche un mal di testa fotonico, ma questo non potevo prevederlo quando abbiamo deciso).
Io sono a favore della scuola pubblica, non fosse altro che perché non mi posso permettere quella privata e perché spesso la scuola privata è anche confessionale (niente di male in sé, solo che io sono atea).
Sono talmente a favore della scuola pubblica che, oltre a lavorarci dentro (non ho mai capito la netta distinzione tra scuola e università), collaboro con il network La Scuola Che Funziona (quando ho un po' di respiro, ovviamente), sono iscritta al gruppo FB "Io amo la scuola pubblica" e, naturalmente, mando i miei figli in una scuola pubblica.
Ci sono però situazioni in cui alla scuola pubblica (anzi, a una in particolare) appiccherei il fuoco. Per esempio, quando mi si dice che i bambini di 3 anni devono fare l'orario fino alle 13 per due settimane dall'inizio della scuola, "per inserirsi meglio", anche se mio figlio ha già frequentato la scuola l'anno scorso come anticipatario.
Per esempio, quando gli orari della materna e delle elementari non sono studiati in modo da essere compatibili, cosa che mi costringerà a iscrivere Ettore al post scuola e pregare che lo possano mettere sullo stesso pulmino con cui esce Amelia. Per mezz'ora di differenza.
Per esempio, quando in una riunione organizzata per spiegare ai genitori come funziona il tutto non si è in grado di dare informazioni riguardo i buoni pasti, il post scuola e il pulmino. E si rimandano i genitori a chiedere informazioni al Comune, lavandosene le mani come se fossero cose che non interessano la scuola.
Ecco, questa è la cosa che mi fa più imbestialire, perché non è per mancanza di soldi che si fanno queste cose: è per scarso rispetto nei confronti dei genitori e per atavica incapacità di organizzare.
Se sai che il giorno X ci sarà la riunione con i genitori, che cosa ti costa fare una chiamata in Comune e chiedere le informazioni logistiche che potrebbero servire ai genitori? Ancora meglio, non potresti invitare qualcuno del Comune alla riunione?
E non ti puoi immaginare che i genitori con bambini sia alla materna sia alle elementari sarebbero più comodi se entrambi entrassero e uscissero alla stessa ora?
Se avessi riscontrato queste mancanze ovunque, potrei pensare che esiste un misterioso motivo legislativo/burocratico per cui non è proprio possibile fare così.
Invece nella scuola che i miei figli hanno frequentato fino a pochi mesi fa era tutto diverso: alla riunione di inizio anno si davano TUTTE le informazioni possibili, gli orari erano studiati in sincronia con le elementari.
Certo, non era una scuola perfetta: i primi due anni Amelia ha avuto maestre orrende (soprattutto in confronto a quelle dell'ultimo anno) e gli inserimenti alla materna erano ancora più assurdi, perché fatti a scaglioni (vi basti che Amelia è entrata alla materna il 25 settembre, 9 giorni dopo l'inizio della scuola, e il suo inserimento si è protratto fino tipo al 6 ottobre). Però era fatta in modo che, riempita delle persone giuste, potesse diventare quasi perfetta.
Questa invece è una scuola concepita per casalinghe e/o famiglie aiutate dai nonni. Niente di male, ma non tutte siamo casalinghe e non tutti i nonni sono in pensione e/o disponibili. E la scuola materna, più di quella dell'obbligo, dovrebbe essere un servizio sociale più che educativo.
Per carità, chineremo il crapone come tutti quelli che non possono permettersi di fare altrimenti. Ma la scuola ha perso un'altra occasione per farsi amare.

mercoledì 31 agosto 2011

Il sesso perché no?

È nato Letti gemelli, il blog in cui Giuliana (già conosciuta come Mamma in corriera) e Maurice (che non conoscevo ma finché si vive s'impara) parlano di sesso. Non sapete come mi fa piacere.
Il fatto è che a me il sesso piace, parecchio. Purtroppo spesso si è troppo stanchi o ci sono i figli che non si addormentano o rischiano di fare irruzione (mica detto che venga voglia solo di sera, anzi) o semplicemente i pensieri sono troppi.
Ma il motivo per cui non ne parlo non è questo. È che non mi è mai sembrato giusto parlare di cose che sono non solo mie, l'ho sempre vista così.
Eppure, negli ultimi tempi, la mia prospettiva è un po' cambiata. In parte, perché ho avuto il tempo e il modo di esercitare qualcosa di più che il semplice sesso di sussistenza (dicesi "di sussistenza" quel sesso che fai non quando ti prende una fantasia ma quando proprio stai per scoppiare dalla voglia e ti chiuderesti con il tuo uomo anche nel sottoscala pur di dar sfogo alle tue/vostre pulsioni animali). E in parte perché sì, è vero che il sesso si fa in due, ma è anche vero che ci sono modi per parlarne senza infrangere il segreto matrimoniale.
Per esempio, recentemente mi è capitato un aneddoto divertente. Sono ospite di un'amica insieme alla mia famiglia. In bagno, non c'è il sapone sul lavandino, quindi lo prendo dalla doccia. Quando glielo dico, lei (credendo che avessi preso un altro sapone, più in alto) mi dice: attenta a usare quel sapone. Perché? Perché è un sapone che ho preso a San Valentino per caso e senza crederci, e invece mi son dovuta ricredere: usalo solo se hai intenzione di. Peccato che Ettore dormisse tra noi e quindi ogni intenzione di è sfumata.
Tempo dopo, per una serie di motivi di tutt'altro genere, mi capita di entrare in un negozio Lush e, tra lo shampoo solido per Luca e l'henné per me, infilo prodotti con nomi come Famolo, Sesso e volentieri, Somma goduria. Senza crederci troppo, perché ho un marito tetragono e non troppo incline alle frivolezze (per esempio, Giuliana, sono quasi sicura che, ad essere onesta, la signora Annamaria dovrebbe consigliarmi un profumo e nient'altro: i completini li ho sempre comprati per me, lui li ignora).
E invece, prendendo il tutto molto sul ridere e divertendoci per gli imprevisti (es. la gelatina animata di volontà propria, che sembra uscita da Mostri vs Alieni), abbiamo passato dei bei momenti (per così dire).
Tuttavia, mi rendo conto che siamo ancora in una fase pionieristica: quasi come se da un lato stessimo (ri)scoprendo che il sesso non è necessario farlo in silenzio per non svegliare i figli, ma dall'altro ci sentissimo un po' ridicoli a fare cose che ci sembrano per coppie più giovani e/o più libere di noi.
Beh, dal momento che ci sentiamo un po' ridicoli, ci ridiamo su. E però quelle cose le facciamo lo stesso.

PS: Giuliana, ti butto lì uno spunto: il sesso all'aperto. Una cosa da ggiovani, appunto.

lunedì 29 agosto 2011

Cosa resterà

Non degli anni '80 (di cui purtroppo è rimasto più di quanto pensasse Raf ai tempi) ma di un agosto di vacanza come non ne facevo da tempo.
Quest'anno sono rimasta a casa meno tempo degli ultimi 3 anni: "solo" 4 settimane. Ma proprio questo è l'esempio del fatto che non è la quantità che conta, ma la qualità.
Due anni fa ero consumata dall'infelicità per il mio lavoro e l'ambiente in cui lo svolgevo. L'anno scorso ero riuscita a spuntarla contro un capetto prepotente (e la prospettiva di averci di nuovo a che fare a settembre non mi sorrideva), oltre al fatto che l'ufficio personale si era inventato una rivoluzione inesistente per trovare posto a un'amica loro e quindi ero stata richiamata a fare colloqui per un'eventuale trasferimento, di cui né io né il mio superiore sentivamo il desiderio.
Quest'anno ho avuto un luglio faticoso e intenso, quindi la prima settimana di agosto, a casa, l'ho dedicata proprio al relax e al disbrigo delle piccole faccende tipo banca e posta.
Colti da un'improvvisa illuminazione, Luca ed io abbiamo deciso di anticipare la partenza e passare a Bobbio un paio di giorni prima di scendere a Levanto. Siamo stati nel nostro agriturismo preferito, dove ormai ci sentiamo più amici che ospiti, e abbiamo passato un paio di giorni sul fiume. Poi ci siamo piazzati nel "nostro" appartamento di Levanto, dove ci hanno raggiunti i miei cognati più giovani, di ritorno da un giro in Toscana.
Durante il mese ho letto tantissimo (mi sono fatta prendere dalle Cronache del ghiaccio e del fuoco di Martin, ma anche dall'ultimo della Vargas, dal ciclo dell'assassino di Robin Hobb, da 3 romanzi di Amelia Peabody e altri), sognato tantissimo (se per tutti funziona come per me, Levanto è il luogo ideale per gli sceneggiatori/scrittori/creativi), visto cose vecchie e nuove (per esempio, non ero mai stata a Porto Venere e a Sarzana, che meritano tantissimo), nuotato in un mare limpido come non l'ho mai visto, camminato su un sentiero delle Cinque Terre (da Levanto a Monterosso, ma consiglio vivamente di percorrerlo da Monterosso a Levanto), fatto un po' di shopping. Sono stata bene con mio marito e i miei bambini, ma anche con i miei cognati che si sono fermati fin troppo poco. Sono stata molto grata ai miei genitori, che si sono fermati un paio di notti e ci hanno permesso di uscire da soli in un posto che di solito viviamo come famiglia.
Sì, la gratitudine è il sentimento prevalente se penso a questo mese. Gratitudine per un tempo splendido, con un mare limpidissimo nonostante il fondo sabbioso. Gratitudine perché tutto è filato liscio, sia dal punto di vista logistico (non un ritardo dei treni, non un ingorgo) sia nei rapporti umani. Gratitudine perché siamo stati tutti bene.
Oggi ho ricominciato, con la testa un po' sollevata perché i bambini saranno con i nonni di Torino tutta la settimana e io mi sento un po' stordita a passare dalla vicinanza 24/24 7/7 all'assenza totale. La settimana prossima, ci saranno le riunioni per le nuove scuole dei bambini. Devo comprare i libri per Amelia che va in prima elementare.
Altrove racconterò la mia preoccupazione per questa scuola che comincia, ma per ora mi tengo strette le sensazioni e i ricordi più belli.

mercoledì 3 agosto 2011

Italia - Resto del Mondo

Recentemente, ho fatto degli acquisti online. Sì, OK, io faccio spesso acquisti online, ma alla fine li faccio sui soliti siti: Amazon (o similari) e eBay.
Stili diversi, ovviamente: da Amazon ricevo pacchi sempre con la stessa puntualità e accuratezza, col brand ben in evidenza, mentre su eBay dipende dall'accuratezza del venditore del momento.
I miei ultimi acquisti online sono stati cosmetici: due da Zoeva, due da Theallnaturalface e due da Madina. Come nelle barzellette: un tedesco, un americano e un italiano.
Zoeva è una casa cosmetica a tutti gli effetti, un brand conosciuto che viene venduto anche per vie convenzionali. I pacchi che mi sono arrivati a casa erano accurati ed eleganti, con cartoni marchiati Zoeva e una regolare ricevuta del mio pagamento.
Theallnaturalface è una ditta artigianale, quasi come un qualsiasi negozio eBay. Mi sono arrivati pacchetti anonimi ma accuratamente imballati, contenenti (oltre agli oggetti ordinati) anche un bigliettino con qualche parola di ringraziamento, un buono sconto e un campione di un prodotto. Grazie a uno di questi campioni, ho scoperto un deodorante eccezionale e ne ho ordinate 3 confezioni.
Madina è stata tutt'altra cosa. Già capire cosa ordinare è stato arduo, perché sul sito i codici dei rossetti non corrispondono ai nomi/codici che si trovano sui fondi delle confezioni. Sicché, se desideri ordinare il rossetto Purple Orchid, puoi solo basarti sui colori a video (e pregare). Dopodiché, l'ordine ti arriva per raccomandata anziché per corriere. In una busta anonima, ogni volta diversa, scritta a mano come se evadessero 10 ordini all'anno (magari è così). L'imballaggio è minimo: un sacchetto di plastica con pinzato lo scontrino (e osano pure farti pagare 3 euro per la spedizione di 2 matite e un rossetto). Apri, e scopri che una delle matite non è quella giusta: tu avevi ordinato la 17 e ti è arrivata la 08. Pazienza, piuttosto che fare un casino per una matita da neanche 2 euro fai un altro ordine. Stavolta la matita ti arriva giusta, sempre in quell'imballaggio del cavolo. Dopo 10 giorni dal tuo secondo ordine, ti arriva un'altra raccomandata, con un'altra matita 08 e una 04 (entrambe già ricevute). Tu non hai mai fatto quell'ordine. Controlli sull'estratto conto della Postepay e vedi che questo terzo invio non l'hai pagato, né hai intenzione di farlo. Non hai neanche intenzione di restituirlo, perchè francamente non mi sbatto a perdere mezz'ora in posta per restituire 2 matite da 3,80 euro in tutto che non ho neanche ordinato e che ho già.
Non sto neanche a trarre conclusioni. Ma che tristezza: resto del mondo batte Italia 2-0.

lunedì 25 luglio 2011

Energie sprecate

Tutto questo parlare di buone prassi femminili, unito ad alcune situazioni di vita vissuta e alla famosa replica del direttore di Vanity Fair, mi ha fatto venire in mente un vecchio post di Flavia (ora trovo questo, ma la discussione partiva da molto prima).
In cui, se non ricordo male, Flavia diceva qualcosa tipo che le donne devono imparare che l'aggressività non è qualcosa da censurare.
Io penso di poter affermare che in realtà le donne non si sono mai censurate quanto ad aggressività. Solo che la esercitano nella guerra fra poveri, nel continuo accapigliarsi da cortile. E hanno un'idea distorta della competitività.
Vi dico solo che, guardandomi intorno, io credo di essere stata educata come un maschio: non ho manie di perfezione, non ambisco alla palma di magnifica donna di casa, non misuro la mia figaggine in quantità di metri quadri che riesco a tenere puliti e ordinati. Epperò la vita mi ha insegnato anche che la mia autostima non può neppure dipendere da quanto guadagno o da quanto è prestigioso il mio lavoro o da quanti riconoscimenti ottengo sul lavoro: l'unica cosa da cui deve dipendere parte della mia autostima è il fatto che io svolga bene il lavoro che mi è stato assegnato, secondo la mia coscienza e non per avere il plauso di chi mi considera poco più che bassa manovalanza.
Non sono competitiva probabilmente per natura (si chiama pigrizia), ma anche perché da piccola/adolescente non ho mai avuto con chi competere a scuola: prendevo ottimi voti senza sforzo, mentre le altre prendevano voti solo occasionalmente migliori dei miei ma facendosi un culo così. A che pro umiliarle? Ma soprattutto, a che pro farmi anch'io il culo, quando già abbastanza spesso prendevo il massimo dei voti senza farmelo?
Poi, per carità, quando sono andata al master e ho trovato tanta gente più intelligente e preparata e brillante di me, avrei potuto avere un tracollo. Invece ancora devo dire grazie all'educazione che mi è stata data, perché, insistendo sull'umiltà, mia madre mi ha insegnato anche che da chi è meglio di noi possiamo solo imparare.
Infatti, a differenza di molte, io amo circondarmi di persone migliori di me: la mia vita sarebbe ben noiosa se io fossi la stella più luminosa del mio firmamento.
Ci sono invece persone che non riescono ad apprezzare la luce se non quella emessa da loro stesse: devono per forza essere al top del podio. E fanno la guerra a chiunque voglia brillare qualche metro più in là.
Le donne impiegano un sacco di energie in questo tipo di guerre, quando invece potrebbero impiegarle in battaglie ben più fruttuose.
Da un lato, è affascinante osservarle mentre mettono in campo tutte le loro abilità per screditare l'avversaria: attaccano l'aspetto fisico dell'altra, la mettono in cattiva luce partendo da dettagli (spesso abilmente travisati), usano la comunicazione in modi raffinati. Io donne così le metterei nei comitati elettorali dei politici, per loro gli equilibri tipo "The Good Wife" sono roba da scuole elementari.
Dall'altro, mi spiego perché, nonostante anni di lotte, restiamo sempre nella parte più bassa della scala (qualsiasi scala): lottiamo solo in duelli che siamo ragionevolmente sicure di poter vincere, siamo buone solo per le risse da osteria o da cortile. Non partiamo lancia in resta contro i draghi, in nome di grandi ideali. Ci indignamo se una non stira le tende, non se un ente di governo calpesta i nostri diritti o se un collega ottiene un riconoscimento che andava a noi. Siamo complici della nostra inferiorità, spesso intimamente convinte di essa.
Ecco, io ho ricevuto un'educazione diversa. Per me una casa pulita è una necessità (troppo spesso non soddisfatta) invece che un vanto. Io discendo da donne che hanno sopportato il doppio solo per il fatto di essere donne, ma traggo forza dalle tribolazioni del mio sesso, mi danno la consapevolezza di poter fare tutto: mi fanno sentire superiore, non inferiore. Io sono sempre partita a combattere i draghi, finché non ho avuto abbastanza buonsenso da capire che è meglio cercare di addomesticarli.

giovedì 21 luglio 2011

Donne per le donne

Dico la verità: dopo il primo momento di curiosità, questo celebrare le buone pratiche delle donne per le donne mi pareva il solito parlarsi/piangersi addosso. Perché hai voglia a parlare di solidarietà femminile, ma poi nella pratica la solidarietà ti arriva (quando arriva) indipendentemente dal sesso.
Raramente ho frequentato ambienti femminili in cui non si finisse per lavarsi il culo a vicenda. Quando tutto va bene, come nel mio ufficio, la lavata di culo si limita al piccolo sfogo fisiologico. Quando invece ci si mettono di mezzo difficoltà, licenziamenti e mobilità, le critiche diventano mirate: guarda quella che l'hanno tolta da quel reparto appena prima che venisse liquidato, chi si scopa quella, di chi è figlia quell'altra.
Nel mio piccolo, sono arrivata a sentirmi dare della privilegiata in un periodo in cui ero precaria e le dipendenti a tempo indeterminato della società consorella erano in cassa integrazione. Noi donne siamo bravissime a fare la guerra tra poveri.
Insomma, sul lavoro non ho grandi esempi di buone pratiche, se non quelle nate spontaneamente dall'amicizia tra colleghi (esiste, giuro).
Penso però al mio gruppo di danza, con cui ieri abbiamo fatto l'ultima lezione dell'anno. Penso al gruppo sparuto e disomogeneo che erano all'inizio: una rappresentante per ogni decade 20-30-40-50. Mamme e non, con esperienza e non, in forma e non.
Penso ai nostri inizi, a quanto si rompevano le balle a imparare la tecnica. Mi hanno costretta a cambiare direzione, a dar loro il gusto di ballare senza insistere perché imparassero subito tutti i passi "canonici".
Abbiamo intrapreso un percorso verso qualcosa di diverso dalla maggioranza dei corsi di danza del ventre: ho cercato di insegnare loro a divertirsi, a esprimersi, a essere a loro agio dentro la musica.
Ieri, più ancora che agli spettacoli, ne ho avuto la conferma: abbiamo fatto da capo a fine, in circa un'ora, un percorso che solo 6 mesi fa avrebbe richiesto più lezioni. L'abbiamo fatto sotto lo sguardo di una persona esterna ma amica, la cui reazione e la cui difficoltà nell'inserirsi nell'esercizio mi hanno confermato che abbiamo fatto tanta strada nella direzione giusta.
E la buona pratica in che cosa sta? Non sono così tutti i corsi di danza? No.
La buona pratica sta nell'aver preso 4 persone che non si conoscevano e averle portate a non vergognarsi tra loro né dei propri sentimenti né del proprio aspetto fisico né delle proprie capacità espressive. La buona pratica sta nel fatto di averle rese un gruppo che lavora in modo solidale, per il risultato del pezzo e non per il risalto della singola.
Certo, è solo danza, solo un passatempo. Così come gli sport sono solo sport, eppure poi ci troviamo allenatori che scrivono libri sul team building e sul raggiungimento di obiettivi.
Certo, queste sono solo 4 donne. Ma che donne.

martedì 19 luglio 2011

Inseguire la passione

Non sono una grande fan delle passioni, soprattutto in campo amoroso: preferisco amare intensamente ma con la sensazione di rimanere sempre me stessa, di non tralasciare quello che ero e amavo prima di incontrare quell'uomo.
Quindi mio marito lo amo molto, lo desidero molto, ci sto benissimo insieme e cerco di fare il maggior numero di cose insieme a lui, mi confido, ci rido, ci spettegolo, mi sfogo. E lui fa altrettanto con me.
Ma, se dovessi definire il mio sentimento per Luca, non userei il termine "passione" nemmeno per i primi tempi. Amore sì, innamoramento sì, ma "passione" per me ha troppo la connotazione del patire, dell'annullarsi, del dimenticarsi.
Per lo stesso motivo, non direi che provo passione per i miei figli. Li amo con tutta me stessa e, come ho già detto, la loro esistenza mi rende ricattabile a tutti i livelli. Ma con loro vado ancora più cauta che con mio marito: loro se ne andranno tra non moltissimi anni, come è giustissimo che sia, e io rimarrò qui con me stessa (e, spero, con Luca). Non posso dimenticare chi sono e cosa voglio a causa dei figli. Posso sospendere alcune esigenze, come ho fatto quando erano piccolissimi, ma non per un tempo superiore a pochi anni.
Per mia fortuna, ciò che sono e voglio comincia a coincidere col mio lavoro. Sto elaborando il fatto di essere "solo una segretaria" con laurea e master e mi rendo conto che ci tengo a questo lavoro, mi piace avere a che fare con i compiti trattati dal mio ufficio. Anche se non è tutto rose e fiori.
Fortuna? Buonsenso? Spirito di sopravvivenza? Non lo so.
So però che ciò che sono non si esaurisce nel mio lavoro né nella mia famiglia. Sarò megalomane, ma ciò che sono comprende anche tante altre cose: la danza (a cui "sacrificherò" tutte le sere della prossima settimana), la lettura (a cui spero di dedicarmi presto, ci sono un sacco di libri che mi aspettano in biblioteca), la musica (questo weekend ho fatto circa 700 km per andare a un concerto in cui i miei figli si sono addormentati alla quarta canzone nonostante gli piacesse).
E la scrittura. Viola, gli altri miei progetti, il blog. Scrivo da quando avevo 7 anni. Sotto un certo aspetto, non mi importa se scrivo bene o male (o meglio, mi importa ma non è il motivo per cui scrivo). Non mi è neppure mai importato di essere pubblicata, fino a quando non ho concepito Viola (e, se fossi stata in grado di disegnarla io, non mi sarebbe importato neppure in questo caso).
Tempo fa scrivevo di notte, dopo aver lavorato magari 14 ore al giorno. Ero single ed ero forte.
Oggi scrivo mentre i miei figli giocano o guardano un cartone o mentre mio marito prepara la cena. Non solo: parlo di quello che voglio scrivere, magari con un'amica mentre i nostri figli sguazzano nella piscina davanti a noi e noi ci scambiamo idee per i rispettivi progetti narrativi.
Per documentarmi, leggo saggi mentre mio marito legge una favola ai miei figli o insegna loro come travasare una pianta.
Il tempo per quello che amo mi sembra tempo rubato a quelli che amo. Ma perché dovrei sentirmi così? Perché non mi sento così quando cucino? Perché non mi sentirei così se stessi cucendo un vestito per Amelia?
Io non ci credo che una che nel 2011 si mette a cucire un vestitino lo fa per risparmiare: potrebbe andare al mercato e con 3 euro hai voglia comprare vestitini. Una che si mette a cucire un vestitino lo fa perché le piace, perché quello è il complemento di sé che le occorre.
Il mio complemento è la scrittura. I miei figli, ripensando a me, mi ricorderanno mentre danzo o leggo o scrivo (o cucino, cosa che pure mi piace fare), non mentre pulisco il bagno. Ai miei figli trasmetterò questo come piacere e altre cose invece le trasmetterò come necessità, non pensiate che abbiamo la colf o la cuoca o che in posta ci vada un mio avatar.
Ma non voglio che la mia vita appaia loro come 100% necessità: sarebbe un insulto ai nostri antenati, che, pur avendo vite molto più faticose delle nostre, riuscivano ugualmente a ritagliarsi un brevissimo momento per essere qualcosa di più che bestie da lavoro.
Io oggi posso permettermi di lavorare 7 ore al giorno, badare alla casa mettiamo un'ora al giorno, ascoltare le esigenze dei miei figli. Ma poi ci sono io.
Non si tratta di inseguire la passione. Si tratta di inseguire se stessi.

giovedì 7 luglio 2011

Niente sensi di colpa, please

Immaginiamo, come fa Wonder, uno scenario di genitore assente.
Immaginiamo che quel genitore sia io, e che abbia vinto il dottorato a Genova. Immaginiamo che il dottorato mi impegni fuori casa più di quanto avevo previsto e che io assecondi la mia passione, portando i bambini a scuola per le 7.30 e tornando con il treno delle otto di sera.
Non è una vita figa fatta di viaggi (a meno che di non considerare "viaggio" la vita del pendolare), non otterrei avanzamenti di carriera, non lo farei per i soldi. Lo farei per passione, esattamente come sono andata alle fiere di Lucca, Mantova, Torino, Milano.
Vedrei i miei figli molto meno, la gestione della casa sarebbe affidata a Luca, ma farei per 3 anni qualcosa che mi appassiona totalmente.
Avrei sensi di colpa? Forse verso Luca, che si troverebbe catapultato da una situazione di collaborazione ad avere il totale peso, senza una contropartita economica. Ma non verso i miei figli. Mi dispiacerebbe vederli di meno, così come mi dispiace vedere di meno mia madre o le mie amiche più lontane. Così come soffrirei ad avere meno tempo da passare con mio marito. Ma sensi di colpa no: magari soffriranno della mia mancanza come io soffro della loro, ma non mi considero insostituibile. Già adesso mi sostituiscono volentieri con i nonni, con gli educatori carinissimi del centro estivo, con gli amichetti e con il papà.
Non sarebbe una vita rose e fiori: sarebbe faticosa. Ma, se la scegliessi, se potessi e volessi sceglierla, una volta presa la decisione me ne andrei senza remore. Avrei dei ripensamenti se il mio nuovo lavoro non valesse la pena di tanti sacrifici, ma non per la mia nostalgia di casa. Come posso insegnare ai miei figli a volare, se poi io per prima non oso neanche aprire le ali?
Il dolore e la rinuncia sono la controparte del coraggio e della scelta. Non sono colpa di qualcuno, sono inevitabili. Bisogna accettarli e sopportarli quando arrivano, non farsene una colpa.

martedì 5 luglio 2011

The X Factor

Come ho detto varie volte in giro per la rete, negli ultimi 2 mesi mi sono dedicata a leggere una serie di libri che mi sono stati consigliati dalla mia bibliotecaria: il ciclo di Bartimeus.
Ora, se siete di quelli che un libro non è degno di essere letto se non è intellettuale, passate avanti e toglietemi la vostra stima. Evitate per favore di regalarmi saggi o romanzi perché io mi acculturi: ho una certa dimestichezza con la lettura, e mi sembra che essermi appena riletta Le Troiane di Euripide sia figo abbastanza.
Detto questo, ho amato questi libri per gli stessi innumerevoli motivi per cui ho amato Harry Potter.
Prima di tutto sono scritti bene (anche se non altrettanto bene tradotti). E già questo basterebbe.
Secondariamente, sono divertenti ma non sciocchi. Sono libri scritti per ragazzi dagli 11-12 anni, l'età giusta per trattare temi importanti come l'uguaglianza, la differenza tra protezione e censura, la differenza tra governare e gestire il potere, l'importanza di capire il punto di vista dell'altro. Insomma, mica bruscolini: quel genere di argomento che ogni genitore si ritrova a trattare con un po' di disagio, per la sua complessità.
Ma la vera ragione per cui amo questi romanzi è la presenza di Bartimeus: un personaggio divertente e irriverente, con un'etica apparentemente opposta alla nostra, istrione e grillo parlante.
Bartimeus è un personaggio che spacca, anche più di Harry Potter, anche più di Dumbledore/Silente.
Probabilmente è stato in qualche maniera ispirato o influenzato da Dobby, ma, benché i maghi siano presenti anche in questi romanzi, non c'è alcuna sudditanza verso i romanzi della Rowling. Il mondo immaginato da Stroud è completamente diverso, un mondo parallelo rispetto al nostro in cui i maghi si arrogano il diritto di governare i "comuni" solo per il fatto di sapere come si evocano gli spiriti (che loro chiamano demoni).
Nel mondo di Bartimeus, gli umani sono generalmente incolori o meschini, con qualche guizzo di personalità. Gli spiriti, invece, sono personaggi indimenticabili.
Non solo Bartimeus, che amo e che chiunque di noi vorrebbe come interlocutore almeno una volta nella vita. Ci sono personaggi favolosi come Faquarl (un djinn coetaneo di Bartimeus, che ama prendere le sembianze di cuoco), Jabor (un personaggio sanguinario ed esilarante), l'afrit pazzo Honorius (che sgambetta sui tetti di Londra in forma di scheletro con una maschera funeraria), lo Spirito dell'Anello Uraziel.
Ci sono scene che potrei rileggere all'infinito e sempre mi farebbero ridere. Ci sono scene che mi danno un legittimo godimento così profondo che è come se fosse un mio personale nemico ad aver fatto quella fine. Ci sono dialoghi che ormai io e mio marito citiamo nel nostro lessico famigliare ("o Essere Miracoloso", "o Asso").
C'è però un risvolto negativo. A parte il fatto che Bartimeus genera dipendenza, intendo.
Il risvolto negativo, per me, è che prima di incontrare Bartimeus mi stavo accingendo a scrivere una storia su un djinn. Una storia moooolto diversa per trama, personaggi e ambientazioni. Ma che, nel tono, avrebbe voluto essere simile: leggera, ironica, divertente ma non comica.
E, accidenti, adesso ho due problemi. Prima di tutto mi devo disintossicare da Bartimeus, perché ora tutto quello che mi vien da scrivere (fosse anche la lista della spesa) è nel suo stile. Secondariamente, sono annichilita dalla grandezza di questo personaggio, dal modo in cui ha catturato sia me sia tutte le persone che hanno letto questi libri, e il confronto mi schiaccia.
Bartimeus è uno di quei personaggi magici, con un qualcosa in più che li rende indimenticabili.
Io vorrei che i miei personaggi lo fossero altrettanto ma in modo ovviamente diverso: devo trovare la mia formula magica.
Soprattutto perché ho fatto una promessa a Luca: il mio personaggio lo prenderà quanto l'ha preso Bartimeus, lo amerà e gli dispiacerà finire le sue storie.
Ohi, quanto sarà difficile e bello tenere fede a questa promessa!

lunedì 4 luglio 2011

Riflessione sdolcinata

I miei sono tornati dopo aver passato un mese al mare. Si sono tenuti i bambini là per una settimana (anche se io avrei apprezzato che li tenessero per un tempo più lungo) perché comunque la vacanza doveva essere per riposarsi e loro, quando ci sono i miei figli, non hanno ancora imparato a non esaudirli in tutto.
Ieri ci hanno tenuto i bambini per tutto il giorno, e noi abbiamo potuto dedicarci a noi stessi (il che, stranamente, non ha coinciso solo con il chiudersi in camera da letto, ma ci siamo anche fatti un giro al mercato e in un vivaio). Siamo stati bene, come diamo spesso per scontato.
Poi oggi torna dalle ferie una mia collega, che sperava di farsi una settimana di mare con la figlia adolescente e invece si è dovuta "accontentare" di un weekend lungo con il marito, perché la quattordicenne ormai trova disdicevole sprecare il proprio tempo con mammà anziché con le amiche. E anche la mia collega mi ha detto: siamo stati bene, tanto quando siamo io e lui va bene tutto.
Ecco, forse né io né la mia collega facciamo bene a dare per scontato che da sole con il proprio marito si stia bene. Ci sono tante donne (e mia mamma è stata di queste, e talvolta lo è ancora) che con il proprio marito, anche in vacanza, non stanno bene. Non perché non si sia innamorati o che, ma perché si è troppo diversi, troppo chiusi, troppo rigidi nelle proprie parti. O magari perché si fraintende il senso dello stare insieme e si pretende di fare tutto proprio tutto insieme.
Ieri, io e Luca siamo andati al mercato e abbiamo visto banchi che interessavano più a me e banchi più interessanti per lui. Siamo andati da Viridea per comprare degli attacchi per l'irrigazione e la coloreria per me (mi sono decisa a tingere e accorciare l'abito da sposa). A casa, ci siamo dedicati lui alla lettura (finalmente ha finito la trilogia di Bartimeus) e io a varie altre cose come marcare i costumi e i teli dei figli per il centro estivo in piscina, tingere e lavare l'abito da sposa, sistemare l'archivio mp3 e infine leggere anch'io.
Poi io mi sono messa a preparare la cena e lui è andato a prendere i bambini dai miei. E ieri sera ci siamo addormentati vicini e stanchi, ma contenti.

martedì 28 giugno 2011

Distanza di sicurezza

Questo weekend è stato all'insegna delle amicizie e delle preferenze di noi come singoli e non come coppia.
Io sabato pomeriggio sono stata al mio corso di trucco, poi ho fatto una piccola esibizione in piazza con le mie ragazze (e qui Luca mi ha raggiunta per fare la parte di percussioni) e infine sono andata da sola a Milano per lo spettacolo / saggio di corso di teatro della mia maestra di danza, che ha scoperto una passione per la recitazione. Luca invece è rimasto in piazza e ha suonato per le improvvisazioni delle mie ragazze e di altre danzatrici, mentre i bambini si facevano coccolare dalle mie amiche.
Domenica poi io avevo un impegno nel pomeriggio, già fissato da settimane. Allora Luca ha colto la palla al balzo per andare a trovare suo fratello, insieme ai bambini: era una bella giornata e si era dato appuntamento anche con un cugino/amico. Io ho fatto quello che dovevo, con le mie amiche, e poi siamo andate allo spettacolo di fine anno di Metiss'Art, la scuola dove insegna la mia maestra di danza.
È stata una bella serata, anche se siamo tornate tardissimo. E anche per Luca e i bambini è stato bello passare una giornata esattamente come la volevano.
Il buffo è che in macchina, andando allo spettacolo, si parlava del fatto che alcune coppie non si separano mai, neanche per una serata o un pomeriggio. E io questa cosa la capisco e non la capisco.
Capisco che il tempo libero è poco e che ti fa piacere passarlo con la persona che ami. Capisco anche che i soldi sono pochi e che, se devo fare una vacanza, la faccio con tutta la mia famiglia.
Però capisco anche che ci sono cose che sono solo mie, e a cui Luca parteciperebbe solo per farmi piacere. Per esempio, a Lucca Comics sono stata ben contenta di essere con una persona appassionata di fumetti, che poteva guidarmi e che sapeva come muoversi. Oppure al convegno di Autunnonero: il secondo giorno Luca è venuto con me, ma giusto perché è una persona curiosa che non si nega niente, non ci sguazzava come me e l'altra ragazza che era con noi.
Per me è la stessa cosa con le manifestazioni di bonsai: spesso ci vado perché, per carità, sono pur sempre cose belle e c'è sempre qualche spunto interessante dalle attività collaterali (conferenze sulla cultura giapponese, laboratori di origami o simili, ecc.), ma se potessi sceglierei altro.
Se qualcuno mi invitasse al mare in un weekend in cui Luca deve lavorare, probabilmente andrei. Se qualcuno gli offrisse un'occasione a cui io non posso partecipare, lo inciterei ad andare. Anche perché, quando si torna, i figli per qualche ora smettono di essere anche un peso e diventano solo gioia. I lavori domestici restano sempre lì, ma intanto ti sei ricaricata/o. Per un breve periodo, rompi con il circolo vizioso di sempre e puoi dare il meglio di te.