giovedì 24 febbraio 2011

Una donna forte

Ho passato la vita ad essere forte.
Venivo da una famiglia di donne forti: mia nonna vedova nel dopoguerra, mia madre che lavora(va) e neanche un cane che l'aiutasse (niente colf, niente part time, niente piatti pronti da sua madre). Sono stata cresciuta così, senza neanche un dubbio sulla mia forza: era un dato di fatto, si deve essere forti.
Corredato da scherno e allusioni nei confronti di quelle che forti non erano o non si mostravano: le moglie che lasciavano fare ai mariti, quelle che si erano sposate per "sistemarsi", quelle che chiudevano gli occhi pur di non restare sole. E, a scuola, il dito di mia madre era puntato contro quelle che i genitori lasciavano a casa per non farle interrogare o per evitare il tal compito in classe, o quelle che con la scusa dell'"essere disorientate" o "dover maturare" perdevano un anno o che.
L'unica debolezza che mi era permessa era quella fisica: il mio sistema immunitario non è mai stato il massimo, mi son sempre ammalata spesso. Di solito nei momenti cruciali: la prima gita, gli esami di terza media, l'occasione tal dei tali. E le vacanze, che culo.
Per il resto, per me essere donna non ha mai coinciso con l'essere il sesso debole, anzi. Mia madre e mia nonna mi hanno inculcato la convinzione che per essere donna ci vogliono le palle: lavori il doppio, fai i lavori più ingrati e c'è sempre qualcuno che ha da ridire.
Ecco perché mia madre scoppiò a piangere quando vide che ero femmina, mica per altro. Non che avesse torto.
Però io, come lei e mia nonna, sono caduta molto facilmente in due trappole.
La prima è il non manifestare i propri sentimenti, "come un vero uomo". L'unica persona adulta con cui mi permetto gesti quotidiani di affetto è mio marito. Per il resto, non sono abituata né a baciare né ad abbracciare i miei, tantomeno mio nonno: se ci proviamo, lo sentiamo come una forzatura. Non sono abituata ad abbracciare le mie amiche, le bacio sulle guance per gentilezza ma non mi viene l'impulso. E poi ci si stupisce che una si sente invasa da gravidanza e allattamento.
L'altra trappola è lo stoicismo un po' celodurista. Del tipo che, così come ti sei sentita una mezzasega ad avere paura di certe situazioni e ad avvertire la fatica di altre, se un'altra donna ti esprime le sue difficoltà dentro di te pensi "che mezza sega". A meno che le difficoltà non siano proprio grosse e oggettive. Anche se razionalmente sei aperta e ben disposta, anche se razionalmente non ci trovi niente di male ad essere in difficoltà e dirlo, dentro di te una vocina prende i toni del sergente di Full Metal Jacket. Non è un'aspirazione alla perfezione, bensì alla durezza: diventare abbastanza tosta da non farsi abbattere da nulla. Bella illusione.
Oltre a queste magagne, essere considerata "forte" ne genera un'altra: gli altri, col fatto che tu sei "quella forte", prendono sempre e non offrono mai.
Per carità, non tutto il male viene per nuocere: impari a chiedere aiuto se ti serve. Ma lo puoi fare solo con chi ti è abbastanza vicino, mentre tutto il resto del mondo ti vede bella corazzata e non si sogna neanche lontanamente di darti una mano. Anzi: dai, sei forte, superi anche questa difficoltà. Ma vaffanculo, va': magari sono forte, magari ce la faccio, ma se qualcuno mi toglie qualche peso dalle spalle non mi fa schifo. Se quel qualcuno poi me lo toglie anche spontaneamente son proprio contenta.

Dedicato a mio marito, che quando torna sulla Terra si accorge dei miei pesi e me ne toglie qualcuno. Senza far cadere tutti gli altri.

7 commenti:

  1. Mamma mia quanto mi sono riconosciuta nel tuo post! Nell'educazione ricevuta, e nel modo in cui affronto la vita oggi...il mio fidanzato dice che ho l'"imperativo categorico" scritto dentro, e infatti quanto tempo ho impiegato a "lasciar entrare" almeno lui e a riuscire ad appoggiarmi a lui, almeno un poco ogni tanto! Una persona saggia un po' di tempo fa mi ha ricordato che è segno di forza saper chiedere aiuto, eppure com'è difficile! Grazie di aver raccontato così bene un'esperienza che sento di condividere!

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  2. anche io sono partita da un'educazione molto, molto simile, dove però l'idea di durezza era estesa a uomini, donne, grandi e bambini in virtù di quella che un mio amico ha definito "orgoglio sabaudo", che fa abbastanza ridere però credo che tu abbia idea di cosa intendesse...
    però crescendo ho cambiato rotta. riesco ad abbracciare i miei amici anche senza forzature e soino un po' più open minded sulle paturnie altrui
    ancora non riesco ad abbracciare i miei genitori. a vederci da fuori sembra triste, ma io so che fa parte del loro modo di volermi bene.
    chiaramente la presenza di un marito piuttosto acuto aiuta a mettere le cose in prospettiva...
    ciao!

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  3. @dendrite: benvenuta, hai tutta la mia comprensione!
    @elle: io nei confronti delle paturnie altrui sono ben più tollerante di mia madre. Ma, quando sono stanca o scoglionata o frustrata, mi accorgo che l'impulso sarebbe di riprendere quello schema mentale da accademia militare. Non a caso, quando sono stanca e/o scontenta davanti a una certa situazione (es. torno a casa e nessuno ha messo a posto la cucina), la cosa che mi viene più naturale è abbaiare ordini. Non è piacevole trasformarsi a tradimento in un caporale.

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  4. Questo post potrei averlo scritto io, quella a cui tutti dicono "vabbè tanto tu sei forte" e che proprio per questo si carica di tutto e tutti...come vorrei poter essere apertamente debole ogni tanto, soprattutto nella mai famiglia dove l'imperativo tacito é essere forti sempre e comunque (che ok va bene ma ci rende anche stupidamente mussoliniani nel modo di vivere la vita come se fosse una lotta continua)!!

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  5. Se avessi scritto io questo post, ci avrei messo la parola "brava" al posto di "forte".
    Io ho passato la vita a essere brava (cosa che non ti rende per niente forte, anzi).
    Era un dato di fatto, si deve essere bravi. Niente vizi, niente errori consapevoli, niente cose che fanno male, nessuna indulgenza per gli sgarri.
    Di fronte a un'educazione così, le scelte sono due. O ti ribelli di brutto, o coltivi un senso del dovere esagerato e finisci schiava del cercare di piacere a tutti e accontentare tutti, spesso a scapito di te stessa. Io ho scelto la seconda, per fortuna in alcuni casi (esagerando nella ribellione sarei potuta finir male) ma purtroppo in molti altri (far contenti tutti è un lavoraccio frustrante).
    Proprio ieri mia mamma mi riportava una conversazione telefonica con la consuocera, dicendo che avevano parlato del più e del meno e di quanto siamo dei "bravi ragazzi". Ecco, ho avuto la tentazione di sbatterle giù il telefono e andare a proporre a G di divorziare apposta, solo per far loro un dispetto :-D

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  6. un po'mi consolate. anche io faccio fatica ad abbracciare e baciare i miei genitori (ma non certo i miei adorati figlioletti). mia madre ormai settantenne ci soffre, ma non è che questa difficoltà me la sia inventata da sola. mio padre poi non è capace di fare auguri, telefonare, chiedere come va, consolare, nè sostanzialmente stare insieme a noi solo per il gusto di stare.

    visto da fuori è molto molto triste, è vero che è un modo di voler bene, però è triste lo stesso.

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  7. @acasadiclara: il fatto è che mio papà invece ci terrebbe a queste cose, è stato educato diversamente. E però si trova ad avere a che fare con questa linea di donne dure e fredde.
    @pianobi: ecco, questa cosa ce l'avrebbe forse la famiglia di mio marito, mentre nella mia l'affetto si esprime con la critica: credo che l'ultima volta che mia madre mi ha fatto un complimento in realtà non volesse farmelo. Per dire.
    @danielaB: la cosa che mi fa più paura è che mia figlia non è fatta di questa pasta, e solo ora mi rendo conto che dentro di me gliene faccio un tacito rimprovero. Anche se mi rendo conto che non mi piace essere così e che lei ha tutto il diritto di essere ciò che è.

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