sabato 3 ottobre 2009

L'abito non fa la monaca

Ho un rapporto altalenante con la moda: senza essere mai stata modaiola all'estremo, ho avuto periodi in cui l'ho seguita e altri in cui mi sono proprio estraniata.
Da ragazzina, ero in un giro che sì, si vestiva con cose appropriate al proprio tempo, ma niente del tipo "devo assolutamente avere quel modello di scarpe di quella marca". A quei tempi (sembra un'altra era e forse lo è) Benetton, Stefanel e Sisley erano marche ancora abbastanza popolari: si prendevano uno o due maglioni a stagione, uno o due paia di pantaloni / jeans e un paio di scarpe "da tutti i giorni" ogni due anni. In estate magari qualcosa di più.
Dopo essere stata vestita al mercato per tutta la mia infanzia, rifiutavo ogni cosa che venisse da una bancarella, perché mi sembrava "da sfigata".
Verso la fine del liceo - inizio dell'università, la presenza degli stockisti e dei mercati più belli (quello di Pavia è la morte civile) mi ha un po' sdoganato la roba da bancarella, ma senza cambiare sostanzalmente lo stile: anonimo, noioso, persino da "vecchia". Del resto, stavo con uno più vecchio di me di 14 anni, non dimentichiamolo.
Rotto il fidanzamento, ho cominciato la mia allegra vita da single: un'uscita diversa ogni sera, tanti locali fighetti, e di giorno un lavoro che spesso mi portava a contatto con i clienti. Ero anche parecchio dimagrita grazie alla danza, ero proprio in forma. Quindi mi compravo con piacere (sempre in saldo o in stock) abiti anche un po' elegantini, scarpe con tacchi oggi improponibili, borsette di rappresentanza.
La mia metamorfosi è cominciata quando mi sono accorta che le calze di nylon mi davano troppo fastidio: ho cominciato a mettere gonne lunghe, ma sempre abbinandole a qualcosa di classico. Poi sono andata a lavorare in un ambiente molto rilassato, dove i clienti non si vedevano mai. Infine, il colpo di grazia me l'ha dato una caduta con storta (verificatasi il giorno prima di conoscere Luca) che mi ha obbligata alle scarpe basse per mesi.
Certo, quando sono venuta ad abitare in cascina, ogni tanto ho cercato di rimettere i tacchetti di prima, ma sai che bello affondare nella terra col tacco a spillo? Tanto più che, nel mio ambiente di lavoro, prevaleva uno stile informale e le scale si sprecavano.
La prima gravidanza ha scatenato definitivamente il mio gusto per l'etnico: mi sono comprata vestitoni, caftani (uno turco, bellissimo, durante il viaggio di nozze), camicioni (due coloratissime casacche indiane degli anni '70, alla fiera di Sinigaglia), abiti a vita alta (che mi sono sempre piaciuti).
Dopo la nascita di Amelia, a poco a poco, mi sono sempre più spostata sui pantaloni (soprattutto in inverno), per ragioni pratiche: non potevo permettermi di inciampare nella gonna con la bambina in braccio. In quell'epoca, cominciava la moda milanese di mettersi i vestitini sopra i pantaloni o i jeans, e io l'ho adottata. Mi piace tuttora: ai miei occhi, è un'evoluzione del concetto di caftano, che ti permette di "far durare di più" gli abiti estivi.
Oggi, complici le catene di abbigliamento low cost, il mio abbigliamento tipico è pantaloni o jeans, abitino o maglietta lunga sopra e scarpe basse (ballerine o scarpe da ginnastica o polacchine). Non metto più calze di nylon e nessuna gonna che non sia lunga fino ai piedi, con sotto i calzettoni.
In questo periodo, in cui sto facendo colloqui per il lavoro e sto cercando di incontrare professionisti nel settore dell'editoria per Viola, mi chiedo spesso che cosa può pensare la gente di me, vedendomi vestita così. Mi chiedo se percepiscono sciatteria (ma spero di no, perché gli accostamenti di colore sono fatti sempre con cura e i gioielli che metto, pur etnici, non sono mai banali) oppure rilassatezza. Mi chiedo se saranno portati a sottovalutarmi, a vedere in me solo una madre ingrassata che ormai non sopporta abiti stretti.
Da un lato, non mi dispiace essere sottovalutata: mi permette di stupire, quando apro bocca. Chi non mi conosce non si aspetta che questa donnina rotondetta, che si veste H&M e Decathlon, abbia una cultura così vasta e idee ben chiare su ciò che vuole fare. Molti pensano che chi è rampante dentro lo debba essere anche fuori, ed è un grandissimo sbaglio (non solo nel mio caso).
Dall'altro lato, essere sottovalutata è un rischio: spesso l'interlocutore si appiattisce sul giudizio che ha dato a prima vista, superficialmente, e non ti permette di convincerlo del contrario, perché non approfondisce neanche un minimo. Penso di aver perso almeno un'occasione di lavoro per non essermi presentata in tailleur (ma comunque elegante, mica in tuta!). Ma penso anche che una ditta che ti giudica sulla base di una giacca non messa non meriti neanche tutta questa attenzione.

7 commenti:

  1. "Molti pensano che chi è rampante dentro lo debba essere anche fuori, ed è un grandissimo sbaglio (non solo nel mio caso)": condivido in pieno e non solo in ambiente di lavoro. Non sai quante volte mi sono sentita dire, solo perché non sono mai stata figona o modaiola a oltranza anzi ho sempre avuto un aspetto molto semplice, "prima di conoscerti pensavo fossi scema". Bontà loro, dopo hanno cambiato idea. Pochi giorni fa io e Max siamo andati a buttare un occhio in un negozio di divani che volevano darsi molto tono, ma costavano meno perché venivano da esposizioni. Ci siamo andati abbigliati com'è nel nostro stile: pantaloni di cotone, maglietta e sandali. Poco mancava che ci cacciassero a calci perché meno di cinque minuti non avevamo ancora deciso se comprare e ripeto che si trattava di articoli da migliaia di euro e sui quali pare plausibile meditare, anche se naturalmente ci erano state mostrate le cose più economiche cioè sgualfe. Abbiamo capito che era appunto il posto per rampanti di fuori, che magari per essere tali si indebitano fino al collo e arrivati a metà del cammin di loro rate non scuciono più un soldo perché i rubinetti si chiudono, mentre noi, benché di aspetto pezzente per i loro canoni, paghiamo in contanti.
    Un ultimo commento di nuovo di argomento lavorativo: giustamente tu dici "penso anche che una ditta che ti giudica sulla base di una giacca non messa non meriti neanche tutta questa attenzione"; io però se facessi selezione del personale e Dio non voglia mi succeda mai, avrei qualche dubbio di fronte a persone di ambo i sessi talmente prone ai dettami della moda da risultare quasi in maschera: sarò una razzista alla rovescia o una snob sotto mentite spoglie, ma non mi pare indizio di grande personalità...
    Ciao :-)
    Giuliana

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  2. Io ho fatto alcune piccole selezioni nel periodo in cui lavoravo per la ditta di mio padre. Secondo me, bisogna un po' distinguere tra chi "si mette in maschera" per insicurezza (tipo chi è al primo lavoro o è molto giovane e quindi teme di non essere considerato) e chi invece ci crede, a quella maschera. E poi ovviamente ci sono anche le persone che mettono il tailleur perché ci si trovano bene: anche a me piacciono esteticamente e li metterei, se non li trovassi atrocemente scomodi. Ma io sono anche la stessa rompiballe che non sopporta più le calze di nylon che tutte le donne di tutto il mondo mettono, quindi non faccio testo ;-)

    Un aneddoto: una mia amica entra in un negozio figo di Voghera nel periodo dei saldi. Indossa jeans e camicia (conoscendola, di sicuro belli ed eleganti, anche se non firmati ovunque). Le commesse la ignorano ostentatamente e lei esce senza neanche salutare, per non tornarci mai più. Oggi lei ha un reddito decisamente medio-alto e nessuna voglia di spendere i suoi soldi in un posto dove è stata trattata da pezzente.

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  3. Sicuro, il distinguo fondamentale è quello: capire se il candidato/a tra tre anni starà un po' più comodo nei suoi stessi panni o se si ostinerà a indossare quelli che altri gli/le hanno imposto...anch'io sono arrivata a qualche colloquio giovanile allestita come ora come non farei neppure a Carnevale, ma era un classico caso di identità, dove sei???
    Le calze di nylon non le sopporto più nemmeno io, se ti consola. Né praticamente nessuna delle mie amiche che praticano tutte chi più chi meno il mio non-stile quanto ad abbigliamento.
    Ciao
    Giuliana

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  4. Interessante questa lettura fatta alla fine di una giornata in cui io mi sono quasi messa a piangere per il mio primo giro dentro ad un negozio dopo il parto. L'abito non fa la monaca, ma nel mio caso la mia pancia rende necessario adeguare l'abbigliamento rendendolo molto più monacale di quello che era prima. No, non è una questione morale, ma di forme: con quelle che mi ritrovo adesso (che chiamerei piuttosto "sforme") un SAIO è l'unica cosa in cui riuscirei ad entrare. Infatti oggi non ho comprato nulla.
    :_(

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  5. Io ringrazio sempre il fatto di lavorare a casa, così posso starmene vestita comoda. E risparmiare parecchi euro in shopping. Se da un giorno all'altro dovessi andare a lavorare in un ufficio, mi sa proprio che dovrei rifarmi il guardaroba.
    Anch'io non sopporto i collant, porto le gonne quasi esclusivamente d'estate e ho due paia di autoreggenti "d'emergenza" per matrimoni e affini (autoreggenti non per il fattore sexy, ma perché tirano meno e sono più comode per andare in bagno^^). Stessa cosa per un paio di scarpe e uno di sandali con tacco minimo sindacale, riservati alle cerimonie (previo allenamento avanti e indietro nel corridoio, per ricordarmi come si fa a stare in piedi).
    Comunque, per quel che ho potuto vedere finora, il mondo dell'editoria del fumetto non mi sembra particolarmente rigido sull'abbigliamento, anzi. Sceneggiatrici in tailleur seriosi, alle fiere, non se n'è mai viste ;-)

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  6. @pianoB: emmenomale, lo sapevo che era l'ambiente per me! ;-) Cmq rinfrancati: nel giro di 3-4 anni i matrimoni finiscono e tu ti puoi dimenticare la tortura dei tacchi :-)))))

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  7. @ondaluna: beh, è ancora presto, datti tempo! Ci vuole circa un anno per tornare al peso di prima. E poi si può anche fare come me, che l'anno scorso, dopo la dieta (non ferrea, anzi), ho svaccato e ora sul mio peso c'è il segreto di Stato.

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