lunedì 12 aprile 2010

Solidale con chi?

Tempo fa, mi è capitato di arrivare per vie traverse su un blog di una ragazza italiana che si è trasferita con il marito in Israele e là hanno avuto il loro primo figlio. L'ho contattata via mail e, giocoforza grazie al lavoro di mio marito, siamo finite a parlare di kasherut. È un argomento vastissimo e affascinante, ne parlerei all'infinito per tutte le sue implicazioni antropologiche, storiche, sociali, biologiche e nutrizionali.
In particolare, mi hanno colpito due aspetti della kasherut.
Prima di tutto, lo spirito con cui mi è stato spiegato il senso della kasherut: una forma di disciplina e di rispetto verso il proprio corpo e verso le risorse della natura, di cui non dobbiamo disporre a nostro piacimento e senza criterio.
Secondariamente, ho scoperto che un aspetto importante della kasherut è che il cibo sia stato prodotto nel rispetto delle regole del mondo del lavoro, senza sfruttare nessuno e pagando i dovuti stipendi + contributi.
In quest'epoca che sembra aver scoperto l'equo e solidale, gli ebrei alzano la manina e dicono: ma veramente noi ci avevamo già pensato da un po', e non solo per i Paesi poveri.
Già, perché noi il concetto di equo e solidale lo applichiamo a due ambiti: il Terzo Mondo e i fornitori dei gruppi d'acquisto solidali. Come se i cattivi fossero solo le multinazionali e le regole dei mercati generali.
Capita invece che il settore agricolo, insieme a quello dell'edilizia, sia quello dove il lavoro in nero e il mancato rispetto delle norme di sicurezza sono più diffusi. Oltre al lavoro sommerso vero e proprio, ci sono produttori che stipulano falsi contratti di lavoro occasionale e falsi contratti di apprendistato, per poi integrare in nero. Non parliamo poi del lavoro straordinario, che solo in rari casi (e in questo devo rendere onore ai nostri feudatari) viene dichiarato in busta paga.
Il fatto di essere aziende bio non fa nessuna differenza: nessuna certificazione garantisce il rispetto delle regole per quanto riguarda i lavoratori.
È vero che, almeno nel pubblico, l'esigenza oggi viene più sentita: le PA sono tenute a richiedere alle aziende fornitrici un certificato (chiamato DURC) in cui le aziende dichiarano di essere in regola con il pagamento dei contributi ai dipendenti.
Non mi risulta però che i gruppi d'acquisto o i distributori di prodotti bio chiedano garanzie di questo genere. In più (mi baso sulla mia esperienza di gruppo d'acquisto, risalente ormai al 2005-2006) mi risulta che la maggior parte dei fornitori dei GAS non emetta fattura o documenti equivalenti a fronte degli acquisti fatti, nemmeno quando sono ingenti o continuativi.
Probabilmente, forti della loro buona volontà e del pregiudizio positivo nei confronti del produttore, i gruppi d'acquisto pensano che basti conoscersi di persona e andare a visitare le aziende per evitare malintenzionati e non si pongono il problema di evadere le tasse.
Niente di più sbagliato: molti produttori vedono nei gruppi d'acquisto l'opportunità di bypassare i controlli di mercato e di applicare un margine impensabile nel mercato convenzionale. Non dico che siano tutti così, per carità, credo anzi che ci siano parecchi produttori che credono in un'economia alternativa e in un mondo di solidarietà reciproca. Ma ce ne sono anche molti altri che sono solidali solo col proprio portafogli, e che vedono i GAS come un'opportunità di smaltire i prodotti rifiutati dal mercato (anche solo perché fuori pezzatura o in esubero) e di guadagnare di più e con più sicurezza.
Ricordo per esempio un nostro fornitore di ortaggi: forniva una cassetta a peso e prezzo fisso, ma di cui non si poteva scegliere il contenuto. E c'erano periodi in cui ti ritrovavi 5 chili di insalata ogni settimana. Se cercavi di chiedere maggiore equilibrio, cercava di impietosirti con la storia del tipo "sono un povero ortolano dell'Oltrepò, qui non viene nient'altro, se mi metto anche ad accontentare le richieste di ognuno ci smeno...". Noi ci siamo stufati e ci siamo tirati fuori dal gruppo d'acquisto, ma mi risulta che molti siano andati avanti per anni ad essere clienti fissi di questo fornitore, che avrebbe avuto a questo punto anche la sicurezza economica per migliorare il meccanismo, ma non aveva nessun interesse a farlo.
Con questo, non voglio demonizzare i produttori né presentare i gruppi d'acquisto come degli allocchi. Voglio solo riflettere sul fatto che siamo molto svelti a stigmatizzare la multinazionale di turno (magari sulla base di un sentito dire che non tiene conto dell'effettiva realtà di un Paese - o magari con piena ragione, perché no?), ma non ci soffermiamo a valutare con occhio più critico la realtà che ci sta intorno. Bio ci sembra garanzia di un mondo meraviglioso e ideale, ma purtroppo nessun organo certificatore tiene conto di qualcosa che non sia la mera tecnica di coltivazione.
Pensiamo alle condizioni in cui vivono i raccoglitori di pomodori, pensiamo a Rosarno. Crediamo che invece i raccoglitori di pomodori bio vivano in ville con l'aria condizionata?
Pensiamo al costo della manodopera nei Paesi poveri. Sapete che in certi posti costa meno pagare le mondine che dare i diserbanti? È possibile che, se compriamo delle banane o del riso bio (ma non equi e solidali) dal Terzo Mondo, siano stati coltivati sfruttando in questo modo la popolazione locale. O magari non sfruttandola, perché un salario che a noi sembra miserrimo là è garanzia di sopravvivenza.
Credo però che sia ora di pretendere di più dai produttori, prendendo spunto dalla kasherut ebraica: non basta che coltiviate senza far male alla terra, voglio che coltiviate senza far male alle persone. Altrimenti vado a comprare dalla prima multinazionale che passa, che almeno non vanta aspirazioni di santità.

24 commenti:

  1. Interessante. Mi trovi profondamente d'accordo, a partire dal guizzo sulla kasherut.

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  2. bhè bhè bhè.....il concetto commercio equo vs multinazionali (e basta) mi sembra un po' datato o frutto di un'analisi parziale. O almeno: è così che a me l'hanno introdotto 15 anni fa ai gruppi parrocchiali, ma ora che ci son dentro in prima persona da 10 anni so che la questione multinazionali è una goccia nel mare del consumo critico e sempre di più commercio equo significa cooperative di lavoro, "libera terra", progetti vari anche nel nord del mondo. O almeno: noi nella nostra bottega ne abbiamo a bizzeffe e mi risulta che anche ctm altromercato abbia ormai rapporti di lunga data con cooperative sociali o di lavoro italiane.
    ne aprofitto per dire che, se è vero quanto è verissimo che bio non significa equo (a me questo sembra evidente ma facciamo bene a ricordarlo), la maggior parte dei prodotti ctm altromercato (equo e solidale) ora sono anche bio, accorrete numerosi :-D

    sul fatto dei piccoli produttori che fanno la loro fortuna spacciandosi per slow (senza certificazioni, solo con la faccetta bella.......) voglio sperare che freghino solo quelli che cercano lo slow solo per moda e non quelli che ci credono per davvero che dovrebbero essere un po' più sgamati.
    Però ti dico una cosa: alla fine della fiera, anche mi fregassero, il problema è loro, non mio. Io voglio dare un segnale forte che un certo tipo di agricoltura/produzione/commercializzazione non lo voglio e voglio essere coerente con me stessa e le mie convinzioni per cui SPOSTO (come si suol dire) la mia spesa. E quelli che voglio "colpire" li colpisco. La coscienza mia è a posto. Cerco di farlo con il massimo dell'attenzione ma se quell'altro mi fotte, ad un certo punto, coscienza sua.

    per quanto riguarda il gas, quello di cui faccio parte io acquista solo con giustificativo fiscale che viene inviato scannerizzato a tutti i soci.

    poi ti dico, un po' mi conosci, io sono tutt'altro che talebana su qualsiasi argomento (dall'allattamento in poi), faccio il 50% della mia spesa fra gas-mercato bio-commercio equo e l'altro 50% senza remora alcuna al supermercato (dove però compro quasi esclusivamente marchio coop perchè gli altri marchi proprio mi irritano :-D)

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  3. @my: quello delle cooperative sociali, e di Libera in primo luogo (ne ho anche recentemente sentito parlare in occasione della presentazione del libro di don Diana qui a lato, e ho ancora la pelle accapponata per i dati sulla camorra al Nord!), è ancora diverso.
    Il fatto è che, non so da voi, ma qui un bel po' di gente ha pensato bene, almeno agli inizi dei GAS, di fare la parte di quello che coltiva senza niente ma non ha la certificazione perché costa, il mercato è cattivo perché mi misura la roba col calibro, ecc. Salvo che poi il fornitore del GAS di Lodi (non so se ce l'abbiano ancora) ti dava carote molli e piene di fili ai prezzi delle carote Esselunga bio.
    Poi, per carità, abbiamo amici (quelli dell'Erba Persa di Levanto) che si fanno un culo così per coltivare l'orto bio e poi non possono vendere a prezzo bio perché da loro la gente non è disposta a spendere tanto per quel motivo lì.
    Ripeto: non faccio di ogni erba un fascio, anzi, sono io la prima a fare i nomi di "buoni" e "cattivi". Ma i cattivi ci sono, ed è bene saperlo.

    PS: di base non sarei talebana neanch'io, ma la qualità del commercio equo e del biologico "buono" mi stanno portando ad esserlo, almeno sul fresco :-)

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  4. Interessantissimo post, penso che lo manderò a tutti i compagni di GAS.
    Ce ne sarebbe da dire, ma le prime cose che mi vengono sono:
    1) è vero che "equo" e "bio" rischiano di essere sovrapposte per un processo psicologico che li considera buoni e preferibili entrambi, ma in realtà sono cose diverse: qui bisogna insistere, a maggior ragione se si sceglie la strada del consumo critico, che poi lo si applichi in prima persona, cioè vagliando ogni acquisto con ancor maggiore severità di quanto non si farebbe presso fornitori "mainstream" e così rispondo anche a My: se un fornitore che dovrebbe essere bio, equo, etc., mi fotte, certo lui ha un problema con la sua conscienza, ma anch'io ne ho uno con la mia, perché non mi sono informata abbastanza, mi sono lasciata turlupinare e, per distrarre i miei soldi da un sistema che non condivido, li ho fatti finire ad altri che, diversamente dai primi, fingono pure di essere quelli che non sono. Perdonate il paragone, ma è come dover decidere se votare la destra o la sinistra che si comporta da destra, allora scelgo l'originale che è meglio...;
    2) nei miei acquisti personali e nel discutere di quelli con il mio GAS e con l'associazione dei GAS di Torino di cui faccio parte cerco sempre di tenere presente le variabili in gioco: l'ecologità ambientale, ma anche quella sociale. Per esempio trovo assurdo comprare il riso dall'Asia o il miele in Messico, facendogli fare migliaia di chilometri e provocando la perdita di ulteriori posti di lavoro qui in Italia, quindi privilegio sempre il prodotto più vicino (a parte l'indispensabile, tipo cioccolata e caffé che prendo zapatista e così facciamo entrare anche la variabile eversiva :-); oppure, negli incontri su tessile e scarpe "etici" che ho contribuito a preparare, nella presentazione di ogni produttore ho sottolineato anche il suo atteggiamento nei confronti dei lavoratori: il cotone "fair trade" garantisce di essere coltivato da personale adeguatamente retribuito, quello no OGM o bio rispetta di più l'ambiente (so come la pensi sugli OGM, passami questa generalizzazione poi ne riparliamo), dei due produttori di scarpe "eque" che si contendono il mercato so che uno abbatte i costi andando a produrre in Romania e allora tenderei a preferire l'altro, che però viene dalla Spagna e allora spesso preferisco comprare un solo paio di scarpe italiane, confidando nel fatto di non far perdere lavoro a lavoratori che comunque godono di qualche tutela e di un minimo sindacale.
    Il discorso è complessissimo e comunque mi piace il tuo atteggiamento scevro da pregiudizi, anche positivi.
    Giuliana

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  5. Sul cotone OGM:
    http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/11/02/un-ogm-buono-pulito-e-giusto/
    Addirittura, in un mondo ideale dove non ci si fa la guerra sulla base di pregiudizi, sono convinta che il cotone Bt resistente agli insetti, unito al fatto che in alcuni luoghi costa di meno ingaggiare delle mondine che dare pesticidi, potrebbe generare una produzione di cotone bio a basso costo.
    Ma questi sono i miei sogni folli e sfrenati ;-)

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  6. Però: sempre in un mondo ideale, che uno vada in Romania per abbattere i costi non dovrebbe essere "sbagliato" per definizione. Se uno impiegasse i lavoratori rumeni con un salario congruo per il loro tenore di vita e si facesse scrupolo di garantire loro le protezioni previdenziali fondamentali (tipo malattia, preavviso in caso di licenziamento, licenziamento per giusta causa, ecc.), non ci sarebbe nulla di male. Il problema è che il sistema, là, non garantisce niente ai suoi stessi cittadini.
    Tranne una scuola molto molto buona, mi dicono amici rumeni.

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  7. Bhè, la storia del contadino che vi caricava solo di insalata è davvero emblematica. In questo senso: mio marito l'avrebbe mollato dopo due settimane di prova (a far tanto ;-). Io, se non fosse che ormai sto con lui da quindici anni, e qualcosa è filtrato per osmosi (troppo poco secondo lui, ma questo è un altro, non gradevolissimo - discorso ;-))), forse avrei rischiato di perseverare un pochino di più. Lui viene da una famiglia di contadini veri e ha passato tutti i fine settimana della sua infanzia nel casolare dove suo nonno lavorava le viti dei padroni. Io ho vissuto in un paesino e la metà (italiana) della mia famiglia ha una provenienza decisamente 'cittadina', o quantomeno con forti aspirazioni emulative dei lati cittadini che io considero peggiori (ci sono anche cose che mi piacciono, nella vita in città, che assaporo pochi giorni all'anno ma mi piacciono). Credo insomma che se conosci i veri meccanismi della vita in campagna e della coltivazione della terra hai un occhio più pratico e talvolta disincantato verso molti aspetti della vita nei confronti dei quali altri si fermano all'idillio (che un po' secondo me ci può anche stare, cioè io posso trovare normali i meccanismi del mondo animale apparentemente più crudi ma al tempo stesso commuovermi per un tramonto, restare senza fiato a contemplare le stelle o perdermi a fotografare/cercare di farlo i fiorellini di primavera che mi mettono tanto di buon umore, cioè una cosa non esclude l'altra) e magari non percepiscono la fregatura. Noi non facciamo parte di GAS ma il nostro asilo quest'anno si è strutturato come una sorta di GAS e quindi siamo venuti a contatto con diverse esigenze (anche legali), tra cui quella di garantire la tracciabilità di tutti i prodotti dei quali ci riforniamo e la loro regolarità fiscale. Il che ci ha portato ad escludere qualche scelta che invece, se fossimo stati un GAS tradizionale, avremmo potuto addottare tranquillamente anche noi. Credo quindi che tu abbia sollevato una questione reale. Per il resto abbiamo adottato il criterio al quale accennava Giuliana: prodotti innanzitutto freschi e della zona, possibilmente biologici. Alla fine sono praticamente tutti biologici, per le farine abbiamo distributori che riforniscono anche i negozi bio, per i prodotti 'esotici' (spezie, quinoa... le banane invece abbiamo scelto di non procurarle, alla fine chi non ne trova già a casa) andiamo al CTM. Dove ci tengo molto ad acquistare i prodotti di cooperative come Libera Terra, perchè credo molto nel messaggio che ci sta dietro. E la mafia è un problema di tutti ormai, hai ragione lanterna, basta ascoltare Saviano quando lo invitano (nell' intervista da Fazio domenica - http://www.youtube.com/watch?v=TqHXdJ82Mao - ha detto cose molto, molto importanti, tra cui il concetto che il fatto che qualcuno ci tenga a far percepire che tutto va male, che tutti fanno schifo, sono tutti corrotti, sono tutti uguali è un modo per giustificare, alla fine, questi atteggiamenti). Ecco, sembra OT ma non lo è. Credo che comunque la strada sia giusta, che si faccia bene a spostare la propria spesa, come dice My, se non in tutto almeno in parte, perchè più siamo a farlo, più c'è speranza che una certa attenzione diventi l'unico ed il solo modo di coltivare e impiegare e valorizzare il lavoro. Proprio per questo è importante prestare attenzione anche agli aspetti dei quali ha parlato lanterna così bene in questo post. Perchè la selezione del mercato la facciamo noi acquirenti, e allora tanto vale favorire chi certe attenzioni le ha. Perchè sono sicura che non sono tutti uguali ;-) Un'ultima considerazione su bio e fresco: non vanno automaticamente di pari passo. Una persona che collabora con la nostra mensa racconta sempre di come abbia contribuito alla gestione di un negozio bio per anni. E di aver mangiato prodotti (ortaggi specialmente) non proprio freschi per anni. Ora lei privilegia il fresco innanzitutto, vicino e bio poi. Per fortuna è un'abbinata che, a cercar bene, si può trovare...

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  8. Interessante, anche io conosco Sarit la ragazza israeliana che citi e l'avevo contattata, grazie per questo approfondimento sulla kasherut, é uno dei principi dell'ebraismo che conosco meglio e che mi affascina di più, per questo e per innumerevoli altri spunti culturali sono affascinata dalla cultura ebraica e non smetterò mai di studiarla!ad esempio nelle leggi più antiche era già previsto che i lati dei campi coltivati (es. le 4 file di un frutteto che delimitavano i 4 lati) non venissero raccolte dal proprietario ma lasciate a disposizione dei vaindanti o dei poveri che passavano.Come legge, circa 3.000 anni fa..direi che erano già ben più avanti di noi!! :-)
    un abbraccio e grazie per questo riferimento interculturale interessante,anzi ti dico TODà così puoi imparare anche come si dice grazie in ebraico! :-)

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  9. io parlo da una posizione in parte provilegiata: vivendo in campagna e avendo l' orto "produco" per la famiglia pomodori, zucchine, melanzane, fagiolini ... insomma .. qualsiasi cosa desideri. abbiamo le galline, quindi le uova sono ultra bio.
    vicino ci sono fattorie che allevano mucche da latte e da macello.
    purtroppo, pero', finche' non mi organizzero' con la serra, in inverno dovro' continuare ad acquistare frutta e verdura al supermercato.
    nella mia zona ci sono molti allevatori di mele e pere. ma molti stanno abbandonando perche' non riescono ad essere competitivi con i grandi consorzi ( vedi melinda... ).
    sono un po' scettica per quanto riguarda il solidale - dopo essere stata in india a gennaio e aver visto certe cose ... ( tipo donne TOTALMENTE in acqua, nelle risaie, fino al collo per TUTTO IL GIORNO ... ) non so quanto ci sia di veramente solidale. in quei posti si lavora cosi', purtroppo. non e' semplice cambiare le cose. non che non si debba fare. ma e' veramente molto difficile.
    non parlo di salari ( e' ovvio che siano di gran lunga piu' bassi dei nostri - chi guadagna abbastanza bene in india prende 250/300 euro l' anno ... ), ma proprio di condizioni lavorative.
    non voglio dire di no a priori, ma vorrei informarmi meglio prima di cominciare ad acquistare. nel frattempo, vado al supermercato e cerco di acquistare prodotti non di multinazionali.

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  10. Rispondo a puntate :-)
    Cotone e altri OGM: personalmente non considererò mai le produzioni OGM come "pulite", richiedono certo l'impiego di meno o zero pesticidi, ma il fatto che si vada a modificare il patrimonio genetico di un essere vivente, pianta, animale o umano, non mi vede d'accordo. E' un gioco molto pericoloso senza precedenti e semplicemente non penso che sarà scevro di complicazioni e risvolti neppure prevedibili. Premetto anche, se non l'ho mai detto, che non sono una "scientista", ovvero non credo ciecamente nella scienza ufficiale, anzi me ne discosto ogni giorno di più. Di innovazioni scientifico-tecnologiche che sembravano la panacea di tutti i mali e che poi presto o tardi si sono rivelate nefaste ne conosciamo a decine e una cosa così invasiva non si era mai vista sulla faccia della terra. Ciononostante, come ti ho detto prima, apprezzo la tua mancanza di unilateralismo, cioè il fatto che, pur vivendo in campagna, hai una posizione forse più articolata della mia, che sono in una situazione del tutto opposta (continua).
    Giuliana

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  11. Lavoro: in un modo ideale, la paga e i diritti di un operaio rumeno e quelli di un operaio italiano dovrebbero essere uguali; oppure il costo della vita in Romania e quello in Italia dovrebbe essere uguale. Scegliere l'uno o l'altro dovrebbe essere solo una questione di qualità del lavoro.
    Invece le cose sono ben diverse, come sappiamo: l'operaio rumeno avrà anche di che mangiare, ma poco più; l'operaio italiano, tra poco, neppure quello; la qualità del prodotto è senza dubbio in caduta libera (lavoro malpagato e maestranze priva di sapienza artigianale, vedi appunto il tessile e le scarpe italiane); la roba viaggia per migliaia di chilometri. Tutti ci perdiamo, tranne naturalmente gli imprenditori furbi che vogliono vincere la concorrenza giocando al ribasso, non facendo roba migliore: non mi piace. Se è proibita l'esportazione di capitali per non impoverire il Paese a maggior ragione dovrebb essere proibita l'esportazione di lavoro (continua).
    Giuliana

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  12. Fresco, bio, etc.: noi abbiamo fatto molta fatica e non abbiamo ancora trovato una soluzione soddisfacente. Al momento, complice l'arrivo del caldo che impedisce di rifornirsi ogni 15 giorni, andiamo dai contadini sul mercato.
    E ora vado a scrivere una mail di protesta perché nel ristorante bio di cui già ho parlato da M@w oggi servivano un pesce dell'Oceano Indiano: e io, da brava consumatrice critica, critico ;-)
    Giuliana

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  13. Sugli OGM: noi già mangiamo (o vestiamo o fumiamo) OGM, tutti i giorni, solo che non sono prodotti con la tecnica del DNA ricombinante ma con la tecnica anni '60 del bombardamento di radiazioni e con una successiva selezione delle varietà mutate.
    Quando l'opinione pubblica ha cominciato ad essere sensibile alla questione OGM, la legislazione europea ha fatto l'artificiosa distinzione tra vecchie e nuove tecnologie per evitare che fosse ritirata dal mercato la gran parte delle sementi in uso.
    Inoltre, dal momento che non c'è nessun divieto sull'importazione di OGM e che la soia all'estero è quasi tutta Bt, la maggior parte del bestiame non bio in Italia mangia OGM. Anche quelle bestie che producono latte o carne per fare prodotti DOP.
    Messi come siamo, che senso ha fare opposizione solo alle nuove biotecnologie, peraltro più sicure di quelle vecchie? Bisogna pretendere di essere informati sempre, anche quando la semente utilizzata non è legalmente OGM ma lo è effettivamente.
    Tornando al discorso dei GAS, quanti fornitori di cereali usano sementi effettivamente OGM, magari senza neanche saperlo?
    Sull'opposizione tout court a modifiche sul genoma vorrei fare un postapposta, ma ho bisogno di Luca come revisore scientifico.

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  14. So della soia, ecco uno dei tanti motivi per cui ho smesso con la carne.
    Il fatto che siamo già pieni di OGM come dici tu mi sembra un motivo in più per non volerne ingurgitare o inalare ancora, tanto più che, quando c'è il lucro di mezzo, non si sa mai quanto sicuri siano questi controlli. Conosco anche gente che dice: che mi frega di mangiare bio se tanto respiro aria inquinata? Beh, da qualche parte iniziamo, poi inquineremo anche di meno.
    Credo però che a monte di tutto ci sia un discorso ben più scomodo da fare e cioè il fatto che gli OGM mi sembrano il modo estremo, proprio tirato per i capelli, di voler mantenere a tutti i costi un sistema di vita ormai impossibile, men che meno se esteso alla vaste masse che starebbero per arrivarci (tipo Cina e India) e cui però non possiamo certo negare il diritto di godere dei nostri comfort. In poche parole, siamo troppi e vogliamo tutti troppo: ma chi ha voglia di sentirselo dire?
    Giuliana

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  15. Io credo (e con questo chiudo, se no il post lo scrivo in questi commenti) che gli OGM siano semplicemente la naturale continuazione di ciò che l'uomo ha fatto da millenni, ovvero dalla nascita dell'agricoltura.
    Se ci pensi, c'è molto poco di "naturale" nell'agricoltura: quando mai in natura vedresti un campo tutto "abitato" dalla stessa specie? È stato calcolato che, se l'uomo smettesse di coltivare la terra, nel giro di 20 anni le specie che noi consideriamo tradizionali o addirittura antiche si imbastardirebbero e scomparirebbero completamente.
    Io personalmente non credo che coltivare OGM (meno che mai per scopi non alimentari, vedi cotone e patata amflora) inquini ulteriormente la situazione esistente. Anzi: le sementi Bt prodotte col DNA ricombinante potrebbero sostituire quelle prodotte con i bombardamenti. E ci sarebbe finalmente un po' di chiarezza tra sementi ottenute tramite incroci e sementi ottenute tramite biotecnologie.

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  16. Beh, una volta tanto non ho semplicemente condiviso quanto scritto da te...finalmente un po' di sano dibattito :-)
    Giuliana

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  17. io segnalo anche qui il sito http://www.agricolturanaturale.info/
    particolarmente interessante a proposito di chi cita le risaie, che la prima preoccupazione, e stimolo, del giapponese che ha iniziato a coltivare cosi' eran proprio le risaie.
    anna

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  18. Scambio veramente interessante per me che per pigrizia compro frutta e verdura al mercato senza guardare tanto per il sottile. Mi sono istruita.
    Mi limito semplicemente a ricordarvi che alcuni prodotti equo e solidali che compriamo al supermercato sono fatti in Italia da aziende italiane con materie prime provenienti da paesi per es. del sud America. A volte può succedere di comprare certe cose in modo automatico ma se leggi l'etichetta c'è scritto Milano oppure Lecco ;)

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  19. ciao
    fino a qualche anno fa ero anche io di quelle che ricevevano la cassetta del gas e si lamentavano perchè d'inverno erano sempre verze e d'estate sempre insalata.
    non solo: se per caso la verdura non era più che perfetta ero pronta a lanciarmi in accorati dibattiti sul diametro delle carote o la consistenza delle rape.
    ora che quella che produce l'insalata sono (sarei) io, (insieme ad alcuni altri svitati), la mia prospettiva è parecchio cambiata.
    io seguo un sogno, ci metto la mia vita. ci metto la mia faccia, chi vuole può venirmi a vedere in qualunque momento, non solo nella domenica in cui organizzo il pranzo per i gas e metto le tovaglie della festa e i fiorellini alle finestre.
    chi si lascia contagiare da questo sogno, da questa mezza follia, vuole entrarne a fare parte, vuol fare il suo pezzettino, compra la mia roba. c'è sotto un sogno che è anche un desiderio di fiducia e di relazione. di dinamiche che escono dai supermercati e tornano alla relazione tra PERSONE.
    quindi può essere che una annata qui vada male, che un prodotto non sia perfetto. per farli perfetti e a prezzo stracciato, al supermercato, usano molti prodotti chimici e molta fatica malpagata, altrimenti i conti non tornano. per me il senso è proprio questo...io produttore ci provo, ho bisogno di un gruppo di persone che condivida questo sogno e sia solidale con me. che vuol dire che cerchi di togliersi quantomeno i parametri estetici da supermercato, che venga a guardare come cresce un orto e come è la verdura, quella "vera"....

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  20. @M di MS: ma tu questa cosa dell'azienda italiana che produce con materie prime eque come la vedi? Io la vedo bene, mi sembra un circolo virtuoso, ma capisco che possa essere vista in modo ambivalente.
    @nina: mi fa piacere sentire la voce di un altro produttore, anche perché il GAS 2005 di cui parliamo è lo stesso :-) Anche le Cascine Orsine hanno l'orto e per un breve periodo l'ha tenuto privatamente anche mio marito: se ti dico che non ci valeva la pena in tempo e fatica, credo di averti detto tutto quello che penso su chi si fa un mazzo così per tenere un orto non chimico.
    Io ora, pur avendo un pezzo di terra gratis a disposizione (dove coltiviamo solo lamponi, fragole e zucche), compro da Bioexpress e nemmeno i loro prodotti sono sempre impeccabili, per carità.
    Non si può negare però che non tutti i produttori siano come te (che conosco la tua storia, quindi so che sei sincera) e che molti vedano nei GAS (soprattutto nei GAS di nuova formazione) la gallina dalle uova d'oro.
    Per restare nell'ambito caseario, che riguarda mio marito: ho visto arrivare certi formaggi, da certi produttori (di cui non ricordo i nomi, altrimenti li farei), che mio marito avrebbe sbattuto direttamente nel rudo, altro che venderli a caro prezzo.
    Un altro problema è che spesso l'imperfezione viene vista come garanzia di genuinità: ci sta tutto nella frutta/verdura, ma nel formaggio significa solo che la produzione è avvenuta in un luogo contaminato e nei salumi che la tecnica usata non era sicura.

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  21. Io l'azienda italiana che produce equo solidale la vedo bene. Però ho come l'impressione che a volte comprando equo e solidale abbiamo l'impressione di comprare roba già pronta che viene da certi paesi, invece c'è un processo di trasformazione in mezzo che potrebbe anche non essere altrettanto etico. Adesso forse sono un po' OT. Cmq il cioccolato E e S fatto in Italia è buonissimo!

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  22. No, non sei per niente OT! Magari My, che ne sa più di me, può dirci se si fanno controlli anche a livello delle aziende che trasformano le materie prime.
    È anche vero che l'azienda italiana che acquista equo paga le materie prime più di quanto pagherebbe nel mercato non equo, quindi magari già alla base è sostenuta da un'etica abbastanza forte da trattare bene anche i dipendenti italiani. Però sono solo mie supposizioni.

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