mercoledì 14 aprile 2010

Il blog ci guadagna?

Come dicevo all'inizio dell'avventura, questo blog ha solo un anno, ma la mia permanenza nella blogosfera risale al 2004.
Su Splinder non c'erano ancora né titoli né categorie, non potevi caricare immagini o contenuti multimediali (li dovevi mettere su siti esterni e poi linkare), Internet era ancora un covo di pervertiti e nerd per la maggior parte della gente.
Eravamo in pochi, le donne non erano in così netta maggioranza, i nostri blog avevano grafiche spesso un po' naif e bastava una cena per incontrarci, altro che BarCamp. E sì che io non sono stata proprio della primissima ora: c'era gente che postava da uno o due anni prima di me (e che purtroppo oggi non scrive quasi più).
Perché scrivevamo? Alcuni di noi già vedevano il blog come una vetrina della propria attività lavorativa (magari erano giornalisti o lavoravano nella comunicazione), ma i più lo usavano come diario online, più o meno intimo. Per me, era una specie di "almanacco delle cose buffe" (soprattutto quelle che nascevano dalla recente convivenza con Luca). Per altri/e, era più un taccuino degli appunti e/o un mezzo di comunicazione con amici sparsi in tutto il mondo e/o un diario quasi segreto. In buona sostanza, per quasi tutti era un hobby, al pari della danza o della lettura o della palestra: era già buono che fosse gratis.
Poi il fenomeno è esploso, ci siamo trovati nel Web 2.0. Siamo diventati un fenomeno di costume e un target di mercato. Ci siamo divisi in categorie, a seconda dell'argomento trattato.
Io, che nel frattempo avevo figliato ma non avevo cambiato di una virgola l'impostazione del mio blog, mi sono ritrovata nella categoria "mommyblogging". Se pensate che nella stessa categoria ci sono anche "mammadolcecuore" e "darklady72", capite già quanto sia sciocco pensare che esista davvero questa categoria e che sia omogenea.
Perché le mamme blogger hanno cominciato ad essere interessanti per le aziende? Perché le statistiche dicono che le donne decidono gli acquisti di una famiglia: da quelli minuti (come la spesa settimanale) a quelli importanti (tipo che l'80% delle volte è la donna ad avere la parola finale sull'acquisto dell'auto di famiglia).
Improvvisamente, da mezze casalinghe un po' sfigate, veniamo portate in palmo di mano come illuminate capitane di'impresa, esperte di gestione economica, maghe dell'acquisto intelligente.
Qualcuno ha cominciato a proporre alle mamme blogger banner da esporre, prodotti da provare, scambi di link. C'è stata pure una famosa conferenza stampa di Danone che scatenò l'irritazione di molte (io non ero invitata, per fortuna: perché ci sarei andata con mio marito, noto oppositore di Actimel e similari, che avrebbe posto domande molto circostanziate all'esperto, dal momento che è esperto anche lui).
Alcune persone, disgustate, hanno proprio lasciato perdere. Altre, nella prospettiva probabilmente di ripagarsi i costi, hanno accettato qualche banner qua e là. Altre ancora hanno visto una concreta opportunità e hanno detto: se le aziende vogliono entrare in contatto col Web 2.0 e sono però troppo imbranate (o mal consigliate) per farlo, perché non le aiutiamo noi? È nato così il progetto The Talking Village, che ho seguito fin dal primo momento perché mi piaceva la filosofia: cercare di influenzare la comunicazione (e magari i comportamenti) delle aziende dal basso, attraverso il contatto con un gruppo di portatori di determinate istanze.
Faccio un esempio: il primo incontro l'abbiamo avuto con Barilla. La prima cosa che abbiamo detto nell'incontro è stata: basta con l'immagine della famiglia da Mulino Bianco. Già il loro team di creativi si stava muovendo in questa direzione, per carità, però credo che parlando con noi (e leggendo questo post di Piattini) si siano fatti un'idea di dove andare. O meglio, di dove NON andare più.
Qualcuno ha detto di essere stato deluso, perché dopo aver scritto per 5 settimane nei diari delle Spighe non ha ricevuto un feedback. Qualcuno ha detto che tutto si è risolto nello sfruttamento (!) delle povere blogger per un tozzo di Spiga. Io dico che mi sono divertita, ho visto il marketing di una grande azienda da vicino, ho preso qualche caloria di troppo e i risultati li vedo ogni volta che vedo una pubblicità Mulino Bianco o che trovo qualche iniziativa innovativa come questa.
Nessuno mi ha chiesto di pubblicizzare l'iniziativa, nessuno ha creduto di sfruttarmi come opinion leader. Mi dispiace di non aver dato più rilievo all'iniziativa quando ho partecipato, ma era la mia prima esperienza e non sapevo bene come gestirla.
Nel frattempo, ho continuato a pubblicare le mie ricette di biscotti, plumcake e dolci. Ho continuato a dire la mia su tutto ciò che mi veniva in mente. Ho continuato a vedere entrambi i miei blog come luoghi di piacere e non di lavoro o guadagno.
La mia di blogger non è una professionalità. Scrivo bene, lo so benissimo, ma resto una brava dilettante. La mia professionalità è altrove, sebbene sempre nell'ambito della scrittura e della comunicazione.
Mi stupisco invece che alcune (molte?) blogger, che oltretutto non hanno una formazione paragonabile alla mia, credano di poter usare il proprio blog per guadagnare.
Ancora ancora se si tratta di un blog che rispecchia la loro formazione e le loro abilità. Tipo: sono un'artigiana che confeziona oggetti di un certo tipo e uso il blog per mettere online le foto dei miei lavori, proporre un listino e segnalare i miei contatti. Esempio: Fux, che seguo quasi sempre in silenzio ma riscuote la mia ammirazione.
Oppure se si tratta di un blog di supporto a un'attività reale, tipo quello della Farmacia Serra di Genova, dove consigli e segnalazioni su prodotti in vendita si alternano a informazioni utili, news su Genova e/o sul mondo delle mamme, racconti quotidiani, ecc.
Se invece si tratta di mettere in piedi un mommyblogging all'americana e vivere sul rapporto con le aziende, lo ritengo poco realistico. Ma proprio molto poco.
Soprattutto, però, non mi interessa.
Qualcuno mi dirà: ma come? Tu che ti sei venduta per un pacco di pannolini? Oh, molto peggio: mi sono regalata, perché di pannolini non ne ho visti né richiesti nemmeno uno, e oltretutto credo che la scorta di pannolini LIDL che mi sono comprata tempo fa mi coprirà fino allo spannolinamento di Ettore.
Mi sono regalata un'esperienza interessante, che difficilmente avrei potuto vivere altrimenti. Nessuno mi ha chiesto un'opinione sullo sponsor o sui suoi prodotti, altrimenti avrei risposto adeguatamente. Oltretutto, sono ancora qui a chiedermi se il guadagno dello sponsor sia poi così imponente, a fronte dell'aver speso un bel po' di soldini per mettere in moto la macchina di Zelig e dei teatri milanesi: non faceva prima a girare uno spot molto carino e farlo circolare su Youtube? Evidentemente gli interessa un lavoro di più ampio respiro, che può riscuotere solo la mia stima come tutti i progetti lungimiranti, volti a "preparare" il terreno presso i consumatori.
(A questo punto, sponsor, una preghiera: per essere veramente lungimirante, leggiti i commenti di questo e questo post, grazie. Così, tanto per tenerti informato proprio su tutto il mercato possibile.)
Pare però che la mia posizione sia di minoranza. Che le mamme blogger ritengano di poter fare del proprio blog un lavoro e per questo pretendere dalle aziende il giusto salario. OK, provateci, vi auguro ogni bene. Ma io non mi illuderei: credo che solo poche, altamente preparate e selezionate, possano aspirare a tanto.
In questo clima, è inevitabile che l'aver messo di mezzo i soldi (veri o presunti) abbia alzato i toni e reso le polemiche più aspre. I posti in cui si può esprimere la propria opinione senza dubitare della buona fede del tenutario o senza essere aggrediti dalla parte avversa (intesa come allattanti vs non allattanti, pro marketing vs contro, ecc.) stanno diventando sempre meno (grazie momatwork, per esempio, da te si parla sempre con grande tranquillità e senza ipocrisia anche di questioni che altrove sono spinose). Mi sembra che ci sia una corsa all'assolutizzazione delle posizioni, al voler dividere tra buoni e cattivi (magari più sulla base delle interpretazioni che dei fatti), al tenersi d'occhio reciprocamente per evitare che l'altro arrivi prima di me. Temo si scivoli nel pollaio o, peggio, nei combattimenti di polli, come è successo in molti forum.
Ecco, da questo punto di vista il blog non ci guadagna. Ma proprio per niente.

16 commenti:

  1. E' da tempo che rifletto su questa continua necessità di fare di tutto una questione di fazioni. Soprattutto quando si tratta di mamme. Al momento è solo una riflessione, perché non ho ancora trovato risposte.
    E mi dispiace che questo possa ripetersi tra le blogger, perché se dai forum mi sono sempre tenuta lontana proprio per quell'aria di "aia" di cui parli, mi dispiacerebbe ritrovarla in uno spazio dai confini solo un pò più ampi.

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  2. Molto bello questo post. Come dicevo altrove, io sono convinta che se le mamme che partecipano all'iniziativa sono soddisfatte (che ricevano pannolini, soldi, visibilità o... niente) non si può parlare di sfruttamento. Contente le blogger, contenta l'azienda, io non capisco proprio chi si arrabbia...

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  3. @ondaluna: e dire che l'aia a casa mia è il posto dove i bambini vanno in triciclo e i vicini si mettono a chiacchierare! ;-)
    @claudia: ecco, la tua "casa" è un altro posto dove si sta proprio bene, nel rispetto delle reciproche differenze.

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  4. Ma lo sai che, ora che mi ci fai pensare, anche il mio blog esiste dal 2004. Certo, è diventato relativamente sistematico solo alla fine del 2005. Ma fa comunque un certo effetto. Come sai, condivido quello che dici. Io non sono poi così tanto interessata al marketing aziendale, ma l'esperienza diversa mi fa sempre gola.

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  5. Innanzitutto grazie per la citazione e complimenti per il post ,l'idea del blog e'nata per scherzo e per contatto con chi non sta vicino a noi e con cui eravamo in contatto,l'accelerazione e' venuta dalla rete e dai vari mom camp dove ogni volta e' nato qualcosa di interessante proseguito in seguito di persona o in rete.

    Finche' ci divertiamo ,tutte le iniziative a cui partecipiamo le vediamo senza secondo fine, oggi abbiamo fatto una consulenza via facebook sull' uso dei prodotti omeopatici a una signora di Roma con molto piacere abbiamo condiviso la nostra piccola esperienza stupendoci noi per primi!

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  6. Credo che quando nei prossimi giorni sentirò voci interne destabilizzanti come mi è capitato spesso in questo periodo per via dei battibecchi da pollaio, tornerò qui per leggerti, perché questa voce narrante mi ha dato delle risposte. Molte risposte non riesco a trovarle ma ho voglia di continuare a divertirmi e sono contenta delle persone che regalano lucidità.

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  7. Grazie davvero per questa lucida analisi...e per queste sentite e vere riflessioni. Un caro saluto

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  8. Sarà che non l'ho mica ancora capito 'sto 2.0, ma mi sembra che non ci sia 'sto cambiamento epocale. Anche se lo chiedono sul web, le mamme (la maggior parte) chiedono le stesse cose che chiedevano prima e le aziende offrono le stesse cose che offrivano prima: gadget, raccolte punti...
    Le mamme, ed ancor prima le donne, vengono rappresentate in un certo modo, che a me non piace. E, pare, non piace anche a molte altre.
    Ma quando qualcuno ha tentato di rappresentarle diversamente il risultato è stato goffo, paradossale, e mi piace ancora meno. E a voi?
    In questi giorni ho girato parecchio per il web, ho seguito molti link, sperando di chiarirmi le idee, ma me le ritrovo più confuse di prima.

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  9. @m@w: per chiarirsi (o confondersi ancora di più) le idee, consiglio di leggere qui, sia post che commenti:
    http://jolanda.filastrocche.it/2010/04/di-mamme-blog-marketing-e-liberta-di-scegliere/
    Io forse non aspiro più di tanto a una diversa rappresentazione delle mamme, quanto a uno sguardo diverso sulle dinamiche della famiglia.
    Per esempio, uno spot Huggies di anni fa rappresenta un padre che, probabilmente in visita ad amici, cambia il neonato sul letto di altri. Diversamente da quello che succede di solito nella comunicazione italica, il divertimento non nasce dal fatto che il padre sia imbranato (sembra uno tranquillo, tipo Luca), ma dal fatto che la pipì del bambino sia a idrante. La mamma qui non si vede neanche, ma comunque ne esce con un'immagine diversa, perché:
    a) sono a una festa, da amici (o magari c'è solo lui, il che lo investe ulteriormente di responsabilità e autonomia)
    b) lei non interviene in aiuto del marito
    Ora, è un caso che lo spot che cito sia di Huggies come l'iniziativa teatrale, ma non è un caso che la stessa casa che ha voluto quello spot 10 anni fa stia cercando di continuare sulla stessa linea di comunicazione.
    Che cosa verrà da questo processo (parlo di tutte le iniziative volte a questo scopo, non solo di Mammacheridere) non lo so, spero venga fatto in modo più accorto dei goffi tentativi del passato.

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  10. secondo me la partenza di huggies e' buona: in fondo ha coinvolto le mamme in modo attivo, dando spunti ma non pressandole tanto ( almeno, a me e' sembrato cosi' ... e' vero, la scrittura e' a comando - ed e' questa la cosa "brutta" ... ma non si poteva fare diversamente ).
    lo spettacolo e' una bella idea - secondo me dovrebbe essere supportata, per esempio tipo con una pubblicita' giusta nei giorni dello spettacolo.
    a cosa puo' servire dare un' imamgine diversa delle madri di oggi? dai che ci dai, magari le aziende cominceranno a guardarci in un altro modo, e non solo per offrirci prodotti. ma anche per affidarci progetti veri.
    e poi serve a noi, cavolo. ma non perche' siamo frustrate.
    sul fatto che certe cose possano dare fastidio alle persone non coinvolte nei progetti ... sinceramente non capisco il disturbo di fare polemica.
    tra donne, purtroppo, sono straconvinta che l' invidia ci metta sempre troppo lo zampino ...

    paola

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  11. Non più tardi di stamattina ascoltavo radiodue in macchina.
    Spot pubblicitario numero uno (a memoria):
    Voce femminile: "Volevo un uomo biondo, ne ho sposato uno moro. Volevo una figlia ballerina, ho avuto due maschietti. Volevo realizzare tutti i miei sogni... e l'ho fatto."
    Pubblicità di una cucina (Veneta Cucine, se non ricordo male).
    Ora, già il fatto che una donna che dovrebbe avere più o meno la mia età non abbia più sogni da realizzare, mi deprime non poco, che questi si realizzino in unmaritoduefigliunacucina mi getta in un baratro. Notare che esiste un corrispettivo maschile in cui lui cambia vita e lavoro e lascia la città per il mare.
    Spot pubblicitario numero due (sempre a memoria):
    Lui, nella parte del paladino confessa di non avere una cucina; prima di incontrare lei, mangiava solo scatolette.
    Lei, nella parte delle damigella, invece di piantarlo in asso, lo invita a comprarla in magazzino di mobili (Mercatone Uno, se non ricordo male).
    Spot pubblicitario numero tre (sempre a memoria):
    Una voce femminile elenca tutti gli optional di ausilio alla guida e al parcheggio della nuova Mercedes Classe A (sempre col beneficio del dubbio); perché si sa, donna al volante...
    E avanti di questo passo.

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  12. Beh, ma tu hai raccolto spot radiofonici, che credo siano (con eccezioni a volte notevoli) tra le cose più abbiette che un pubblicitario possa concepire.
    Giuliana-Mammaincorriera aveva fatto un bell'articolo sul fatto che quanto più sono intelligenti i programmi in radio tanto più stride la stupidità degli spot radiofonici. Ora lo cerco.
    Me ne ricordo una dell'Asso Foppapedretti dove elegantemente una tizia esclamava: "Che asso dici?".
    Senza parole.

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  13. http://www.thetalkingvillage.net/notizia/per-favore-non-interrompete-l-intelligenza.asp

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  14. Post molto interessante, anche se il mio blog non é uno 'mammesco' e lí mio figlio é uno dei personaggi della mia avventura, mi é capitato spesso di leggere, partecipare o avere a che fare con blog di mamme. Non ho voluto, coscientemente, far diventare anche il mio un blog mammesco (anche se ne avrei avuto la tentazione), proprio perché l'essere mamma é solo uno degli aspetti della mia vita.
    Una cosa comunque che m'incuriosisce é vedere la grossa sproporzione tra i blog di mamme e quelli dei papá.

    Sul fatto di accogliere pubblicitá nei blog, onestamente non vedo il motivo della diatriba: uno nel suo blog é a casa sua e fa come gli pare. Che poi nel mio non ci siano giveaway o simili, e abbia deciso, dopo alcune esperienze imbarazzanti, di non partecipare a iniziative simili presso altri blog, beh questo deriva dal fatto che sono imbranata nel stare dietro alle regole e ho poco tempo.

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  15. Grazie Lanterna, per il post schietto come sempre e per le belle citazioni di The Talking Village. A suo tempo avevo fatto le mie riflessioni sognatrici qui,
    http://www.veremamme.it/marketing-conversazione-blog/2009/5/24/non-voglio-un-mommy-blogging-ne-un-mommy-marketing-allameric.html
    (interessanti i commenti! :)
    oggi sono intervenuti un sacco di eventi nuovi, alcune delle cose che dicevo si stanno realizzando, per moltissime persone sono molto controverse, ma nella sostanza mi ritrovo ancora in quel pensiero e lo porto avanti.

    La tua voce e il modo in cui interpreti le iniziative a cui partecipi sono il migliore incoraggiamento possibile.

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  16. io ero una vecchissima blogger di splinder, che ci si è pure sposata con un altro blogger, e all'epoca di splinder l'unica distrazione che avevo dal raccontare i fatti miei (più o meno conditi) erano i commenti di maniaci, provoloni e donne acide in anonimo. Adesso ne ho aperto un altro, perchè quando il mondo virtuale si intreccia con il reale, per me non ha più senso. Ho unito la mia esperienza di neomamma incasinata, con la mia passione per la cucina. E qui piovono contatti, perchè ultimamente cucinare va tanto di moda e dire la verità sulla gravidanza, sulla vita di coppia e sui bambini, anche. Io scelgo quello che ritengo intelligente, e quello che mi diverte, e basta, perchè continuo a pensare che la vita reale (i guadagni, le bollette e gli affetti) non possono convivere con quella virtuale, per me fatta esclusivamente di confronti, incontri, e chiacchiere. Con le dovute eccezioni.

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