sabato 5 settembre 2009

La felicità è amare il tuo lavoro

Rubo spesso questa frase a "Mac" di John Turturro, perché l'ho fatta mia. E perché spiega la spina nel cuore che mi turba da tanto, troppo tempo.
Lunedì si ricomincia, cercando di fare tabula rasa dell'anno scorso: a differenza di un anno fa, avrò una guida competente e sicura, di cui potrò eseguire i precisi ordini senza avere timore di sbagliare ad ogni passo.
Sarà un anno di assestamento, in cui cercherò di prendermi più cura di me stessa invece di soffocare nei troppi impegni. Sembra incredibile, ma tutta la danza dello scorso anno ha prodotto un'estate decisamente sovrappeso e un bel po' di disturbi a ginocchia e schiena. Quindi, quest'anno meno danza e più attenzione per l'alimentazione, la salute, la casa, la famiglia, eccetera. Nella speranza di trovare un equilibrio sereno, se non proprio felice.
Ma poi tanti buoni propositi vengono spazzati via in un attimo. Nel riordinare casa, nel delirio portato dalla cucina e dai vari trasferimenti di mobili e oggetti, ho trovato un mio diario che va dall'era appena post Vittorio (il fidanzato più vecchio di 14 anni, di cui ancora non mi capacito) fino al primissimo inizio dell'era di Luca (che, speriamo, duri almeno quanto un'era geologica).
Si tratta quindi del mio periodo da single, in buona parte vissuto fuori casa: Genova, in una casa condivisa con altre 3 ragazze, e Pavia, nel mio microlocale in centro.
Un periodo in cui lavoravo come una pazza, magari fino a mezzanotte per tre sere di fila, oggi a Sanremo e domani a Verona, e ne ero stra-felice. Sì, quelle pagine emanano felicità. Nonostante in quegli anni abbia metabolizzato diverse delusioni sentimentali (e una veramente grossa, perché sono stata delusa contemporaneamente in amore e amicizia), io ero felice: avevo un lavoro, una strada, un percorso.
Credevo che avrei potuto mettere a frutto i miei talenti e le mie competenze, che avrei visto i risultati del mio lavoro. E ci ho creduto per qualche tempo dopo che azienda dove lavoravo era fallita: la mia capa, nella nuova azienda, mi prospettava sviluppi sia per le mie competenze come manager didattico sia in caso ci fossero stati successi nel campo dei progetti europei da me seguiti. I successi ci sono stati, ma la leadership è stata data a una ragazza inesperta ma senza figli (e gnocca).
Ci sono giorni in cui vorrei non aver conosciuto quella felicità. Perché ora mi manca terribilmente, così come mi mancherebbe la mia famiglia se improvvisamente la perdessi (ma, quando ero single, non mi mancava per niente il fatto che non ci fosse nessuno ad aspettarmi a casa).
Proprio ora Luca, che invece ha la fortuna di amare il suo lavoro, mi chiede: ma scrivere non ti aiuta a lenire il dolore per questo lavoro che odi? Purtroppo no.
Il fatto è che avere un lavoro statale odioso è come essere sposata per procura col potente di turno: prenderti un amante non fa altro che inasprire il dolore di essere sposata a uno che non ami.
E so anche che c'è gente indigente che ucciderebbe per un lavoro come il mio. Così come c'è gente che ucciderebbe per sposare uno qualsiasi, purché ricco. Ma lasciatemi dire che essere sposate con l'uomo della tua vita è tutta un'altra cosa.

6 commenti:

  1. Ti "conosco" da pochi mesi ma sembra che il tuo cammino interiore in questo breve periodo sia stato davvero proficuo, mi sembri più saggia e matura e sembra che tu abbia imparato ad accettare serenamente quello che della vita non ti piace. Certo leggendoti si capisce benissimo che, per un vulcano come te, il lavoro statale rappresenti una specie di gabbia. Io non so se fai lavoro d'ufficio o di sportello in ogni caso ricorda (e te lo dice una del profondo sud dove 9 impiegati su 10 si grattano la pancia e il decimo cerca di sbrigare il lavoro di tutti) che chi direttamente o indirettamente usufruisce del tuo lavoro può apprezzare , anche se magari non ha modo di dirlo, il lavoro ben fatto e la cortesia. Un abbraccio, Daniela

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  2. Grazie, Daniela. Faccio un lavoro d'ufficio (forse è anche questo a deprimermi, ovvero l'avere pochissimo contatto col pubblico), ma lo faccio con lo stesso spirito con cui farei un qualsiasi altro lavoro nel privato: mancare di rispetto o anche solo di un sorriso a chiunque mi parrebbe una mancanza gravissima, non lo farei mai. Prima di essere una lavoratrice, sono stata una che andava in posta o in segreteria studenti o anche solo nei negozi e ci rimaneva male quando veniva trattata senza cortesia.
    Sono anche nipote di commercianti, cresciuta tra una macelleria e un fruttivendolo, e ho il rispetto per il cliente nel sangue :-)

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  3. Ciao Chiara. Che post difficile e profondo!
    Sei una tosta quindi sono certa che il tuo lavoro che non ti piace lo fai con il massimo della serietà. Con i grami tempi che corrono tienitelo stretto, ma prova a vedere se dai tuoi hobbies non riesci a guadagnare qualcosa e farne un lavoro per il futuro. Certo, sono cose per cui ci vuole molta pazienza...E te lo dice una che ha rifiutato il lavoro in banca.

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  4. Forse è irriverente, ma ti leggo e mi viene in mente una puntata di sex and the city dove si discute se si può avere tutto... e ovviamente, anche se in modo molto buffo, viene fuori che non è possibile.
    BUon lavoro, Chiara, magari qualcosa di nuovo e fruttuoso succederà. Almeno qualche collega umano passerà per la tua strada.
    Aletta

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  5. Io non ho un lavoro e sono sposata ad un uomo che avrebbe potuto essere quello della mia vita, ma non lo è. Vivo in una specie di gabbia che è pura utopia pensare di mollare e... sono, anzi ero, un vulcano come te. Io sono una di quelle che ucciderebbe x un lavoro come il tuo che per me significherebbe la Libertà. Con la l maiuscola. Per adesso la trovo solo correndo sulla Nera, finchè mi va bene...
    Sei una donna fortunata, Lanterna, davvero.
    Aluya

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  6. Questo post mi ha fatto molto pensare. Io ho sognato per moltissimi anni il lavoro della mia vita, quello della ricercatrice universitaria. Ero anche portata, senza falsa modestia.Non è andata e la mia vita ha piego un'altra piega lavorativa (diverse altre, a dire il vero), fino a portarmi a un contratto a tempo indeterminato anche se con stipendio risicatissimo. Continuo a sognare il "mio" lavoro, nonostante abbia tentato per anni di rimuoverlo dalla mia mente. A volte però mi chiedo anche: se capitasse, per qualche improbabile miracolo, di riuscire ad averlo, l'amore di gioventù si rivelerebbe davvero "l'uomo della mia vita", per usare la tua metafora?

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