Sempre a proposito di Baricco (capitemi, mi sto facendo una scorpacciata di vecchie puntate sul Tubo), mi viene in mente un episodio che la dice lunga su tanti argomenti. Un'occasione in cui lì per lì gli diedi torto, e invece oggi non posso che dargli ragione.
È il 1996. Io sono alla fine del primo anno di Lettere moderne. Insieme a un gruppo di compagni di corso, andiamo a sentire Baricco che parla nella sala del Rivellino, al Castello di Pavia. Baricco viene a presentare la sua nuova fatica: non un libro, non uno spettacolo, ma la sua scuola, la Holden.
Penso che la Holden sia stata la prima (e forse l'unica) scuola di scrittura "seria" sorta in Italia (escludo da questo discorso i corsi di sceneggiatura per fumetto, che si appoggiano di solito a scuole di fumetto serie, che erogano principalmente corsi di disegno). Prima di allora, tutti erano convinti che per diventare scrittori bastassero talento e fortuna. Ora il 90% delle persone è ancora convinto di ciò, ma esiste un 10% che vede i benefici di una buona tecnica narrativa (unita alle due doti di cui sopra) e che pensa che per un aspirante scrittore sia il caso di apprenderla.
Baricco sapeva di rivolgersi principalmente a studenti di lettere, che per il 70% sono aspiranti artisti destinati con ogni probabilità al fallimento: eravamo il suo potenziale bacino d'utenza.
E cominciò con una provocazione, dicendo che è inutile restarsene a scrivere la Recherche a 4 km da Pavia, se poi non si hanno le conoscenze per farla pubblicare e conoscere.
Voleva dirci che la sua scuola ci avrebbe potuti trasformare da artistoidi in professionisti della scrittura, perché per vivere di scrittura conta di più una buona tecnica associata a un discreto talento che nessuna tecnica associata a un enorme talento.
Ci esortava, nel caso in cui le nostre aspirazioni fossero quelle, a lasciare l'università per iscriverci alla sua scuola.
All'epoca, come la maggior parte dei miei compagni, mi scandalizzai e gli diedi torto. Oggi, anche dopo aver provato l'esperienza della Scuola di Fumetto, gli posso dare solo ragione: la sua scuola mi avrebbe insegnato tecniche di scrittura professionale e mi avrebbe messa in contatto con operatori del settore, un po' come il master che ho fatto anni dopo per dedicarmi a un settore che non era la mia massima aspirazione (ovvero quello delle nuove tecnologie).
Ciononostante, sono ben consapevole che comunque, anche se avessi pensato che Baricco poteva avere ragione, non avrei potuto seguire quella strada: la Holden costava 30 milioni per due anni, era a Torino e non rilasciava una laurea. I miei non avrebbero mai accettato di pagare 30 milioni a una scuola di scrittura, per poi non avere in mano un titolo di studio "valido", e dovermi pure mantenere per 2 anni in un'altra città.
Nello stesso tempo, penso che la Holden non mi avrebbe dato tutto quel bagaglio culturale che oggi mi torna ben comodo quando sceneggio Viola: non saprei niente di iconologia, di paleografia latina, di tecniche artistiche, di ricerca storica sui documenti, della composizione di una tesi scientifica. Mi mancherebbero insomma molti di quei tasselli che poi sono importanti nella stesura delle storie: quella valigetta degli attrezzi dello scrittore (come la chiama Stephen King) che deve essere piena delle nozioni e conoscenze più disparate, per non scrivere storie sempre uguali a se stesse o, peggio ancora, a quelle degli altri.
Se tra 15 anni uno dei miei figli desiderasse seguire la strada della scrittura professionale, penso che non sarei decisamente contraria alla Holden o a un eventuale suo equivalente, ma credo che sarei cauta nel procedere su quella strada. Forse preferirei che, prima o dopo, ci fosse anche un'esperienza universitaria, anche senza per forza arrivare alla laurea. O forse, se temessi di veder sprecato troppo tempo e/o troppi soldi, cercherei di consigliare loro alcune letture e alcuni corsi con cui integrare gli insegnamenti: imparare solo tecniche di scrittura e dintorni sarebbe troppo riduttivo.
Nello stesso tempo, sono d'accordo con Baricco che la cultura universitaria, da sola, sia insufficiente per esercitare la scrittura come professione: uno scrittore deve essere consapevole delle tecniche narrative e delle possibili interazioni anche non ortodosse con il mondo del lavoro (penso per esempio allo storytelling applicato al marketing).
Soprattutto, penso che sia importante cercare di tirare giù la Cultura dal piedistallo su cui è stata messa e cercare di renderla qualcosa di vivo e di utile, senza pregiudizi nei confronti delle tecniche che possono aiutarci a mettere a frutto il talento di chi vuole operare in questo settore e che non si dovrà mai sentire un artista di serie B per il solo fatto di aver frequentato un corso apposta.
Dopotutto, nessuno si sogna di bollare come "artista di serie B" uno che ha fatto l'accademia di Brera o quella della Scala. L'importante credo sia non sentirsi artisti SOLO per il fatto di aver frequentato Brera o la Holden o la Scuola di Fumetto. E ricordarsi che un conto sono le tecniche, indispensabili, ma che per mettere a frutto le tecniche ci vuole la materia su cui applicarle, e nel caso di un artista quella materia è la Cultura, in tutti i sensi conosciuti.
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