giovedì 4 febbraio 2010

Così giovani e così conservatori

Stamattina, alla radio, ho sentito una statistica sugli obiettivi dei giovani francesi. Non ricordo esattamente le percentuali, ma ricordo che la maggioranza di essi riteneva che la famiglia fosse il loro obiettivo principale nella vita e che i genitori fossero il loro modello.
Platinette lo interpretava come una tendenza alla conservazione, intesa come il contrario dell'innovazione. Io invece lo interpreto in maniera differente, purché la risposta sia stata data in percentuali uguali da maschi e femmine.
Penso che, dopo anni in cui i giovani hanno vissuto proiettati verso il successo, la carriera e i soldi, ci sia stato un momento di riflessione dovuto alla precarietà e alla crisi economica. Io, se a 20 anni mi avessero chiesto qual era il mio obiettivo e chi erano i miei modelli, avrei risposto che speravo di realizzarmi come ricercatrice universitaria (con la segreta speranza di diventare scrittrice) e che il mio modello era la mia relatrice, prof. Giordano. Oppure, dovendomi allargare, avrei indicato come mio modello gente come Ernst Gombrich o Maria Bellonci.
Certo, mi fanno un po' effetto questi giovani che pensano alla famiglia come obiettivo e non come optional, ma non credo che il dato sia da interpretare per forza in una luce negativa.
Prima di tutto, puntare ad avere una famiglia non significa desiderare per forza voler fare la casalinga (le ragazze) o volere la moglie casalinga (i ragazzi). Può semplicemente voler dire che si desidera costruire qualcosa di bello per la propria anima, indipendentemente da chi farà cosa.
Oltretutto, i giovani di oggi sono stati cresciuti (forse più di noi) nella convinzione che conciliare lavoro e famiglia sia fattibile: tanti di loro hanno madri che lavorano e che forse hanno dovuto fare meno fatica di noi, perché 20 anni fa era più facile trovare un posto da dipendente che garantisse i diritti delle lavoratrici in modo decente. Certo, essere una madre che lavora non è mai stato facile, ma penso che oggi lo scenario, con l'entrata in campo del precariato, sia a tinte più fosche che nell'epoca delle delle madri dei ventenni di oggi.
Molte ragazze non si rassegnano ad essere angeli della casa, ma pensano che coinvolgeranno il proprio compagno nelle faccende domestiche e che la gestione dei carichi sarà condivisa. Non so se riusciranno nel proprio intento, ma sicuramente non partono con l'idea di dover tirare il carretto da sole, cosa che toglie gran parte delle attrattive all'idea di famiglia.
Molte ragazze, inoltre, sono cresciute in situazioni di separazione dei genitori, il che ha sicuramente rafforzato in loro l'idea che sia sempre meglio avere una propria indipendenza economica, anziché dipendere dallo stipendio del marito.
Dall'altro lato, probabilmente molti ragazzi di oggi sono cresciuti con padri assenti (per lavoro o per separazione) e non vogliono ripeterne gli sbagli: sono sempre di più i giovani padri che si rendono conto di dover scegliere tra lavoro e famiglia, esattamente come le donne. Che poi la maggior parte di loro si adegui al modello comune e decida di sacrificare la famiglia è un altro discorso, che non fa parte delle aspirazioni ma della realtà.
Insomma, non mi sembra che aspirare alla famiglia possa essere visto come un segno di "reazione" da parte dei giovani. Sarà un segno di reazione se i giovani ripeteranno gli stessi modelli che noi troviamo obsoleti e costrittivi, se ci sarà un'involuzione nella condizione femminile.
È anche vero che l'Espresso segnalava pochi giorni fa una ricerca per cui alle donne non conviene sposarsi, perché ci perdono economicamente e in termini di salute. Ed è oggettivamente vero che nel momento in cui una si sposa perde ogni attrattiva per le aziende, sembra una che mendica un posto di lavoro. E, se nei blog di mamme si leggono ancora certe affermazioni sui mariti ("è imbranato con gli elettrodomestici, entra in casa e si mette a guardare la TV/giocare con la PS, non sa neanche dove sono i pannolini figurati cambiarli"), ciò vuol dire che le donne si rassegnano ancora troppo spesso ad essere l'asino che lavora.
Ma credo che ciò avvenga soltanto perché c'è tutta una cultura da cambiare, altrimenti non si spiegherebbe perché gli uomini invece guadagnino molto dallo sposarsi (dati statistici della stessa ricerca, non lo dico io). Se per le aziende possiamo fare poco, e in un lasso di tempo non breve, mi chiedo perché non facciamo niente sul piano personale: abbiamo paura che il nostro uomo, costretto a condividere le faccende di casa, decida di andarsene? Un uomo così direi che è meglio perderlo che trovarlo.
Certo, se il nostro uomo non ha mai fatto nulla in casa, non possiamo pretendere che faccia tutto alla perfezione da subito. Ma dopotutto nessuno è mai morto per gli aloni sulla cucina a gas, e pian piano stabiliremo uno standard accettabile per entrambi riguardo alle competenze comuni. Esattamente come si fa in un gruppo di lavoro o in una squadra.
Ecco, vedere la famiglia come una squadra aiuterebbe: in una squadra di calcio, uno che fa l'attaccante non è che sta a limarsi le unghie fino a quando non gli passano la palla da mettere in porta.
Certo, finché i figli sono piccoli la squadra-famiglia è composta solo da due membri. Ma, quando i figli crescono, anche a loro possono essere affidati compiti di reponsabilità, in modo che non si creino vittime e carnefici intercambiabili ("Metti in ordine la tua camera! Oggi ho stirato 18 camicie! Possibile che tu non sappia neanche srotolare i calzini prima di metterli a lavare?"), ma dove ciascuno porti un contributo.

7 commenti:

  1. Ah, ecco, adesso ho capito meglio il riferimento all'equa ripartizione delle faccende domestiche tra luca e viola ;-) Ecco, anche a me sembra molto bello il fatto che anche gli uomini si siano resi conto di dover fare una scelta fra lavoro e famiglia, di doversi interrogare senza dare per scontato che l'uomo lavori e basta, come accadeva qualche decennio fa. Questa consapevolezza, e il tipo di scelta, è stata uno dei fattori che più mi sono piaciuti in mio marito quando l'ho conosciuto. Sosteneva come il lavoro per lui fosse importante, ma non tanto da 'vivere per lavorare'. Che anche la qualità del tempo che si trascorre in famiglia è importante, anche se questo significa non fare straordinari e non guadagnare moltissimo. Per fortuna, a distanza di quattrodici anni, non ha cambiato sostanzialmente idea ;-) Infatti abbiamo una buona ripartizione dei lavori di casa che, ovviamente, tiene conto anche del fatto che io, al momento, sono casalinga (non di quelle perfettine, però, ehmm quasi quasi mi vergogno a fregiarmi di questo 'titolo' ;-) Infatti agli occhi dei miei suoceri sono una moglie degenere, emblema della cattiva piega che ha preso la società. E a volte è dura non vedersi con i loro occhi (adesso). E per qualche anno mi sono vista soltanto con i loro occhi, purtroppo. Perchè certe vecchie idee sono dure a morire...

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  2. In realtà la cosa che a me dispiace di più del mio ruolo di moglie è che sono la responsabile della pulizia e dell'ordine della casa, agli occhi della maggior parte delle persone (anche di quelle illuminate, è un riflesso condizionato).
    Quindi, se qualcuno entra in casa mia (e magari io ho avuto una settimana in cui non ho potuto minimamente contribuire alla casa), automaticamente biasima me se la casa non è decente, non certo mio marito.
    La cosa mi scoccia alquanto, perché già svolgere il ruolo di coordinatrice delle faccende domestiche mi scoccia (per fortuna Luca, da quando abbiamo la cucina nuova, vede più facilmente le cose da fare e io non mi sento più una kapò), figurarsi esserne il capro espiatorio!

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  3. Ah, in realtà l'esempio di Luca e Viola non vuole essere educativo: rispecchia semplicemente quello che succede a casa nostra.
    Ti racconto un episodio buffo: quasi due anni fa, io, momatwork e lalaura decidiamo di ritrovarci con le rispettive famiglie in un agriturismo vicino a Reggio Emilia. All'epoca Ettore aveva 3 mesi e i secondi delle altre due famiglie erano ancora nelle pance.
    Io esco dalla camera per andare incontro agli altri con Amelia, mentre Luca finisce di dare il biberon in camera a Ettore. E dico: Luca ci raggiunge subito, sta allattando.
    Loro scoppiano a ridere e mi dicono che noi non siamo intercambiabili, siamo proprio scambiati ;-)

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  4. Anche io non vedo negativamente il dato della ricerca francese, tenendo anche conto del fatto che le politiche per la famiglia in queel paese hanno spronato le coppie a fare più figli. Lo leggo come un dato di equilibrio esistenziale, tra l'altro molto di tendenza. Non per fare la saputa, ma missà che la simpatica Platinette forse non ha una piena cognizione di certi tren della società. Cmq sono d'accordo sul fatto del giozo di squadra
    : è basilare. E me ne sto rendendo conto soprattutto in questo ultimio periodo in cui coppie di amici con bambini molto piccoli si stanno separando per chè uno dei due il gioco di squadra non lo vuole più fare.

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  5. A dire il vero, non so dove volesse andare a parare Platinette, perché ho sentito solo l'inizio della trasmissione.
    Di solito però in radio fa osservazioni intelligenti, quindi credo che, se ha interpretato la ricerca in senso solo tradizionalista, sia stato anche per parlare di altro, magari per chiedersi se in Italia sono più quelli che hanno come modello la mamma o la velina.
    Anch'io ne sento una strage che si separano entro i primi 3 anni del primo figlio. Mi fanno molta tristezza, anche perché, quando ci parli, spesso viene fuori che hanno deciso di fare un bambino nonostante fosse bell'e chiaro che non avevano più voglia di stare in coppia.
    Conosco però anche tante coppie in cui lei, pur di non separarsi, fa la vita dell'asino. E mi fanno ancora più tristezza.

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  6. Fin da bambina, il mio desiderio più grande è stato quello di diventare mamma. Ho studiato fino alla laurea perché non avevo progetti concreti e imminenti. Avrei mandato all'aria tutto senza esitazione per metter su famiglia. Con il senno di poi, sono contenta di aver portato a termine gli studi, ma non ho esitato a mollare un gran bel lavoro per stare a casa con i miei figli. Probabilmente il fatto di non aver avuto, nell'infanzia, una famiglia degna di questo nome ha influito sul mio modo di vedere la vita.

    Forse anche i giovani intervistati, figli di famiglie scomposte, distrutte e disperse, aspirano a costruire quello che gli è mancato...

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  7. Claudia: eh, per me e mio marito (divorziato e figli di separati) un po' è così.

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